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Il simbolo perduto

ottobre 19th, 2009 by admin

 

 

 

 

 

 

 

Il simbolo perduto, il nuovo libro di Dan Brown  uscirà da Mondadori il prossimo 23 ottobre 2009

Prologo
Il segreto è come si muore.


Fin dal principio dei tempi, il segreto è sempre stato come si muore.
L’iniziato, che aveva trentaquattro anni, guardò il teschio umano che teneva fra le mani come una coppa. Era pieno di vino rosso sangue. Bevilo, si disse. Non c’è nulla di cui aver paura.
e richiesto dalla tradizione, aveva cominciato il suo viaggio indossando le vesti rituali dell’eretico medievale condotto al patibolo: la tunica aperta sul petto chiaro, il calzone sinistro arrotolato sopra il ginocchio, la manica destra rimboccata fino al gomito e un grosso cappio intorno al collo. Quella sera, invece, come gli affiliati che assistevano al cerimoniale, era vestito da maestro.
I fratelli intorno a lui avevano grembiuli di pelle d’agnello, fasce e guanti bianchi, e al collo portavano gioielli cerimoniali che brillavano come occhi spettrali nella luce fievole. Molti di loro ricoprivano cariche prestigiose nella vita, ma l’iniziato sapeva che tra quelle mura la posizione sociale non aveva alcuna importanza. 
Lì erano tutti uguali, fratelli uniti da un legame mistico, da un giuramento solenne. 
Mentre osservava quello straordinario consesso, l’iniziato pensò che nessuno avrebbe mai immaginato di vedere riunita quell’assemblea, e meno che mai in quel luogo. La sala pareva un antico santuario. 
Ma la verità era ancora più strana.

Mi trovo a pochi isolati dalla Casa Bianca.


Il monumentale edificio, al civico 1733 di Sixteenth Street NW a Washington, ricalcava un tempio precristiano, il tempio di re Mausolo ad Alicarnasso — il primo «mausoleo» — costruito per ospitare le spoglie del defunto monarca. Ai lati dell’ingresso principale, due sfingi di diciassette tonnellate facevano la guardia al portone di bronzo. L’interno era un labirinto riccamente decorato di camere rituali, corridoi, sotterranei, biblioteche e persino una parete cava dietro la quale erano murati due scheletri. L’iniziato era stato informato che ogni stanza di quell’ edificio racchiudeva un segreto, ma lui non ne conosceva nessuna che potesse racchiudere segreti più arcani della sala gigantesca in cui era inginocchiato quella sera, con un teschio fra le mani.
 
Da: http://www.corriere.it/cultura/

Censura

ottobre 11th, 2009 by admin

Shahriar Mandanipour, Censura

In una Teheran misteriosa e caotica, dove il profumo dei fiori di primave­ra si mescola al puzzo di monossido di carbonio e le motociclette diventano taxi improvvisati in un traffico da delirio, una ragazza che manifesta davanti all’ università sta per diventare l’eroina di una storia più grande di lei. «La ragazza non sa che esattamente sette minuti e set­te secondi dopo, al culmine degli scontri tra polizia, studenti e militanti nel Partito di Dio, sarà travolta nel caos delle cariche e delle fughe, cadrà all’indietro, batterà la testa su uno spigolo di cemento e chiuderà i suoi occhi orientali per sempre».

Raramente un’opera letteraria ha anticipato con maggiore puntualità una tragedia co­me la morte di Neda Agha-Soltan, la ragazza iraniana uccisa negli scontri tra studenti e polizia lo scorso giugno, la cui morte ripresa in video è diventata l’anima delle proteste durante l’ultimo contestatissimo trionfo elettorale di Ahmadinejad. Ma di puntualità davvero si tratta, se si pensa a Censura. Una storia d’amore iraniana, il romanzo di Shahriar Mandanipour che Rizzoli ha appena mandato in libreria nella traduzione di Flavio Santi (pp. 370, e 19,50), è uscito negli Stati Uniti proprio du­rante le passate elezioni in Iran. Ed è diventato immediatamente un «caso» sui giornali e nei circoli letterari americani per molti buoni motivi, a cominciare al suo inizio tristemente profetico. Gli altri motivi sono legati al metodo postmoder­no usato dall’autore per interrogarsi sui limiti e le possibilità dello storytelling in uno Stato totalitario. Su cosa significhi cioè «narrare» in un Paese dove l’immagi­nazione può condurre alla galera; dove il linguaggio deve farsi ipercreativo per aggi­rare divieti culturali durissimi; e dove il semplice dare forma a una storia d’amore tra un ragazzo (Dara) e una ragazza (Sara) diventa una sfida, sullo sfondo di un Pae­se dove due giovani non sposati non pos­sono né incontrarsi né tenersi per mano né guardarsi negli occhi in pubblico. Ma per capire meglio dove nasce l’inte­resse per un libro complesso come Censura , bisogna andare a pagina 16, dove Shahriar Mandanipour — o il suo alter ego letterario — si presenta al lettore dicendo:

«Sono uno scrittore iraniano stan­co di scrivere storie cupe e amare, popola­te da fantasmi e narratori passati da tem­po a miglior vita, con prevedibili finali di morte e distruzione»

Uno scrittore cinquantenne, aggiungiamo noi, che scrive in farsi per un pubblico che non può leg­gerlo (essendo in Iran censurato) e pensa in inglese per un pubblico americano col­to; che è stato critico cinematografico, direttore di una rivista letteraria e autore di racconti, prima di emigrare negli Stati Uni­ti nel 2006, dove Harvard gli ha offerto un posto di writer in residence che occupa tuttora. Pieno di energia, ironico, erudito e ambiziosissimo, Mandanipour ha scritto un romanzo che è tre cose in una: la storia di un amore segreto tra due giovani nella cupa Teheran di oggi; la storia dello scrittore di quella storia costretto, per poterla raccontare, ad aggirare con mille compromessi l’inevitabile censura; e una riflessione su il modo in cui arte e vita possono mescolarsi nella realtà e sulla pagina….
…. è la censura la vera protagonista di questo romanzo. Una censura eleva­bile ad arte che è la vera ragione, secondo Mandanipour, per cui «gli scrittori iraniani sono diventati i più educati, i più maleducati, i più romantici, i più pornografici, i più politici, i più realisti e i più postmoderni del mondo». Non grazie alla nostra cara vecchia libertà di espressione che può intimorire le menti più navigate. Ma grazie a una tirannia che nella sua stupidi­tà non si accorge di essersi trasformata nella madre di tutte le metafore.

Livia Manera

da: http://www.corriere.it/cultura/

Il comunista azzimato: vita rivoluzionaria di Friedrich Engels

ottobre 5th, 2009 by admin

Tristram Hunt, The Frock-coated Communist: The Revolutionary Life of Friedrich Engels 

Il comunista azzimato: vita rivoluzionaria di Friedrich Engels

«La forma più evidente di sfruttamento è la prostituzione: questo è il modo in cui la borghesia attacca addirittura fisicamente il proletariato… La donna è sfruttata come oggetto della libidine maschile e come macchina per produrre figli». «Se avessi un reddito di 5mila franchi non farei altro che divertirmi con le donne, fino allo stremo. Senza le francesi la vita non avrebbe senso: ma finché ci saranno le grisettes, avanti tutta!». Parole dello stesso uomo, Friedrich Engels: perché nella nuova biografia scritta dallo storico britannico Tristram Hunt, The Frock-coated Communist: The Revolutionary Life of Friedrich Engels («Il comunista azzimato: vita rivoluzionaria di Friedrich Engels») tra le tante contraddizioni dell’industriale tessile amante della bella vita che scrisse con Marx Il Manifesto del Partito Comunista c’è anche la differenza impressionante tra la teoria e la prassi del suo rapporto con le donne.

DONNE INDIPENDENTI - Perché è evidente, dimostra il documentatissimo prof. Hunt, che l’Engels filosofo sia tra i pionieri della rivendicazione dei diritti delle donne, architetto di una precisa teoria generale dell’emancipazione femminile. Ma il filosofo che scrive con passione – e mente modernissima – della donna doppiamente vittima di oppressione nella società è anche l’uomo che si lancia in appassionate odi ai lupanari, e che privatamente si trovò sempre a disagio in presenza di donne indipendenti (diremmo oggi: assertive) – lui trovava in realtà disdicevole che gli tenessero testa in una discussione. L’ennesima versione della solita vecchia storia, l’uomo che predica bene e razzola malissimo, progressista in tutto tranne quando si tratta di mettersi a stirare le camicie o stendere il bucato quando sta per cominciare la partita in tv? Ovviamente sì, ma non solo: certo i peccati personali di Engels sono, da una parte, così lontani, mentre la modernità delle sue teorie – almeno quelle sull’oppressione della donna – è ancora così (tristemente) attuale.

TEORIA E PRATICA - Leggere il libro del professor Hunt, per un maschio, è però anche un test. Un modo per mettere alla prova i propri inevitabili pregiudizi personali: perché se il primo architetto della liberazione femminile assolveva i suoi comportamenti privati usando le posizioni pubbliche come salvacondotto, ciò non è evidentemente più possibile. Perché una peraltro giusta filippica perorata alla macchina del caffè, in ufficio o all’ora di cena, sulla mancanza di asili-nido, sulla cronica arretratezza delle pari opportunità italiane rispetto al nord Europa, sulle tante cose inammissibili all’estero che avvengono ogni giorno nei luoghi di lavoro italiani, non mette tuttavia nessun maschio al riparo dallo spettro che si aggira per l’Europa – e non solo – maschile e progressista: lo spettro del sessista illuminato, tanto orgoglioso delle proprie convinzioni egualitarie da specchiarsi più in esse che non nei propri comportamenti quotidiani.

Matteo Persivale

Da: http://www.corriere.it

Il Mantegna restaurato

aprile 29th, 2009 by admin

E’ terminato il restauro della monumentale pala di San Zeno del Mantegna, capolavoro del Rinascimento. L’opera sarà ricollocata sull’altare della Basilica di San Zeno a Verona, dove tornerà visibile al pubblico da giovedì 21 maggio 2009, in occasione della festa del Santo patrono, a due anni dall’inizio del restauro e a 550 anni dalla sua realizzazione. La pala fu infatti commissionata dall’abate Gregorio Correr al Mantegna nel 1457 e consegnato all’abbazia benedettina nell’estate del 1459. Il restauro è stato eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

Da: http://www.corriere.it

Art for the Whale

marzo 29th, 2009 by admin

Contro l’inquinamento e la pesca selvaggia, in difesa degli abitanti dei mari

Sono in trenta e arrivano da tutto il mondo gli artisti che il 27 marzo si uniranno alla Strychnin Gallery di Berlino in difesa delle balene.

E di tutte le altre specie marine che stanno lentamente scomparendo, con conseguenze gravissime per il sistema ambientale. 


La collettiva berlinese fa parte del progetto Whaleless, nato quattro anni fa su Pigmagazine (mensile dedicato alle tendenze più innovative di arte, moda, musica, design) da un’idea di Giovanni Cervi, e poi diventato un sito. Con un riscontro che è andato ben oltre le aspettative: in centinaia sono arrivati sul web per esprimere rabbia, indignazione, preoccupazione e solidarietà nei confronti del progetto che è cresciuto con contributi di artisti da tutti i continenti. Da qui, la decisione di “scendere in strada” con una serie di mostre site specific. La prima a Londra, poi in Francia a La Rochelle, il Festival della Creatività di Firenze, e ora Berlino. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche raccogliere fondi attraverso la vendita delle opere, da destinare a organizzazioni impegnate nella protezione delle specie a rischio: nel caso della mostra alla Strychnin Gallery la Whale and Dolphin Conservation Society.

Dalla Germania all’Italia, Whaleless sarà al Festival della Fotografia Europea di Reggio Emila, dal 30 aprile. 

Info: Whaleless, fino al 12 aprile 2009, Strychnin Gallery, Boxhagenerstr 36, Berlin tel. 0049.30.97.00.20.35. Orari: giovedì e domenica 13 -18; venerdì e sabato 13 – 19. Ingresso libero.

Alessandra Maggi

Video arte in viaggio

marzo 26th, 2009 by admin

Da Israele al DOCVA: arriva l’archivio itinerante The Mobile Archive. Dal 24 marzo, una mostra, ma anche la possibilità di consultare liberamente 1500 video

Viaggia per far conoscere in tutto il mondo video e opere multimediali. E di Paese in Paese, si arricchisce a sua volta di nuovi lavori e autori stranieri. Partito da Holon, in Israele, dove è nato nel 2007 per iniziativa dell’Israeli Center for Digital Art, ha portato le sue raccolte dalla Germania alla Polonia, dalla Scozia alla Croazia, fino in Italia, a Venezia. Ora The Mobile Archivearchivio itinerante di video arte e digital media, arriva a Milano: destinazione il DOCVA, gli spazi di ViafariniViafarini e Careof alla Fabbrica del Vapore. Qui, dal 24 marzo, una mostra, a cura di Gabi Scardi, presenterà una selezione tra gli oltre 1500 video dell’archivio israeliano. Le opere proiettate cambieranno ogni settimana fino al 18 aprile, ma la particolarità di The Mobile Archive è anche quella di proporsi come una biblioteca: il pubblico potrà consultarlo liberamentefinché sarà ospite del DOCVA. Che, a sua volta, possiede un archivio di oltre 4000 video, una serie dei quali – di artisti italiani – andrà ad arricchire la collezione israeliana. Scambi e confronti culturali che proseguiranno per tutta la durata della mostra, tra incontri e conversazioni con personalità di rilievo del panorama artistico israeliano. Primo appuntamento il 24 marzo con Galit Eilat, direttrice dell’Israeli Center for Digital Art (ore 18); il 30 marzo toccherà all’artistaRoee Rosen (Rehovot, 1963) e ad Antonio Somaini, docente di cinema e arti visive.

Info: The Mobile Archive, dal 24 marzo al 18 aprile 2009, DOCVA, Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4, Milano, tel. 02.33.15.800; 02.66.80.44.73. Orari: da martedì a sabato 15-19, visite guidate ogni sabato ore 16. Ingresso libero.

Alessandra Maggi