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Favole ri-visitate: Cenerentola

giugno 30th, 2011 by admin

Cenerentola era una brava ragazza. Aveva accettato di buon grado che il padre vedovo si risposasse, aveva accolto la matrigna con affetto e le due sorellastre quasi con gratitudine: finalmente due altre ragazze in casa con cui chiacchierare e scherzare, due amiche insomma Aveva pianto tanto alla morte del padre poco tempo dopo le seconde nozze: gli aveva voluto un gran bene, com’ era giusto, in fin dei conti l’ aveva cresciuta lui, facendole e da padre e da madre.

Già, proprio una brava ragazza, Cenerentola.

Ma, come ben si sa, dopo la morte del padre, le cose cambiarono. In una parola, la matrigna e le due sorellastre rivelarono la loro vera natura: erano pigre, egoiste, perfide e terribilmente invidiose di Cenerentola per due fondamentali ragioni, la sua bellezza e la sua ricchezza. Il padre, infatti, aveva lasciato un patrimonio in eredità alla figliola, provvedendo però con una rendita generosa alla seconda moglie ed alle figlie di lei. Quanto al primo punto, c’ era poco da fare: si potevano negare a Cenerentola i vestiti all’ ultima moda, si poteva farla sgobbare fra fornelli e panni da lavare da mattina a sera, ma bella era e più bella si destava ogni giorno. Certo, non la vedeva nessuno, piena com’ era di faccende da sbrigare e ci si poteva togliere la soddisfazione di trattarla come una serva, giusto per vendicarsi di tanta bellezza. Per quanto concerneva l’ aspetto finanziario, era stato sufficiente dire alla brava ragazza, affranta per la perdita del padre, che di tutto il patrimonio era rimasto poco o niente, raccontarle una storia di speculazioni sbagliate, di debiti e lei ci aveva creduto e aveva ben capito perché si dovessero fare delle rinunce: che poi le dovesse fare solo lei, questo era un altro discorso. Ma era una brava ragazza e, se mai le venne in mente di porsi la domanda, fiduciosamente l’ accantonò in un angolo dell’ anima delicata.

Così Cenerentola lavorava e lavava e stirava e cucinava e faceva da cameriera in casa propria, vestita di vecchi stinti abitucci che le stavano anche un po’ stretti sui fianchi e pensava che la matrigna e le sorellastre avrebbero finito per cambiare comportamento verso di lei: bisognava capirle, erano nervose, certo, e pungenti come api d’ estate, anche, ma era comprensibile. Quanti problemi doveva avere la matrigna per far quadrare i conti e comprare la carne di filetto per le figliole e abiti e nastri e pizzi, erano le sue vere figliole d’ altra parte e, no, non era giusto, ma si poteva capire che desse loro la precedenza rispetto a lei.

Le cose erano a questo punto quando accadde quello che tutti sanno: il principe arrivò in città, il re suo padre indisse grandi festeggiamenti per il suo ritorno culminanti in un gran ballo. Anche Cenerentola  avrebbe voluto parteciparvi, ma niente da fare. Quella sera, dopo che la matrigna e le sorellastre se ne erano andate a palazzo tutte in ghingheri, incipriate dai capelli alla punta dei piedi, brutte come il peccato, Cenerentola uscì in giardino, dalla porta della cucina e sedette sulla panca di legno sotto il melo. Era una gran bella notte, con il faccione tondo della luna sorridente in alto ad inondare di luce d’ argento il bel visino triste della fanciulla che ormai non riusciva quasi più a trattenere le lacrime, e poi perché mai avrebbe dovuto trattenerle? Era dunque una bella notte, notte da favola. Cielo blu e stelle a migliaia come capocchie di spilli d’ argento su un cuscinetto di velluto.  L’ aria era tiepida e profumata e Cenerentola sospirò una volta, due volte. Sospirò tanto forte che per un momento credette che il petto le sarebbe scoppiato. Era delusa: in fondo aveva cercato di far sempre la brava ragazza, d’ essere paziente, servizievole come il padre avrebbe voluto, ma però………E fu la luce. Nel senso che una sfera di luce fortissima apparve davanti agli occhi della fanciulla che la fissò come ipnotizzata, mentre roteava a più non posso per poi bloccarsi e prendere una forma allungata, ovale dapprima ed infine ecco che da quella specie di O lungo e stretto prese forma una figura snella ed aggraziata con indosso un abito da pomeriggio firmato Ferré e accessori in tono. La signora diede una toccatina alla tesa del capello, un’ occhiatina alla riga delle calze, era dritta, poi con occhi verdi truccati quel tanto che occorreva, fissò Cenerentola che a sua volta fissava quello spettacolo a bocca spalancata. Sapeva di aver la bocca aperta e che non era bello a vedersi, ma proprio non ce la faceva a chiuderla.

“ Chiudi un po’ quella bocca, che sembri un’ oca. Avanti, su, fatti vedere. In piedi, bambina. Che ti credi, che mi sia presa la briga di venir fin qua per stare a guardarti ? Di’ un po’, sei tonta? No? Bene, se no l’ avrei saputo. Sono la tua fata, la tua  fata madrina e noi sappiamo tutto dei nostri figliocci. Non sapevi d’ aver una fata? Non fa niente. Ce l’ hai. Sì, sì, lo so, avrei dovuto venire prima, per come si mettevano le cose, ma cosa vuoi……Insomma adesso sono qui. Uhmm…bel personalino. Che orrore di vestito e che taglio di capelli!

Non parlare. Bisogna sistemarti un po’. Ah, dimenticavo: lo sai, vero, che sei ricca, anzi ricchissima? No? Ma allora sei proprio oca. Non parlare. Tuo padre ti ha lasciato una montagna di soldi e quelle tre stanno intrigando per metterci le zampe sopra e tu non hai capito niente. Non parlare. Dove vai? Devo sistemarti un po’. Dove vai? Ma guarda un po’ questa gioventù! Ma va’ dove ti pare! “ La signora fu di nuovo un cerchio oblungo, una sfera di luce e poi il completo di Ferré sparì.

Cenerentola era una brava ragazza. Un po’ troppo fiduciosa, un po’ tonta forse.  Ma alle parole del la fata, (fata madrina, quella?Mah!) aveva capito tutto. Di colpo.

Entrò in cucina. Si lavò il viso con acqua fresca. Si ravviò i capelli castani  lucenti e sedette nell’ atrio. Attese.

Alle due del mattino, le tre rientrarono, starnazzanti come oche capitoline. Entrarono e si bloccarono: Cenerentola era proprio in mezzo all’ atrio e non aveva più l’ aspetto della brava ragazza. Aveva in mano il cinturone di cuoio che il padre indossava per la caccia e lo dondolava pian piano. Incominciò ad usarlo, senza profferire una parola, menando colpi alle natiche delle tre che, strillando e correndo, inciampavano nelle lunghe vesti da ballo e cadevano, si rialzavano e le cinghiate cadevano cadevano cadevano ed erano pesanti e dolorose, dolorose e pesanti. Inesorabili.

Non occorsero parole: era tutto chiaro. Cenerentola non era più Cenerentola e non era più la brava, buona figliola che era stata e di questo ella non riuscì mai a perdonare le tre: le avevano aperto gli occhi sul come vanno le cose nella realtà, e questo non lo si può perdonare: a nessuno.

Quanto poi al principe e alla scarpetta di cristallo, é tutta un’ altra versione della favola.

Favole ri-visitate: La Bella addormentata

giugno 27th, 2011 by admin

Immagine da http://fc01.deviantart.com

La principessa che era stata la Bella Addormntata, ormai da cent’anni viveva felice e contenta nel suo castello insieme al principe Azzurro che un tempo lontano l’ aveva risvegliata con un bacio dal sonno malefico.

Con il passare degli anni s’ era fatta, come dire, non vecchia, ché le principesse, si sa, non invecchiano mai, ma un po’ cicciotta e i lunghissimi capelli biondi erano diventati fragili come i fili argentei di una ragnatela. Anche l’ abito azzurro era un poco stinto, appena appena è vero, ma insomma, non era proprio splendente.

Viveva la principessa felice e contenta. Lo sposo, ché, si sa, alla fine, dopo quel bacio, lei ed il principe Azzurro s’ erano sposati, lo sposo dunque ogni mattina, al risveglio, si chinava da cent’ anni su di lei e la baciava: ogni mattina. Ne era un poco stufa di quel bacio alle sette di mattina, estate e inverno, autunno e primavera. Ma taceva e apriva gli occhi al nuovo giorno anche se era già sveglia da ore, solo dopo che lo sposo l’ aveva baciata: lui ci teneva a farlo e si sarebbe offeso se si fosse accorto che lei poteva destarsi anche senza il suo aiuto.

Il principe Azzurro era sempre bello, un po’ bolso, per dir la verità, come il suo cavallo bianco, ma baciava ancora bene e anche se si lamentava degli spifferi che attraversavano i saloni del castello che era vecchiotto e aveva bisogno di venir ristrutturato, anche se mangiava troppo,  non andava volentieri  in giro in cerca di gente da aiutare e se ne stava più volentieri a casa, davanti al camino, a gambe stese, il principe Azzzurro dunque faceva ancora la sua figura in groppa al cavallo bianco.

Così la principessa viveva da cent’ anni felice e contenta e, a parte la faccenda del bacio e qualche battibecco con i due principini che volevano sempre fare i loro comodi, rientrando a notte fonda  e se lei chiedeva “Dove vai?”  rispondevano “Boh!,”  ogni cosa era come deve essere in una favola.

A dirla tutta la principessa non ne poteva più. I primi cinquant’ anni erano volati via, poi il tempo aveva come rallentato e le era diventato pesante quel dover sorridere e dover essere carina e gentile sempre e con tutti. Certe volte avrebbe voluto urlare. Che orrore! Le principesse NON urlano. MAI.

Fu così che un giorno ripensando al passato, le venne in mente quel suo lontano malefico lunghissimo sonno, e pensò: “ Quando mi sono risvegliata, mi sentivo bene, tutto era meraviglioso, era come essere appena nata”. E le venne voglia di tornare a dormire.

Su su nella stanza della torre c’ era ancora l’ arcolaio: lo facevano vedere ai turisti come un cimelio di famiglia.

Una mattina, dopo aver finto di farsi svegliare, dopo aver carinamente maternamente salutato i due principini che fecero “ Ohilà” senza guardarla, salì le strette scale della torre, fino alla stanzetta nel centro della quale  troneggiava l’ arcolaio. Si avvicinò e lo guardò intensamente. Fece per spolverarlo con un lembo dell’ abito, poi ci ripensò. La punta brillava: non un granello di polvere, non un filo di ruggine c’ era sulla punta dell’arcolaio. Vi posò l’ indice dolcemente, dolcemente premette e si punse e mentre il sonno l’ accoglieva con braccia prudenti, sentì la voce indignata della fata cattiva che oltraggiata  gridava: “ Che cosa fai? Chi ti ha dato il permesso?”

Nessuno le aveva dato il permesso, se l’ era preso  da sola, lei, la principessa che voleva ridiventare la Bella Addormentata per aspettare dormendo nel suo regno ancora una volta addormentato, di riprendere in un sonno ristoratore le forze che le servivano ad affrontar carinamente gli altri cent’ anni di vita che l’ attendevano al nuovo risveglio.

Favole ri-visitate: Bella e la Bestia

giugno 25th, 2011 by admin

Guai se  non esistessero le favole, guai se mai nessuno avesse pensato a inventare, immaginare, scrivere favole; fanno parte della nostra vita, c’ entrano quando siamo bambini e ci rimangono per tutti i nostri giorni, a volte ci tornano in mente nei momenti più strani, quando meno ce lo aspettiamo, ci sono, sono là nel profondo della memoria e sono parte di noi.

Guai se non ci fossero le favole.

Ecco dunque perché mi scuso per i piccoli, anche se significativi, cambiamenti che vi ho apportato, perché , vedete, ad una certa età, quel vissero per sempre felici e contenti, dà un poco sui nervi e ti viene una voglia velenosa di metterci un freno a questo dilagare di felicità e di ottimismo e di dire:

” Ehi,diamoci una svegliata!” ed anche ” E se non fossero favole,  dico, favole vere, come sarebbero potute andare a finire le storie?”

La solita negatività degli adulti. Infatti queste sono le favole dei grandi, quelle che i grandi si meritano.


Bella e la Bestia


Immagine da www.artepensiero.it

Bella amava il principe che era stato la bestia orrenda che pure le aveva conquistato il cuore con la sua dolcezza e la sua tristezza tanto tanto tempo prima: lo amava ancora. Lei era bella da sempre e per sempre bella: nulla era mutato in lei, non un capello, non un pensiero, non un ricordo e così provava quello che sempre aveva  provato per il suo sposo anche prima di sapere che il mostro era un bel dolce signore.

Era felice Bella e felice ogni mattina si destava, apriva le tende di velluto vede scuro e lasciava che la luce dorata di una primavera perenne penetrasse fin negli angoli più nascosti delle stanze. Poi scendeva e salutava felice lo sposo, lo baciava teneramente, gli accarezzava il viso e quando lui se ne usciva per curare gli affari, ella scendeva nel grande giardino: s’ aggirava felice per i prati, parlava alle farfalle dalle ali che erano tutte un palpito, correva fra le alte siepi curate del labirinto, giocava a nascondino con le api nero dorate. Il suo riso e il loro ronzio erano le voci del parco. Felice badava che tutto fosse pronto ed in ordine per il ritorno dello sposo e lo attendeva da sempre con il cuore leggero come una nuvola bianca.

Una sera lo sposo non rientrò. Bella lo attese finché le candele non consumarono tutta la loro luce, poi continuò ad attenderlo fiduciosa e piena di speranza, finché l’ alba non rischiarò la notte. Lo sposo non era ancora tornato.

Bella lasciò la dura sedia dall’ alto schienale intagliato, gli intagli eleganti le avevano ammaccato la schiena e si raddrizzò, massaggiandosi delicatamente i lombi indolenziti, ma ecco la voce dello sposo, ecco lo sposo. Che gran tempesta c’ era stata! Erano caduti chicchi di grandine da acciaccare un uomo forte e robusto e questo a sole poche miglia a nord del parco pieno di sole! Aveva cercato riparo in un capanno, aveva finito per addormentarvisi e così la notte era passata.

Bella, felice, ascoltò: “ Povero, povero, povero…….”, ma il tenero cuore felice, non sapeva bene perché, sussultava indolenzito.

Dopo qualche tempo, una mattina il principe irrequieto avvertì Bella che si sarebbe addentrato nel territorio a nord: “ Non aspettarmi, mia Bella”, le disse. Era già capitato, ma quando doveva allontanarsi tanto, sempre aveva condotto Bella con sé.

Lo sposo se ne andò e la felicità di Bella s’ incrinò. Dall’ incrinatura dapprima leggera come una ruga su un volto appena appannato dall’ età, poi più profonda, una crepa come di ferita dolorante, uscirono i ricordi della Bestia, Bestia, ma così dolce, Bestia, ma così tenero, Bestia, ma così solo, Bestia che la notte divorava le creature nel parco per sopravvivere, Bestia con cuore d’ uomo innamorato. Bella aveva temuto la Bestia, ne aveva avuto orrore, poi l’ aveva amato e dall’ amore di Bella era rinato il principe: ricordi dell’ incantesimo malvagio, della paura, della felicità. Si rese conto che anche nelle favole i paradisi possono far acqua. Non riuscì a far il conto di quanto fosse il tempo passato, esattamente, forse perché nelle favole l’ esattamente non trova posto. Sapeva che ne era passato di tempo, ma a lei sembrava ieri, solo il giorno innanzi.

Si guardò allo specchio il giorno della partenza del principe e vide una piccola ruga grigia ben dritta, sottile come un tratto di penna, proprio in mezzo alla fronte, fra le folte sopracciglia chiare. Sì, il tempo era passato. Fu consapevole d’ essere vissuta in un incantesimo, avvolta in una magica luce che ogni cosa pervadeva e lasciava immota: ma qualchecosa di nuovo era accaduto. Come quando si lancia un sasso nell’ acqua ferma di uno stagno e d’ improvviso tutto si anima in cerchi concentrici sempre più ampi, allo stesso modo qualcuno aveva gettato un sasso nell’ aria quieta ed immota del grande parco ed ora ampi cerchi concentrici avviluppavano Bella.

Quel pomeriggio si fece sellare la cavalla grigio perla che appunto per questo si chiamava Perla e  lasciò la sua casa, cavalcando a nord, fino al capanno: lì il destriero dello sposo, attendeva quieto. C’ era luce nel capanno. Le si strinse il cuore. Scese da Perla, si avvicinò alla casetta di legno con il tetto di corteccia di pino, toccò la porta: si spalancò.

Lo sposo teneva fra le braccia una fanciulla bruna dai lunghi capelli neri, dagli occhi ridenti, la bocca rossa dalle labbra piene, la  risata come il rombo di nuvole che s’abbracciano prima del temporale. Con il cuore in mano, Bella si avvicinò ai due, guardò la gitana, scosse la testa bionda e si tolse il gran pettine di tartaruga che le fermava i capelli che si sciolsero, ricadendole sulle reni in una cascata d’ oro fuso. Lo sposo la fissava. Bella gli disse: “ Mi dispiace” e, poiché la favola era ormai finita per lei e lei era solo una donna tradita, si chinò su di lui , lo baciò sulla bocca e, provando ciò che provava, mise tutta se stessa in quel bacio. Poi se ne andò. Mentre saliva in groppa a Perla, udì l’ urlo della gitana e il grufolio che ben ricordava dello sposo che ora era di nuovo la Bestia.

Custode

giugno 14th, 2011 by admin

custode

della casa

delle cose di ieri

del castello

dei sogni di domani

 

sei nido di uccelli

 

ti depositano uova nel cuore

ti crescono canti all’ orecchio

ti muoiono lacrime

dentro

 

in una cova

infinita.

Flash

maggio 22nd, 2011 by admin

Immagine da: http://www.gamescreenie.com

Mi sfugge
il lineamento del domani:
ci sono però – pulsanti -
i volti dell’ ieri
che pare
un oggi – fuggito via in corsa -
un ragazzo sui pattini
sciabolando sul marciapiede.

Echi

maggio 9th, 2011 by admin

Józef Szajna

prospettive nude e solo un ricordo di nuvole
trasmigranti
essenzialità della strada
sterilità di uno stare asettico
perpendicolarità di linee, mentre
straripa il fiume e il lago tracima
la folla incalza e impazza
cadon le stelle in massa
gira la luna i volti alterni
e sentori di ricordi sgomitano
fra gomitoli di zucchero filato

i suoni chiari corrono
sciolti come cani.

Il cuore batte, spaccato,
echi traendo dal tamburo.

l’ attimo

maggio 2nd, 2011 by admin

sterminato il paesaggio incalza

immagini di erbe alte e profumi assordanti

chiara l’ aria dipana nuvole di inconsistenza

fibrillazioni da cavi atri vuoti rimbombanti

a fronte di forme incontaminate

e felci a distesa roride di linfa

verde sangue  estraneo scorre nelle vene

la pelle stria in rivoli erbosi

sentieri chiamano

alla ricerca dell’ alfa

brevissimo folgorante inizio che

tutto lavò fra folgori di futuro         folgorazioni dell’ esistere

rombi incessanti di massi

e crete    creature

in stupore, insetti serpi leoni falene aquile e passeri  pesci di mare  pesci di fiume

e l’ uomo

in stupore di fronte al momento

del parto

pacifico travaglio

della catena a brevi, così brevi anelli

da sangue

a sangue.

Stupefatto resta l’ attimo.

Buona Pasqua

aprile 20th, 2011 by admin

Et Resurrexit tertia die secundum Scripturas



Canta il sogno del mondo

Ama
saluta la gente
dona
perdona
ama ancora e saluta
(nessuno saluta
del condominio,
ma neppure per via)
Dai la mano
aiuta
comprendi
dimentica
e ricorda
solo il bene.
E del bene degli altri
godi e fai
godere.
Godi del nulla che hai
del poco che basta
giorno dopo giorno:
e pure quel poco
se, necessario
dividi.
E vai,
vai leggero -.
dietro il vento
e il sole
e canta.
Vai di paese in paese
e saluta
saluta tutti
il nero, l’olivastro
e perfino il bianco .
Canta il sogno del mondo:
che tutti i paesi
si contendano
d’averti generato.

David Maria Turoldo

La voce del gabbiano

febbraio 21st, 2011 by admin


Immagine di Maria Rosa Scalco


per fondali s’ incrina

la voce e svapora in bolle chiare

di corrente in corrente

sotterranea            persa in remoti

echi di lontananze           estreme

ancora e sempre

fra le braccia strette si porta

canestri di conchiglie e schiuma lieve

il richiamo del gabbiano

che rapido s’ ingolfa.

metamorfosi

febbraio 17th, 2011 by admin

Immagine da http://www.puntagrossa.it


scrostato il muro

graffiti antichi svelano

ricami di segni sotto la pelle

come voci quiete o solo sussurri

in – decifrabili

nodi impossibili da sciogliere    solo segnali d’ origine comune

semi sparsi e donati      cresciuti      germogliati      fecondi di

diverse fioriture        altri germogli dalle stesse radici

metamorfosi del primo respiro  che ancora la terra modella

in forme di creta

sperdute in spazi ristretti    in luoghi d’ ombre    in lucide maschere

d’ assurdo

e il passo si sperde

passo dopo passo

un piede dopo l’ altro

orme lasciando su  sabbie  intrise di mare.

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