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Un sabato, con gli amici

febbraio 21st, 2009 by admin

Andrea Camilleri,

Un sabato, con gli amici,

Mondadori, 2009, pp. 146, € 17,50

Il 27 Gennaio 2009 è uscito l’ ultimo libro di Andrea Camilleri,

Un sabato, con gli amici.

Quando il passato presenta i suoi conti. Le vite di Matteo, Gianni, Giulia, Anna, Fabio, Andrea e Renata detta Rena sono tutte vite segnate. Fin dall’infanzia, con traumi profondi che scuotono l’anima oppure vanno a interrarsi in certe zone segrete della coscienza, e dalla giovinezza che ci aggiunge il suo carico di turbamenti, di rivolte, di affermazioni di sé. Sembrerebbe che gli anni della prima maturità possano portare un inizio di pacificazione, se non altro perché le vite sembrano incanalate nei loro binari borghesi e le coppie si sono stabilizzate, ma non è così. Non è affatto così; anzi, è proprio il contrario: l’età matura è il momento giusto perché i nodi vengano al pettine, gli elementi psichici si combinino apposta per precipitare, per esplodere come una miscela assai temibile con la quale un alchimista improvvido abbia giocato troppo a lungo e con troppa fortuna.

Decisamente, questo romanzo è anomalo nella produzione di Andrea Camilleri. Lo è da subito, dalla prima lettura che ci propone una lingua secca, affilata, che non cede all’espressività del dialetto né ad alcuna di quelle varie forme di pietas che spesso si ritrovano nella prosa dello scrittore e che sotto forma di ironia, tenerezza, comprensione per le umane debolezze intervengono a lenire anche le situazioni più dure e crudeli. Qui invece non c’è possibilità di fuga o di nascondimento. Ogni personaggio è consegnato alla sua dannazione e alla deriva inesorabile delle sue azioni.

Da: http://www.webster.it

Sotto la pioggia

febbraio 19th, 2009 by admin

Ma adesso io, ecco, guarda, no dico, guarda bene mi prendo le mie…, come le hai chiamate? carabattole? Sì, carabattole. E me ne vado. Non c’ è bisogno che tu dica altro, che tu faccia altro. Vado via. Va bene così? Ti lascio casa libera e vorrei fare terra bruciata dietro di me. Perché questo è il disastro vero. Che anche quando sarò lontana, tu sarai con me. Tu, la tua presenza soffocante, il tuo amore, se amore è stato tutto questo.

Questo volermi tenere imbavagliata, legata alle tue aspettative, questo volere che io viva la tua vita senza nessun rispetto per la mia.

Perché anch’ io ho una mia idea di vita, sai?

E se le mie idee non corrispondono alle tue, non credo tu abbia il diritto di calpestarle.

Lo so. Lo so. Il dovere.

Ho il dovere di conformarmi. Lo hai sempre detto. Lo hai strillato da sempre.

No.

Ecco. Adesso te lo dico chiaro e tondo. Io non sto più a questo gioco.

Che cosa? Che cosa dici? Tu ti sei conformata sempre?

Mi spiace per te. Hai mai pensato d’ aver sbagliato?

No? Sicura? Sei sicura? Pensaci.

Non sbagliavi anche quando, così scontenta, ti rinchiudevi a riccio intorno alle tue convinzioni, nell’ alone giallognolo dell’ insoddisfazione, del timore del mondo reale, tutta tesa a dar corpo a infinite malinconie? A trasmettere infinite malinconie.

Guarda fuori: piove. E’ una giornata d’ autunno, è giusto che piova. Ma tu solo questo vedi, che piove. Non vedi i colori che son tutti una fiamma e ti aspetti che anch’ io veda sola l’ acqua che bagna il grigio.

Sai quante volte avrei voluto uscire con tuta e scarpe da ginnastica e il cappuccio ben stretto intorno al capo e allacciato intorno alla gola per andarmene sotto gli alberi con tutte le loro foglie dorate, giallo oro, rossastre, attaccate ancora con un filo di vita al ramo, così tremule e tenaci e camminare lontano dalle luci dei viali, lontano dalle vetrine dei negozi, e comprare al forno che sta là in fondo, verso la Madonnina, un pezzo di crescenta, magari una piadina, e mangiarla calda mentre mi pioveva addosso?

Il raffreddore, dici? Mi sarei presa il raffreddore. Forse. Può anche darsi di no.

Ecco, vedi: non posso più continuare ad aspettare la tegola che tu da sempre dici mi cadrà sulla testa. Se non farò la brava bambina coscienzosa. Ho camminato troppo a lungo a testa bassa, incassata fra le spalle, magre, sì lo so, ho le spalle magre, c’ è di peggio, e adesso non intendo continuare più.

No, non dire altro. Perché delle cose che forse non capisci, che di certo non condividi, sai vedere solo il lato negativo. Non ne hai il diritto, di spaventarmi. Di frastornarmi con quello che capiterà, potrebbe capitare, non si sa se capiterà, ma comunque bisogna comportarsi come si fosse sicuri che capiterà.

Che la maledetta tegola cadrà. Alla fine cadrà e mi centrerà in testa. Se non farò come dici tu. Se non sarò come sei tu.

Credimi, non posso continuare.

Non è una ribellione. Non temere. Non mi rivolto contro di te. Tu hai creduto di far bene. Ne sono certa. Ma mi hai distrutta. Quasi.

Io voglio uscire di qui con le mie carabattole e andare via, sì, lo so, là dove vado, non sarà tutto tranquillo.

Il pericolo? Forse.

La guerra? Forse.

Ma io devo andare e devo farlo adesso. No, non rimando. Non ho bisogno di pensarci ancora un po’ su. Laggiù la gente crepa ogni minuto. E io non posso perdere neanche un altro minuto.

Tu? Ah. Attenta. La stai mettendo sul ricatto. La stai mettendo ancora sul dovere. Il mio dovere verso di te. Ma tu non sei l’ ombelico del mondo.

Guarda, ti voglio bene, ma tu non sei l’ ombelico del mondo.

Con quello che hai fatto per me? Sono un’ ingrata?

Ecco, sì: dal tuo punto di vista. Senz’ altro sì. Ma è solo che nei miei panni, tu non vuoi metterti. So che è difficile. Per te è impossibile.

Io sono diversa da te. Accettalo. E’ un dato di fatto. Io devo sentirmi utile. Capisci? Utile. Concretamente.

Per questo vado. Non per ripicca. Non perché non ti voglia bene.

Ti sono grata per avermi permesso di nascere.

Ti chiedo solo di permettermi di vivere. A modo mio. Come mi sento di fare. Di lottare per quello in cui credo.E io credo in questa mia volontà di lasciare quello a cui tu hai sempre guardato come un modo sicuro di passare il tempo e di rischiare, sì, di rischiare questa tranquillità senza scosse per qualcosa che sento come meraviglioso. Aiutare a costruire, magari da zero, una possibilità di futuro laggiù, dove nessuno ha niente.

Il tuo dolore? No. Non parlare del tuo dolore. Della tua paura. Non soffocare questa cosa che mi spinge a partire, per andare a guardare fisso negli occhi la la miseria e la desolazione.

Hai voluto che facessi la volontaria per te, a tutto servizio, figlia e dama di compagnia. Sempre corretta, carina, disponibile, senza volontà propria. Lo sono stata tutto questo tempo. Ma adesso io vado. Sento che è giusto così. Per me. Vedi, non puoi costruire cancelli alti abbastanza per fermarmi. Il mio sogno è sempre stato questo.

Ecco. Sono pronta. Le mie carabattole sono tutte qui. Ho addosso i jeans. Ho in mano la mia sacca. E’ la mia divisa.

Come? Ah, ecco. Ma so anche questo. Non sono più giovane. Già.

Ho passato tanto di quel tempo qui con te, a cercare di adeguarmi al tuo stile di vita. Ci ho messo tanto di quel tempo a capire che non era giusto quello che mi stavi facendo.

Che non era giusto quello che mi stavo facendo.

Ma io adesso ho capito e me ne vado. D’ altra parte tu non puoi più fare niente per fermarmi.

Non puoi più piangere.

Strillare.

Farmi sentire in colpa.

Alla fin fine, ho fatto sempre quello che ti aspettavi facessi. Io sono a posto con me stessa. So d’ essere stata ricattata per tutto questo tempo. So di non avere avuto la forza di ribellarmi. Avrei dovuto. Trovarla, questa forza. Ma tant’ è. E’ andata così.

Adesso ti guardo in questa foto. Sei in posa. Elegante. Una signora. Lo sei sempre stata.

Lo eri anche nella bara, con il tuo bell’ abito di seta. Una signora.

Lo capisci adesso, là dove ti trovi, che mi devi lasciare andare? Che devi smetterla di sussurrarmi all’ orecchio le solite frasi, ormai vecchie e stantie?

Chi porterà fiori sulla tua tomba? ancora chiedi.

Smettila. Non ti sento.

Ecco, apro la porta, finalmente, sì lascio la tua foto qui, sulla consolle. Sì, chiudo bene la porta. Non ti preoccupare. I ladri non entreranno. D’ altra parte qui troverebbero solo, di prezioso, l’ odore dei miei anni spesi a modo tuo. Della mia giovinezza andata. Depredata? Il resto sono solo argenti e quadri e porcellane e mobili antichi. Che non contano. Hanno mai contato? Comunque io non starò qui, fedele e devota, a far la guardia al tuo mondo. Il tuo mondo. Non il mio.

L’ ascensore scende.

Consegno le chiavi al portiere.

Un attimo. E sono fuori. Sotto la pioggia.

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Cuore sospeso

febbraio 16th, 2009 by admin

Una poesia di Vicente Aleixandre 

da La distruzione o amore,
1933

Uccello come luna,
luna pendente o bella,
bassa come un cuore che si stringe,
sospesa senza filo a una lacrima oscura.
Tristezza contagiosa
nel deserto del nulla,
senza un corpo incantevole,
senza un’anima o vetro
dove poter riflettere un bel raggio.
La chiarità del petto o forse del mondo,

con in mezzo sospesa la medaglia,

bacio che s’è rappreso in sangue puro,

muscolo doloroso, cuore fermo.

Un uccello soltanto, forse ombra,

forse anche la dolente latta triste

o il becco affilato che su un labbro

recise fiori, un giallo filo o polline di luna.
Per questi raggi freddi,

medaglia ormai compiuta o solitudine,

spettro quasi tangibile

di una luna o di sangue o bacio infine.
 

Vicente Aleixandre fu membro dell’Accademia Española e nel 1977 ricevette il Premio Nobel per la letteratura.

Dorsali

febbraio 15th, 2009 by admin

Immagine di pikimota

stratificazioni ossee
fin al cuor del mondo
penetranti
in rigide ghirlande
serpeggianti,
corrono dorsali
di pensieri paralleli
eppur lontani
ombre dilagano,
all’ infinito
sfumano il reale
 
cade la goccia
la pietra a consumare.

Un’ occasione speciale

febbraio 13th, 2009 by admin

Vladimir Kush, Heavenly Fruits

Sabato pomeriggio. Primavera. L’ aria è tiepida. Il sole già caldo.

Me ne sto fuori casa, nel quadrato di terra sul retro della villetta a schiera dove abito da quando io e Laura ci siamo sposati, saranno un nove anni, dandomi da fare con la falciatrice. Mi aspetta un monte di lavoro da fare. O almeno credo. Non che mi dispiaccia. Però penso a quanti fine settimana sacrificati ci vorranno a fare il lifting post invernale a quello sputo di verde. Risistemare tutto come piace a me, e a me piacciono le cose fatte con cura, proprio bene, se no non c’ è senso a farle, le cose.  Tutto per potere alla fine sistemare tavolino, sedie e amaca in una cornice linda, ordinata, con il prato che doveva apparire come spazzolato, con i fiori  nei vasi collocati con simmetria e la piccola aiuola a forma di O perfettamente delineata. Mi innervosisco al pensiero. Niente gite in bici per, diciamo, tre fine settimana. Chiuso in quei 70 metri e la schiena è già indolenzita. Si deve fare. Perciò l’ avrei fatto. So che per i mesi a venire avrei continuato a controllare che tutto fosse a posto. Avrei corretto eventuali sbavature, sforbiciato, potato, concimato. Non un hobby, ma una specie di condanna. O semplicemente una mania. Ognuno ha le sue, d’ altra parte.

C’ è di peggio comunque. E devo mettere in conto anche la soddisfazione che avrei provato a lavoro finito.  Mi do dunque da fare. Me ne sto a falciare, quando mia moglie esce di casa, mi si avvicina. Spengo la falciatrice. Lei mi dice: “Ha telefonato Enzo.”

Enzo. Vecchio amico, ex compagno di scuola, rimasto vedevo un due mesi prima. Al funerale, quasi non l’ avevo riconosciuto, stravolto dal dolore com’ era. Povero Enzo.

“E…?” chiedo a mia moglie. Ha da sempre la caratteristica di far cadere una, due parole e poi zittirsi. Come in attesa dello stimolo a concludere il discorso con qualcosa di sensato.

“Ha chiesto se domani siamo a casa.”

“E….?”

“Gli ho detto di sì.”

Non dico “E…?”

Lei aggiunge ugualmente: “Ci viene a trovare. A pranzo.”

Perfetto. Enzo viene a trovarci. Domenica. E si porta appresso tutto il bagaglio del suo dolore, della sua solitudine, della sua paura,. Quel che ci vuole a inizio primavera. Le rondini tornano al nido appeso alla grondaia.

Sia chiaro. Mi era dispiaciuto per lui. Sapevo che era molto legato alla moglie. Sapevo che non avevano figli. Mi rendo conto che deve essere per lui un gran brutto momento. Ma è la vita che va così. Io non c’ entro. Non ne sono responsabile. Diciamo la verità, nel tempo, i legami s’ erano allentati fra noi, lavori diversi, interessi diversi, posizioni diverse. Più che altro erano rimaste amiche le mogli. Si vedevano, andavano a far spese insieme, si telefonavano, robe da donne. Ma io potevo stare lunghi periodi, senza neanche sentirlo, Enzo. Quasi da dimenticarmi che esistesse. E sarebbe venuto a casa mia l’ indomani.

L’ idea mi infastidisce. Avrei dovuto assumere un’ espressione dolente? Fare un viso da circostanza? Fare finta di niente e parlare del più e del meno? Di sport? Di politica? Che cosa può fregargli a uno con un peso così da portare, dello sport e della politica? Che poi sono sempre la stessa menata.

“Devo andare a fare un po’ di spesa.” Dice mia moglie. “Prendo la macchina.”

Se ne rientra in casa.

“Dici che faccio un arrosto domani?” è di nuovo sulla soglia.

“Sì. Perché no?”

“Non so. Potrei preparare gli involtini. Marta diceva che gli piacevano.”

E allora, no. Niente involtini. Ci manca solo che gli metti sotto il naso il piatto preferito, magari proprio come glielo faceva la moglie.

“Niente involtini.”

“Arrosto?”

“Arrosto.”

“Con le patate?”

“Con le patate.”

Se ne va. Sento il motore dell’ auto. Sento che si allontana. Riaccendo la falciatrice. Accidenti anche al povero Enzo. Devo andare al consorzio. Mi occorrono dei vasi e della terra. Voglio anche qualche pianta di gerani. Rossi. Mi infastidisce pensare a come sarà domani. Mi vergogno un po’ di sentirmi così maldisposto. Insensibile? Egoista? Ma no. Sono solo un uno come tanti: casa, lavoro, rogne fisse e rogne saltuarie, deluso un giorno sì e l’ altro pure, ansioso, puntiglioso, perfettino nelle mie cose, a proposito come faccio a andare al consorzio che la macchina l’ ha presa lei? La macchina da strapazzo, da spesa, da carico e scarico. Non posso certo andare a impilare sacchi di terra nel baule dell’ auto grande, quella “buona”. Porca miseria. Dovrò aspettare che ritorni, lei con l’ arrosto e le patate e tutto quanto il pranzo per il povero Enzo.

Domenica, sono le 12, 30 quando Enzo parcheggia la sua Fiat davanti al cancello di casa. Lo vedo dalla finestra della saletta. Parcheggiare con cura, spegnere il motore, cincischiare brevemente in zona cruscotto, scendere dall’ auto, darsi una lisciata ai risvolti della giacca, ma perché diavolo s’ è messo in completo blu, con tanto di cravatta e trench sul braccio? E’ domenica, il giorno benedetto dei jeans e della maglia sportiva.  Lo vedo aprire lo sportello posteriore, infilarvi il braccio e ritirarlo con nella mano un gran mazzo di fiori, l’ omaggio per la padrona di casa. E’ un po’ più grigio, un po’ più stempiato, ma il passo è sicuro, il piglio deciso. Cosa mi aspettavo? L’ uomo che avevo visto al funerale, in peggio. Invece noto una certa ripresa. “Bene, mi dico. Sono contento per lui. Povero cristo.”

Apro la porta, sorrido, gli tendo la mano, arriva mia moglie, si tuffa nel mazzo di fiori, ringrazia, non ti dovevi disturbare, lei, è stato un piacere, lui, a me scappa anche una pacca sulla spalla. La tavola è apparecchiata, Laura ha tirato fuori il servizio buono, quello con i decori blu, i bicchieri azzurri, le posate nuove, c’ è profumo di arrosto nell’ aria. Offro un aperitivo, un’ acquetta leggera da supermercato, niente roba sofisticata. Laura tira fuori una coppetta di chips e una di olive. Beviamo, nessuno tocca le olive e le chips. Andiamo a tavola, parliamo divagando dalla politica, elezioni o non elezioni anticipate?, al buco dell’ ozono, ambientalisti sì, ambientalisti no. Le parole corrono veloci, i sorrisi si sprecano, il tono è leggero. Non ci sono i sospiri che temevo. Gli occhi bassi. Luccicanti. I ricordi. No. I ricordi no. Il cielo ci scampi dai ricordi. Alla frutta mi capita così, per caso, di pensare alla scuola, io e Enzo quando si andava a scuola, alle pirlate che facevamo, a dire la verità le pirlate le facevo io, lui mi veniva dietro da quel buon gregario che era. Non aveva iniziativa, questo era il suo difetto. Comunque si era amici. Scuoto la testa e, quando me ne accorgo, mi do del cretino. Offro da bere. No, grazie. Davvero. Senza complimenti. Arriva il caffè. Lo beviamo seduti nell’ angolo salotto. Io in poltrona. Enzo e Laura sul divano. Noto solo in quel momento che Laura è particolarmente carina, tirata a lucido, vanità di donna! Lui è rilassato. Beviamo il caffè. In silenzio.  Penso: “E adesso? Che facciamo? ” Badassi a come mi sento, mi stenderei una mezz’ ora. Magari con Laura. Hanno finito il caffè, appoggiano le tazzine sul tavolino basso, Laura si china a sistemare la sua, ha una bella scollatura, mia moglie. Do un’ occhiata rapida e sbieca a Enzo, se mai mostra un barlume d’ interesse per le tette di mia moglie. Non noto niente. Ha lo sguardo educatamente assente. Li sento parlare, io mi astengo dalla conversazione. Parlano della prossima estate.

“Ma sì, è sempre la solita storia. Con Marco (sono io, Marco) che ha le ferie in agosto e così si va via quando si muovono tutti. Proprio tutti.” sottolinea Laura. “Si spende di più, si sta peggio. Ma non si può fare diversamente.” Enzo annuisce.

Ma cosa vuoi mai che gliene importi? Dei tuoi, nostri problemi da vacanzieri di massa? E poi la conosco a memoria la litania del “perché non puoi prendere le ferie in luglio?” Perché non posso. Ecco perché. Perché l’ ufficio chiude in agosto. Ecco perché. Quello che vorrei sapere invece è perché, stando così le cose, non ce ne rimaniamo a casa nostra. Invece ci imbranchiamo con gli altri milioni come noi e finiamo a sbranarci per il posto in aereo, per la sdraio al mare, per la fila dell’ ombrellone, sempre troppo lontana dal mare. Potremmo stare a casa. In fin dei conti non abbiamo bambini piccoli cui fare cambiare aria, portandoli dall’ inquinamento cittadino al sole a rischio di una qualunque spiaggia. Enzo comunque non ha progetti. Eh già. Lui e Marta andavano via giusto una settimana, dieci giorni al massimo, ogni anno un posto diverso, per svagarsi, per conoscere luoghi differenti, gente differente, costumi differenti. Ma adesso, così, da solo… Laura lo guarda comprensiva.

Una crocierina? Gli suggerisce. Si conoscono tante persone a bordo, e poi c’ è sempre qualche attività stimolante pensata dagli intrattenitori. Questo della crociera è un tarlo, un’ idea fissa di Laura. Sono anni ormai che spacca con la crociera in Grecia, in Norvegia o in Egitto non importa: basta che crociera sia. Non mi ci vedo su una nave, barca, tinozza per giorni e giorni a farmi intrattenere con l’ obbligo di dovermi divertire.

“Sì, una crociera. Ci dovrei pensare. Non è una cattiva idea. Magari una di quelle che ti portano in giro per il Mediterraneo… Sì.”

Ecco, Laura è raggiante. Ha trovato uno che condivide la sua idea. Si crea di colpo, quasi in modo istintivo, un clima di congiura fra i due e io, naturalmente, ne sono escluso. Laura si alza, va alla piccola scrivania, apre il cassetto centrale, ne estrae una manata di depliants. “Ecco, sono nuovi, di quest’ anno. Ho fatto un salto in agenzia l’ altro giorno. Così, sai, avevo due minuti liberi. Tanto per vedere, sentire i prezzi, le proposte…”

Mi guarda, di sfuggita. Le tirerei il collo. Lo sa bene come la penso, ma non demorde. Si mette d’ impegno a illustrare le possibilità: nomi di luoghi, date, prezzi volano nell’ aria, ognuno, a suo modo, prende vita e dà vita a un sogno. Mi pare. Quasi quasi quei due mi fanno tenerezza. Lei, con la sua voglia di andare e fingersi per una settimana una donna di mondo, lui con il suo bisogno di vivere ancora, nonostante tutto. Magari di prendersi una vacanza dal dolore, di staccare dal sentirsi solo. Tutti e due cercano una via di scampo. Io no. Non ce ne sono vie di scampo. Se ce ne sono non mi interessano. La vita ordinaria mi si addice, mi calza a pennello tutto il suo grigiume. Mi sento una nuvola nera che porta pioggia. Gonfia di aria. I due si sono fatti vicini sul divano, sfogliando gli opuscoli, immersi nei loro viaggi. Potrei accendere la televisione, non se ne accorgerebbero neanche. Mi trattiene l’ impressione che così facendo, mi escluderei automaticamente da loro in modo totale. Non mi garba, e non so perché, l’ intimità che si è creata fra di loro.  So che sono sciocchezze, anche perché non sono geloso, mai stato geloso. Fisicamente. Ma qui, davanti a me, si sta mettendo in scena qualcosa di irritante e diverso: un’ alleanza di gusti, una ricerca di solidarietà, una connivenza. Per niente gradevole. Mi stanno venendo i nervi. Adesso vado a zappare in giardino. Ma sì. Fruscio di carta patinata.

Laura dice: “Sarà meglio che sistemi un po’. Scusa.” Si alza. Raccoglie tazzine, piattini, zuccheriera, va in cucina. Sculetta un po’? No, è solo un’ impressione.

” Mah…” fa Enzo. Lo guardo, interrogativo.

“Vedi, Laura è davvero tanto carina e gentile a mostrarmi tutto questo…, ” indica gli opuscoli con quanto contengono, “ma, sai, l’ idea di andarci mi angoscia. Starei tutto il tempo a pensare a quanto a Marta sarebbe piaciuto questo o quello o se magari non le sarebbe piaciuto.  Mi sentirei ancora più solo in mezzo a tutta la gente che ci va per divertirsi, giovani e non. Non so se mi spiego.”

“Con il tempo…” incomincio a dire e mi sento incastrato in quello che avevo temuto sin dall’ inizio, ricordi rimpianti lamentazioni.

” …. passerà?” conclude Enzo.

“Magari non passerà. Si attenuerà.” dico io.

“Magari. Penso che sarà così. Diventerà un ricordo. Adesso è il presente. E’ la vita di ogni giorno. E’ sempre dentro di me. Con me.” Ha gli occhi stretti a fessura.

Fa’ che non pianga. Tento di dimostrarmi amichevole. “Ti capisco.”, faccio.

“Non credo”, dice lui, gentile ma categorico e ribadisce: “Non credo proprio. Ma non importa. Non ho la pretesa che gli altri si rendano conto davvero di quello che provo. Del come lo provo. Sai, dice, come cambiando discorso, l’ altro giorno ho incominciato a mettere mano nei suoi cassetti, per sistemare le cose e alla fine non ho sistemato proprio niente perché non mi va di mettere via le sue cose, mi sembrerebbe come di sfrattarla da casa sua e tu lo sai a come ci teneva a casa sua, insomma l’ altro giorno in un cassetto ho trovato una busta e dentro la busta c’ erano un paio di mutandine e un reggiseno di quelli tutti di pizzo e mi sono ricordato di quando li aveva comprati e me li aveva mostrati e mi aveva detto strizzando l’ occhio: li metto da parte, sono per un’ occasione speciale. Non li ha mai indossati, Non c’ è stata nessuna occasione speciale ed è stato senz’ altro per colpa mia. Solo le è capitato questo, d’ essere seduta a tavola con me, di dire mi sento male e due minuti dopo, due minuti, capisci, era finita. E non c’ è stato verso di farla tornare indietro, dovunque sia andata. Capisci.”

Si è alzato dal divano e mi sta di fronte, in piedi, grigio, quasi vecchio, disperato.

Si sta chiedendo: “Perché?”, e mi accorgo, stupefatto, che anch’ io mi domando: “Perché?” lo sto letteralmente urlando dentro di me. Arrabbiato. Incazzato. Colpito. Perché? E non mi basta il son cose che capitano. Tutti i momenti. A migliaia di persone.

“Andiamo un po’ fuori. ” Laura s’ è messa una giacchetta sulle spalle e ci indica la porta d’ ingresso. E’ seria. Dalla cucina arriva il ronzio della lavastoviglie. Usciamo nel giardinetto. Illustro a Enzo i lavori che devo fare. Lui dice che verrà una meraviglia. Parliamo del tempo. Alle 4 del pomeriggio Enzo se ne va. Lo salutiamo dal cancello, ciao, telefona, torna presto e cose simili.

“Devo portare fuori il pattume.” Dice Laura.

“Faccio io.”

“No. Devo finire di preparare il sacco.”

Entra in casa. Quando ne esce ha il sacco azzurro profumo limone in mano. Glielo tolgo e vado al cassonetto in fondo alla fila di villette. Nella trasparenza azzurrina della plastica galleggiano pagine patinate di navi da crociera. Butto via tutto. Spazzatura e sogni. Laura è sparita all’ interno. Sento chiudersi una persiana al piano superiore. Forse vuole riposare. Così non posso finire di falciare. Potrei svasare i gerani. A ben guardare potrei non fare un cazzo di niente. Anzi. Potrei incominciare a godermelo ‘sto sputo di terra, invece che sentirmene schiavo. Vado in garage e ne riemergo con l’ amaca. La sistemo. Mi ci stendo sopra. Vedo il cielo. Nuvole come soffi d’ alito. A destra e a sinistra terra e erba fresca, nuova, appena nata, fra le primule rigorosamente rosa, è fiorito un piscialetto, ha un bellissimo colore giallo dorato.

Ragazzi, penso che lascerò che l’ erba cresca bella alta e grassa, che i piscialetto fioriscano fra le rose rosa, perché mi accorgo che alla fin fine  non mi importa poi molto che tutto sia spazzolato simmetrico e in tinta. Tanto non voglio finire su Case e Giardini, ma solo cogliere gli attimi, tutti quanti, attimo per attimo. In ultimo sono tutti occasioni speciali.

Inverno

febbraio 11th, 2009 by admin

Una poesia di Marzia Serra

S’addensa l’aria e un nodo
stringe alla gola
quando vorresti ricucire i lembi
di strappi antichi
mentre la mano incerta e il filo nuovo
vanno aggravando il danno.  

Perdono senso i nomi delle cose,
le regole del gioco, le stagioni.

L’immagine riflessa nello specchio
si cela nella nebbia di un respiro.

E fuori ogni sentiero è cancellato
dal candido sudario della neve.

Una storia

febbraio 9th, 2009 by admin

rintocca l’ ora e     
svolge
la molla dei ricordi a
rincorrersi fra le pagine del libro
fragile l’ airone è sulla riva
dove l’ ansa deposita alla cova
l’ uovo  del tempo che resta
 
infranto, l’ oggi
vacilla in
dissonanti molteplicità
ostaggio di ieri e domani
 
fra quel che è stato
e quel che sarà.
 
Una storia in
dolcissime cadenze
a ritmo con il battito di ciglia,
con lo stormir di fronde,
là dove il sole cade e l’ ombra allunga
il passo, velata veglia
di notturno umore
 
fugaci anelli di armonie
come canti per
il tempo a venire.

Tramonto

febbraio 6th, 2009 by admin

si schioda l’ indice
dalla bocca muta
la bocca dove farfalle
stanno ingabbiate
ali multicolori solleticano
il palato in fremiti di parole
 
amore e morte son brividi di sangue
gorgheggi persi in gola
abissi senza fine
gioia dolore
inseguono la traccia
del profumo nella carne
 
si schioda l’ indice dalla bocca muta
e là addita dove s’ invermiglia
il corso delle cose  fissate al muro
il calendario, il quadro, il pendolo,
quel mazzo di spighe secche
il tuo sorriso smarrito in nebbia
che svapora. 

In difesa

febbraio 4th, 2009 by admin

ringhio alla voce
del tempo
che chiama
 
illusori datari cementificati
di ieri finiti
ancora voraci di  pelle
e sangue
delle albe che restano
come in cornice
sospese sul
davanzale
 
è il fardello degli anni
che pesa
soma che non si scolla
dalla costola ossuta
limata dall’  avrei potuto
dire
fare
andare
 
chiudere
questa porta antica
battente logorato
e sbarrarla con catene
strette e paletti fissi
 
e poi gridare
con la palpebra calata
a sipario.

In difesa.

Amore: interpreti o vittime?

febbraio 3rd, 2009 by admin

 

“agito nel cono di coccio
i miei dadi truccati

Ti voglio, al di là della sorte.

fosse pure barando”.