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Sabbia nera

gennaio 14th, 2009 by admin

Jerzy Tadeusz Mróz, From the series “Places” 05

Lo accompagnavano sulla spiaggia tutte le mattine tre bambini fra gli otto e gli undici anni. Due maschi ed una femmina, dai volti abbronzati e gli occhi scuri. La femmina lo teneva per mano, i due maschietti andavano avanti, precedendoli fino ad una specie di capanno che poi capanno non era, ma solo una tenda scolorita e sdrucita sorretta da due pali e fissata nella parte posteriore ad una cintura di canne bionde.  I bambini vi arrivavano per primi e davano un’ occhiata al posto, come a guardare che tutto fosse in ordine, poi uno sgusciava fra le pieghe dello straccio che la brezza animava gonfiandone ora un lembo ora un altro, ne riemergeva portando una sedia pieghevole, apriva la sedia proprio davanti al riparo, aspettava che lui arrivasse tenuto per mano dalla bambina. Lo facevano sedere. Un’ ultima occhiata in giro e se ne andavano.
   Il vecchio restava seduto al riparo della tenda, in vista delle onde e delle palme, per ore. Non faceva niente. Un volto segnato dagli anni, dalla fatica, dal sale dell’ oceano. Mani grandi, venate di blu, deformate dall’ età, artigli parevano, posate sulle cosce magre. Occhi scurissimi brillavano fra le rughe profonde incise nel volto. Non faceva niente. C’ erano vecchi che intrecciavano giunchi, riparavano reti, parlavano fra loro, in quell’ angolo di spiaggia subito dietro il bastione del vecchio fortino spagnolo, prima dei grandi blocchi che delimitavano il porto. Il vecchio stava solo, sulla sua sedia, il capo che si reclinava sempre più man mano che le ore trascorrevano e lui, dondolandolo , ma solo un poco, cantilenava quello che pareva un canto antico.
   Suoni e parole sussurrate, smozzicate, nella brezza dell’ oceano, fra i fremiti delle foglie di palma, davanti alle onde che luccicavano al sole come fatte di scaglie d’ oro e d’ argento – così eran fatte le corazze degli eroi, quelli del passato – e ai suoi piedi la sabbia, nera, lavica, che contrastava con il colore del cielo e dell’ acqua e pareva dal contrasto trarre forza.
Io sono qui. La terra degli uomini di mare.
E davanti, l’ oceano mutevole, cangiante nei colori, che é così ed ecco non lo é più, terra di mare, di leggende, di sogni e d’ amori,  di tesori e di morte.
 Anch’ io sono qui. Il mare impregna la terra. La bacia e si ritrae. Chiama.  Cantilenava il vecchio la sua canzone. A nessuno e a tutti. A quelli che ascoltavano e a quelli che passavano e ammiccavano. Ai vivi e ai morti. A se stesso. Al presente e al passato. Forse al futuro.
 Avvicinarmi a lui e accoccolarmi lì vicino non mi costò nessun sforzo. Mi venne spontaneo. Poiché c’ era un mondo intero in quei  suoni e in quelle parole. E, si sa, non ci si può permettere il lusso di lasciar perdere un mondo nuovo da conoscere. C’ è sempre da imparare.
“Domani, domani vedrai, era ieri, un giorno fa….dolce nell’ acqua il pesce guizza e la rete si tende e l’ onda porta lontano. Viaggi fra creste di spuma, la vela lacerata, il fulmine squarcia livido il cielo, acqua salata, la barca fra le onde, conchiglie sulla riva ad asciugarsi al sole…partenze, ritorni….figli del mare….aspetta ….il mare….che non dimentica un volto, ricorda tutti i sorrisi e le ombre e le speranze accoglie…Credi. Nel mare. Porta lontano. Il mare. Onda su onda. Onde. “
Mi fissa. Occhi lucidi di vita. Dondola il capo, piano. Le mani artigliano le cosce magre. La cantilena diviene un discorso ritmato sul batter dell’ onda sulla riva:
“Di tutto raccoglie il mare. Acqua. Credi che sia solo acqua. Salata. Credi che sia il mondo dei pesci, dei grandi e dei piccoli. Ci vivi sul mare. Ci passi la vita. E lui ti culla e ti strapazza, ti sussurra e ti urla all’ orecchio. Gli chiedi: Chi sei? Dunque, chi sei? Attento, chiediglielo con gentilezza. Se vuoi una risposta. Che poi magari ti risponde solo dopo anni, ma non importa. Tu chiediglielo con gentilezza. Prima o poi risponde. Ti prende a schiaffi, innalza muri d’ acqua tenebrosi, ti sprofonda giù giù nel suo ventre e ti solleva in alto incontro al sole. Così è fatto il mare. Mai fermo, anche quando la sua voce si fa sottile sottile tanto che ti ci addormenti il cuore in quella voce, neanche allora è fermo. Non può star fermo. Troppe cose ha dentro di sé.
Ti fa trovare nella rete un coccio che non si sa da dove venga, da che tempo venga, una conchiglia enorme come non se ne è mai viste, poi un giorno capisci, perché è lui che risponde, che hai passato la vita a navigare dentro uno scrigno fatto di ricordi…ricordi tenuti stretti nella sabbia dei fondali, rivestiti dallo smalto dei coralli, ossa di amici, lance di nemici, ancore che non sono più risalite in alto….spazio e tempo si danno la mano nelle onde, ballano sui giorni che vanno a perdersi fra albe e tramonti, sole che sorge e luna che sale e sole e luna specchiano i loro visi nel mare e il mare conserva il calore del sole, la luce della luna e se ne impreziosisce…
Caddero dall’ alto della rupe e il mare li accolse e nessuno li divise. Due amori che correvano inseguiti, perché una figlia di principe non poteva amare un cavaliere… Non li presero. Si fermarono lui e lei sull’ orlo della rupe e si baciarono con gli occhi, bada, solo con gli occhi e non importa come si chiamassero. Si baciarono con gli occhi e si lanciarono giù dalla rupe nel mare. Il mare conserva il loro amore, raccontano le conchiglie la loro storia… t’ amo… anch’ io t’ amo e nessuno li può dimenticare. E i pesci nel profondo salgono verso l’ alto, la luce a fior d’ acqua smuovono, onda su onda.
La voce del mare narra storie…. e tu sei lì in mezzo a quell’ acqua chiara e senti e ascolti e poi… non dimentichi più e il mare ti lascia i suoi ricordi e tu torni a riva e racconti a quanti ascoltano e poi racconti solo a te, se nessuno t’ ascolta più.
I tesori del mare. Tanti. Ma questo è il più grande. Il mare conserva le orme lasciate da quelli che son passati su rotte lontane e ogni tanto qualcosa restituisce,…si è soli sul mare, non fosse per la sua voce e le sue storie. Conservare, a volte restituire. Il vento cancella le orme lasciate su strade polverose…il mare conserva i suoi tesori e sono memorie antiche…A volte le restituisce. Perché si sappia che lui non dimentica, mai. Niente. Nessuno. Lui c’ è fin dall’ inizio, c’ era solo lui. Ha visto e sentito tutto… Il mare ha occhi grandi sempre spalancati che tutto vedono e le ombre accolgono.
Anche quando gli uomini si sono ammazzati e l’ acqua era rossa attorno alla barcaccia e loro si scannavano come indemoniati finché ne rimase uno, il mozzo, che fu ripescato da quelli della Tina e mai disse perché era accaduto quello che era accaduto. Il mare li sentì parlare, gridare, sentì l’ arpione che si conficcò nel cuore del primo, il  colpo che prese alla testa il secondo, lo scatto  della lama che s’ affondò nel petto del terzo e poi lavò le lacrime del quarto e alzò un ‘ onda gigantesca che  strappò sartie, divelse l’ albero, spazzò il ponte, ghermì l’ ultimo degli uomini e tutti li portò a dormire fra  i rami fioriti delle alghe. Tranne il mozzo: lui lo trasportò a una tavola e lo sospinse in là… lontano.        
Sa di guerre, d’ amore, di odio e di lacrime. Di violenza e forza e coraggio: l’ odore del mare. Inebria. Incanta. Dal passato fluisce nell’ oggi e poi… ancora… avanti verso il domani. Nulla va perduto.
Un giovane partì per tentar fortuna ed aveva solo la sua barca che era stata di suo padre e speranze gli gonfiavano il petto. Cercava fortuna. Lontano dall’ isola dalla sabbia nera dove era nato. Cavalcò le onde fino al continente dove la gente parla in modo strano e sempre corre per strade fatte di polvere.
Il mare ve lo portò con venti favorevoli, fu buono e gentile con lui. Arrivò. Lavorò. Guadagnò. Divenne ricco. E potente. Dimenticò il mare. Ma il mare non si scordò di lui. Lo chiamava ogni notte da sotto i pontili allungati sui moli di cui il giovane era divenuto padrone…Ritorna, diceva, ritorna. Perché il mare ha memoria eterna. Come se fosse un figlio perduto, lo chiamava. Memoria eterna ha il mare che tutto riceve e tutto conserva. Io non volevo tornare. Ero ricco. Potente. Ma mia madre stava morendo, mi mandarono a dire. Tornai. Su un battello bianco e rosso che era una meraviglia. Perché ero ricco. Il mare sorrise frusciando contro lo scafo e colorando d’ oro i fianchi della barca. Io fumavo e pensavo a quando ero partito da casa, così giovane e solo. Il mare mi accompagnò all’ isola e mi lasciò sulla riva, le onde si accartocciarono intorno ai miei piedi come per trattenermi. Mia madre intanto era morta. Girai di nuovo le spalle all’ isola, la terra aspettava lontano, poi lei, che avevo amato da ragazzo, mi fu davanti e fu come una magia di luci e di ombre e di calore e di freddo e il sangue corse rapido per le vene e io pensai che l’ avrei portata via con me, quando ci fu il boato e il vulcano spruzzò nel cielo vampate di fuoco. Corremmo al battello. Molti ne portai con me al largo. Il mare impazziva intorno all’ isola e gridava. Poi tutto finì, tornammo a riva e fra la rovina la voce del mare ricominciò a cantare. Della vita dell’ amore della morte…
Non tornai più sul continente. Perché il mare non dimentica. Mi aveva chiamato indietro perché io mi ero scordato dell’ amore che mi ero lasciato alle spalle, di me stesso. Glielo avevo narrato durante le notti trascorse a pescare, di lei, di quanto eravamo giovani e poveri… lui se l’ era tenuto ben fisso in mente, io no. Rimasi. Mare della mia vita. “
A me, accoccolato sui talloni sotto il sole, con negli occhi le frange delle foglie di palma, si apre dinanzi una breccia aperta sull’ infinito attraverso la quale passato presente e futuro confluiscono in linee convergenti come radici di alberi secolari che nella terra sprofondano e s’ allungano e dal tronco si allontanano, riemergono a fior di terra e al tronco linfa convogliano attimo dopo attimo. Uno spazio aperto nel mare immenso che preserva, accoglie e inanella di bagliori le spoglie dei sogni, i ricordi stessi dei giorni e non esiste ieri, ma solo quest’ oggi che con l’ ieri è tutt’ uno e diviene  domani.
Mare che risuona di parole e sospiri, le mie parole, i miei sospiri, occhi aperti a cercare quel perché che non trovo da nessuna parte, che, se appena mi pare di scorgerlo, mi sfugge e la ricerca riprende
Forse fra le onde non troverò  risposta,
ma pace
e il ricordo di lei fra i ricordi di tanti respireranno echi di vita
e lei ancora sarà  con me,
- i nostri attimi durati una vita,
perduti nel fango d’ una luce ingannevole, d’ un suono stridulo, fragore e schianto, rottami contorti -
lei ancora sorriderà e tenderà la mano: sono qui.
Mi fissa il vecchio, viso grinzoso, e dondola il capo sì sì sì, è così.
Mi alzo, annuisco e mi allontano a passi lenti sulla sabbia nera di quest’ isola nata dal fondo dell’ oceano, che ti riempie di voce potente, frangente dopo frangente e se cammini proprio sulla battigia dove le onde si sfanno, non importa se piangi, tanto gli spruzzi ti lavano il viso e nessuno se ne accorge. Solo il mare lo sa.
Presi l’ abitudine d’ andare sulla spiaggia di sabbia nera e, giorno dopo giorno, aspettavo che lui arrivasse, ascoltavo i brandelli di frasi che gli uscivano dalle labbra, insieme guardavamo la linea lontana dell’ orizzonte dove cielo ed acqua s’ incontrano, sfumando l’ uno nell’ altra.
Un giorno il vecchio non venne, i ragazzini non si videro. In paese  si parlava solo del fatto che nella notte era morto, quasi centenario,  colui che per tutti era il padrone dell’ isola.
Il padrone dell’ isola. Di ogni locale, di ogni casa, forse di ogni granello di sabbia nera. Lui.
Allora sono tornato pian piano alla spiaggia, ho camminato sulla battigia, mi sono chinato a raccogliere un sassetto levigato, verde, l’ ho stretto nel pugno, mi ha ferito il palmo, l’ ho stretto con più forza, poi mi sono fermato e l’ ho guardato nel profondo, quel mare d’ acque salate che sanno degli uomini quando ancor di vita non ce n’ era al mondo aperto in spazi infiniti, l’ ho fissato e con gentilezza, badate, con gentilezza, gli ho chiesto: “ Perché lei è morta, lei, non io? “, e ho lasciato cadere nell’ onda il sassetto, con dolcezza.
In dono.  Perché non dimenticasse la mia domanda.

Brevi i giorni

gennaio 14th, 2009 by admin

Si fan brevi i giorni
lunghe le notti
in questo nostro andare
verso l’ inverno
 
la nuvola bassa incappuccia
il monte           
 
l’ occhio si volge all’ orizzonte
spartiacque fra il qui ora
e il domani chissà,
sul vetro son stormi di
rondini in volo.
 
Resta il nido appeso sotto la grondaia.

Tetti di cielo

gennaio 12th, 2009 by admin

The bewitched forest”  di Ronald Menti

Dal pelo dell’ acqua
dita
porgere chiare
e aprire tetti di cielo
frammenti cogliere
di sole ombra,
il cuore tendere
e l’ occhio fissare
-incrinata la pupilla-
su foglie
erbe alberi
e gramigne,
nel verde immergersi e rifluire,
rivo gorgogliante
fra le pietre e
il gracidar delle rane…
 
… scorrono
volanti i pensieri
e roca e stretta è
la voce
dalla sorgente al
fiume.

Gaza and the New Year: un augurio di Daniel Barenboim

gennaio 10th, 2009 by admin

 

… I wish for a return in the year 2009 of the famous intelligence always ascribed to the Jews. I wish for a return of King Solomon’s wisdom to the decision-makers in Israel that they might use it to understand that Palestinians and Israelis have equal human rights.
Palestinian violence torments Israelis and does not serve the Palestinian cause; Israeli military retaliation is inhuman, immoral, and does not guarantee Israel’s security. As I have said before, the destinies of the two peoples are inextricably linked, obliging them to live side by side. They have to decide whether they want to make of this a blessing or a curse.

First appeared in The Guardian on 1.1.2009

http://www.danielbarenboim.com/


§§§


… Il mio augurio per il 2009 è che si faccia ritorno alla famosa saggezza da sempre ascritta ai Giudei. Il mio augurio è che si ritorni alla saggezza di Re Salomone, che i responsabili di Israele ne possano far uso per comprendere che gli Israeliani e i Palestinesi hanno gli stessi diritti umani.
La violenza palestinese affligge Israele e non serve alla causa della Palestina, la reazione israeliana è inumana, immorale e non garantisce la sicurezza di Israele. Come ho già detto, i destini dei due popoli sono strettamente collegati e li obbliga a vivere l’ uno accanto all’ altro. Devono decidere se vogliono fare di ciò una benedizione o una maledizione.

§§§

Daniel Barenboim, nato a Buenos Aires, da genitori russi di origini ebraiche, ha anche la nazionalità israeliana. Pianista, direttore d’orchestra, è un “ebreo errante”, che porta in giro in tournè la sua West-Eastern Divan Orchestra composta di giovani musicisti ebrei e palestinesi. Dal 2007 è “Maestro scaligero” del Teatro alla Scala di Milano.

S’i fossi…

gennaio 10th, 2009 by admin

Una poesia di Benito Ciarlo

 

S’i’ fossi Sole scalderei la notte
di quelli che risiedon sotto i ponti
di quelli che s’adattan ne le grotte
a far quadrare de la vita i conti;

S’i fossi Cibo cambierei le rotte
e me n’andrei senza fare sconti
da chi per fame ha l’anime corrotte,
fuggendo gli sprecon di mari e monti.

S’i’ fossi Legge pontificherei
di far restare in centro d’accoglienza
Quattro ministri e pure cinque o sei

di quelli che si chiamano Eccellenza,
S’i’ fossi Pace condurrei gli dei
a scardinar di guerre l’occorrenze.

Ma resto Ciarlo quale sono e fui
e guardo sul mio viso tutti i nei
che cerco d’estirpar sul volto altrui…

Eppure

gennaio 9th, 2009 by admin

Eppure ho visto
giorni migliori
e tempi alterni
immoti sfarsi e
in lunghe falcate perdersi
in nebbie estreme

Eppure ho scosso la polvere
di casa in casa
di guscio in guscio
trasferendo il senso
di un sospeso viaggio
in sacchi neri, plastica
e lacci, odori lunghi
lungo viaggiare ostile
e ringhi di notturni spettri

senza certezze
ho sparso semi senza raccolto
disperso l’ animo fra crepe secche
in terre perse in mari di cipressi,

ma qui risuono la stessa nota e
tutta la vita canto
alba e tramonto.

Una sola stella

gennaio 7th, 2009 by admin

Una sola stella
appuntata al bavero della
notte,
una punta di spillo
trapassa
la pupilla,
la pelle appende al brivido
del sangue,
sotto l’ unghia punge
la carne, scalfisce
il respiro del
tempo in
lemmi di soffice
polvere.

Prima del gelo

gennaio 6th, 2009 by admin


I rumori si stemperano in
attenuazione di
parole

si fanno ovattati i
fiumi nel fluire

il sangue scorre
nella danza delle foglie
migrano aquiloni
in cerca di riposo.

Quant’ è bella giovinezza

gennaio 5th, 2009 by admin

Dove poi fosse finita la sua, di giovinezza, non sapeva. Non che ci avesse pensato più di tanto. Fino ad allora. E anche in quel momento, mentre si poneva la domanda, capiva che non era davvero opportuno indagare. Era terreno minato. Un probabile invito alla depressione, acquattata dietro l’ uscio di cucina. Eppure non riusciva a togliersi il pensiero dalla mente.

E dove accidenti era finita? In qualche buco oscuro e ostile, probabilmente.

Se l’ era squagliata così in fretta che, a pensarci bene, quasi quasi le pareva di non averla avuta, una giovinezza. Impossibile. Ce l’ hanno tutti. Persino le cose, prima nuove, poi, con il passare del tempo, vecchie e usurate.

E dunque?

Fiaccamente incominciò a fare le cose di sempre, come, ad esempio, infilare in quel cavolo di presa l’ attacco dell’ aspiratore, – woom, woom, fece l’ arnese. Il tubo ringhiò e si mosse animato di vita propria. –

Faceva il suo dovere. Aspirava. Lo manovrò con un profondo senso di disgusto. E lo stesso fece con la scopa elettrica, con la lucidatrice e con il pannetto da spolvero garantito “non lascio pelucchi”. Fu solo quando si spostò a pulire il bagno che franò.

Quel qualcosa di tondo e viscido che le stava attorcigliato nello stomaco, si srotolò e incominciò a ballare come un disperato, togliendo il tappo a tutti i suoi tentativi di fare di quella mattina, la solita mattina.

Perché lei doveva assolutamente fermarsi e rispondersi. Che ci volesse un minuto, un’ ora o tutto il giorno. Magari il tempo che le restava.

E allora, dove accidenti era finita la sua giovinezza?

Nello scarico del bagno, con tutta probabilità.

Senz’ altro dove vanno le giovinezze di tutti quanti. E qui stava il nocciolo della questione, lo sentiva. Perché, ne era convinta, c’ erano giovinezze e giovinezze. C’ erano quelle che finivano in paradiso e quelle che andavano all’ inferno.

E la sua, da quel pozzo là in fondo, infinito e nero e rancido mandava effluvi di marcio. Incavolata di brutto, ignorata com’ era stata. Proprio non considerata.

Perché anche se, cronologicamente, lei un’ età da poter definire giovinezza, l’ aveva avuta, però non le aveva mai dato corda, non l’ aveva mai vissuta.

Chiaro, non era stata colpa vera di nessuno.

Eppure lei era stata, in un qualche subdolo modo, defraudata. Privata.

Era stata giovane e da giovane aveva mandato a mente il decalogo dei doveri dei giovani, così come era suo dovere fare.

Vedi lo studiare.

- Aveva studiato dieci ore al giorno tutti i santi giorni.

Vedi il non dar pensieri.

- Aveva tolto di mezzo tutto quello che poteva finir per dar pensieri. Il gusto della corsa, la voglia dell’ avventura, il fiato grosso, l’ attesa dell’ amore, l’ amore, l’ amore, l’ amore… erano stati messi da parte, chiusi in un cassetto

- solo una sbirciatina, rapida e colpevole, ogni tanto, ma non troppo spesso. -

- Aveva pensato di scappare. Una volta. Non ne aveva fatto niente. Chiaro.

- Aveva incominciato a lavorare. Aveva lavorato tutta la vita – come tanti, certo – e imparato altri doveri. Si era immedesimata.

Di dovere in dovere gli anni erano corsi via – attimi, ore, giorni, un castello di tempo fatto di sabbia -.

Si era a volte sentita anche brava, utile, soddisfatta di sé.

Ed ora si guarda allo specchio e vede una persona che non conosce, una donna quasi vecchia, occhio ostile, bocca amara.

” Non sono io,” si dice. “Io non ero così. E, in ogni caso, non dovevo diventare così.

” Io avevo dei sogni “

che mi facevano sentire libera, con un piede nel mondo che avrei voluto per me, ma il fatto è che in quel mondo non ci ho mai tirato dentro l’ altro piede, sono sempre rimasta di là, dall’ altra parte dello specchio, i sogni spinti, sempre più in fondo dentro a un cassetto di legno tarlato.

” E la mia giovinezza se ne è andata e adesso rimango così, come in un deserto di carte false, a guardare indietro e a cercare quello che mi sono persa. Mi accorgo di aver vissuto la vita che gli altri si aspettavano che vivessi. Non quella che volevo io. Bella pirla. “

Si scrolla. Si muove davanti allo specchio, si sorride, si accarezza dentro, nell’ anima,

- bella pirla sei stata, bella pirla –

e sa che non c’ è rimedio, quel che è andato è andato.

” Ma guarda, ormai è primavera”, si dice. ” Goditela”, si comanda. Perché mettere limiti ai domani che restano?

Si pettina, si veste con cura. Indugia davanti allo specchio. D’ istinto si produce in una bella solenne chiara pernacchia condita da un uno “Tzé!” energico.

Esce di casa senza aver pulito il bagno. E’, lo sa, un buon inizio.

Cronache

gennaio 4th, 2009 by admin

Quieta
la sera s’ addorme
cullando pensieri sfuggenti
dalle crepe del muro,

da ogni fessura minimi
ricordi rimbalzano e crepitano
memorie di donna s’ appendono
in festoni di carta translucida
ai vetri trafitti dal raggio di
una pallida luna invernale,
sofferenti
di  lunghe mancanze
di trepide attese
di incolmate assenze.

Quando ruggiva il fuoco nella vena
pulsante al ritmo di giorni
disattesi,
e riccioli di minuti scorrevano 
ere di preistoria a scandire:
avido il ventre si colmava
e dava vita
vita alla vita
cronache scrivendo di fiamma e cenere.

Lavica essenza.