Favole ri-visitate: Bella e la Bestia
Guai se non esistessero le favole, guai se mai nessuno avesse pensato a inventare, immaginare, scrivere favole; fanno parte della nostra vita, c’ entrano quando siamo bambini e ci rimangono per tutti i nostri giorni, a volte ci tornano in mente nei momenti più strani, quando meno ce lo aspettiamo, ci sono, sono là nel profondo della memoria e sono parte di noi.
Guai se non ci fossero le favole.
Ecco dunque perché mi scuso per i piccoli, anche se significativi, cambiamenti che vi ho apportato, perché , vedete, ad una certa età, quel vissero per sempre felici e contenti, dà un poco sui nervi e ti viene una voglia velenosa di metterci un freno a questo dilagare di felicità e di ottimismo e di dire:
” Ehi,diamoci una svegliata!” ed anche ” E se non fossero favole, dico, favole vere, come sarebbero potute andare a finire le storie?”
La solita negatività degli adulti. Infatti queste sono le favole dei grandi, quelle che i grandi si meritano.
Bella e la Bestia
Immagine da www.artepensiero.it
Bella amava il principe che era stato la bestia orrenda che pure le aveva conquistato il cuore con la sua dolcezza e la sua tristezza tanto tanto tempo prima: lo amava ancora. Lei era bella da sempre e per sempre bella: nulla era mutato in lei, non un capello, non un pensiero, non un ricordo e così provava quello che sempre aveva provato per il suo sposo anche prima di sapere che il mostro era un bel dolce signore.
Era felice Bella e felice ogni mattina si destava, apriva le tende di velluto vede scuro e lasciava che la luce dorata di una primavera perenne penetrasse fin negli angoli più nascosti delle stanze. Poi scendeva e salutava felice lo sposo, lo baciava teneramente, gli accarezzava il viso e quando lui se ne usciva per curare gli affari, ella scendeva nel grande giardino: s’ aggirava felice per i prati, parlava alle farfalle dalle ali che erano tutte un palpito, correva fra le alte siepi curate del labirinto, giocava a nascondino con le api nero dorate. Il suo riso e il loro ronzio erano le voci del parco. Felice badava che tutto fosse pronto ed in ordine per il ritorno dello sposo e lo attendeva da sempre con il cuore leggero come una nuvola bianca.
Una sera lo sposo non rientrò. Bella lo attese finché le candele non consumarono tutta la loro luce, poi continuò ad attenderlo fiduciosa e piena di speranza, finché l’ alba non rischiarò la notte. Lo sposo non era ancora tornato.
Bella lasciò la dura sedia dall’ alto schienale intagliato, gli intagli eleganti le avevano ammaccato la schiena e si raddrizzò, massaggiandosi delicatamente i lombi indolenziti, ma ecco la voce dello sposo, ecco lo sposo. Che gran tempesta c’ era stata! Erano caduti chicchi di grandine da acciaccare un uomo forte e robusto e questo a sole poche miglia a nord del parco pieno di sole! Aveva cercato riparo in un capanno, aveva finito per addormentarvisi e così la notte era passata.
Bella, felice, ascoltò: “ Povero, povero, povero…….”, ma il tenero cuore felice, non sapeva bene perché, sussultava indolenzito.
Dopo qualche tempo, una mattina il principe irrequieto avvertì Bella che si sarebbe addentrato nel territorio a nord: “ Non aspettarmi, mia Bella”, le disse. Era già capitato, ma quando doveva allontanarsi tanto, sempre aveva condotto Bella con sé.
Lo sposo se ne andò e la felicità di Bella s’ incrinò. Dall’ incrinatura dapprima leggera come una ruga su un volto appena appannato dall’ età, poi più profonda, una crepa come di ferita dolorante, uscirono i ricordi della Bestia, Bestia, ma così dolce, Bestia, ma così tenero, Bestia, ma così solo, Bestia che la notte divorava le creature nel parco per sopravvivere, Bestia con cuore d’ uomo innamorato. Bella aveva temuto la Bestia, ne aveva avuto orrore, poi l’ aveva amato e dall’ amore di Bella era rinato il principe: ricordi dell’ incantesimo malvagio, della paura, della felicità. Si rese conto che anche nelle favole i paradisi possono far acqua. Non riuscì a far il conto di quanto fosse il tempo passato, esattamente, forse perché nelle favole l’ esattamente non trova posto. Sapeva che ne era passato di tempo, ma a lei sembrava ieri, solo il giorno innanzi.
Si guardò allo specchio il giorno della partenza del principe e vide una piccola ruga grigia ben dritta, sottile come un tratto di penna, proprio in mezzo alla fronte, fra le folte sopracciglia chiare. Sì, il tempo era passato. Fu consapevole d’ essere vissuta in un incantesimo, avvolta in una magica luce che ogni cosa pervadeva e lasciava immota: ma qualchecosa di nuovo era accaduto. Come quando si lancia un sasso nell’ acqua ferma di uno stagno e d’ improvviso tutto si anima in cerchi concentrici sempre più ampi, allo stesso modo qualcuno aveva gettato un sasso nell’ aria quieta ed immota del grande parco ed ora ampi cerchi concentrici avviluppavano Bella.
Quel pomeriggio si fece sellare la cavalla grigio perla che appunto per questo si chiamava Perla e lasciò la sua casa, cavalcando a nord, fino al capanno: lì il destriero dello sposo, attendeva quieto. C’ era luce nel capanno. Le si strinse il cuore. Scese da Perla, si avvicinò alla casetta di legno con il tetto di corteccia di pino, toccò la porta: si spalancò.
Lo sposo teneva fra le braccia una fanciulla bruna dai lunghi capelli neri, dagli occhi ridenti, la bocca rossa dalle labbra piene, la risata come il rombo di nuvole che s’abbracciano prima del temporale. Con il cuore in mano, Bella si avvicinò ai due, guardò la gitana, scosse la testa bionda e si tolse il gran pettine di tartaruga che le fermava i capelli che si sciolsero, ricadendole sulle reni in una cascata d’ oro fuso. Lo sposo la fissava. Bella gli disse: “ Mi dispiace” e, poiché la favola era ormai finita per lei e lei era solo una donna tradita, si chinò su di lui , lo baciò sulla bocca e, provando ciò che provava, mise tutta se stessa in quel bacio. Poi se ne andò. Mentre saliva in groppa a Perla, udì l’ urlo della gitana e il grufolio che ben ricordava dello sposo che ora era di nuovo la Bestia.