Sdoppiato l’ occhio rivolto
al mondo altrove
prendere il largo su
una sola vela
nel vento schioccante
andare dietro al sogno,
schegge infilare a far collane
fiorite di sussulti, conchiglie
raccogliere, vibranti
e poi ascoltare
risacche risuonanti
a riva,
duplice occhio aprire
a cogliere il lato di là
dallo specchio,
il risvolto nascosto,
in nuove trame, in nuovi
orditi la tela tessere con fili
dal pallore lunare
finché l’ uovo si schiuda e
la luce debordi lungo
l’ orlo sottile del
labirinto dove si miete
l’ usuale andare
con passo uguale.
Antologia del premio Verba Agrestia 2007
Macerie
come pensieri strangolati,
macerie di case
due pietre è già una storia
un lembo di muro è il passato,
rovine antiche
cotte dal sole cocente
di estati come gelsomini,
macerie fra le mani
accarezzate e ritrovate,
intatte
nella mente.
Da: Con ali raccolte, Montedit 2000

Ruota la tenebra di tempia
in tempia e faticosa
srotola il papiro
fragile sospiro d’ ossa
insepolte
sull’ orlo breve di due
parole dette secoli
d’ amore prima,
quando fioriva la luna
tonda dietro il colle
e la notte intera cantava
e danzava insonne.
Una poesia di Rose Bazzoli
casa nemica pareti
specchi troppo grandi
per abbracciare sorrisi
lavoro non condiviso sudore
spazi del cuore vergini
e l’assenza cantata
l’assenza che martella
ogni minuto
imparo ad esplorare silenzi
dialogo ininterrotto
filo che si dipana nell’aria ferma
catturando vuoti di immanenze
e tramonti rossi di parole.
nell’ ora che lima lo sguardo
l’ occhio si sbilancia
precario sull’ orrido che
scosceso precipita
al fondo,
vertigine infinita
rincalza la coperta
della notte.
Sto diventando pazza. Certo, lo so: sono pazza. Non importa. A chi importa la follia, di questi tempi, quando si tirano sassi dai cavalcavia per gioco o per scommessa? Ci sarà il tempo in cui al posto dei sassi si tireranno feti morbidi, affidando ad un unico gesto i rigurgiti malsani di un’ età in decomposizione. E allora? Che sarà mai la mia follia personale?
Una malattia che fa liquefare i meandri tortuosi del cervello, ancorando il ragionare alle sponde del non so più chi sono, perché l’ ho fatto, non ne potevo più? Uno stato della mente, quando i giorni si sgranano troppo lenti e il peso delle ore sfinisce? Uno stato della mente, appunto. Ma dove sta andando la mia mente? Dove vanno i pensieri? Sono stanca di correr loro dietro, fermenti di un cervello in agonia. Infinitamente stanca di pensare. Non riesco a collegare le parole, le idee arrivano come creste d’ onde schiumanti e si frangono contro le rocce dei giorni. E’ il quotidiano a farla da padrone, meglio, il ricordo del galoppante quotidiano che é stato, - fu -, il passato remoto. Erano altri tempi ed io ero un’ altra persona. Perché non sono impazzita in quel mio passato? Forse ho incominciato, senza accorgermene. E tu, te ne sei accorto? Perché non me l’ hai detto? Non avresti cambiato le cose, ma potevi almeno avvertirmi: é giusto che uno sappia che sta diventando pazzo. Oppure sei stato tu a farmi cadere nella follia? Dimmi, é questo? Per questo hai taciuto? Forse quello era l’ obiettivo che ti proponevi?
No. Non sei stato tu. Io sola ho messo mano alla cosa: non ho dovuto lavorarvi molto, é stato facile, non ha richiesto fatica né perizia. Nemmeno consapevolezza. Se me ne fossi resa conto, avrei cercato di fermare l’ avanzare della follia? Non credo. Anzi, ne sono certa.
E’ dolce la mia follia, ha il sapore dell’ infanzia balbettante, il colore delle foglie appena spuntate in primavera, l’ odore del muschio sui tronchi dei pini, ti lascia la bocca fresca come dopo aver affondato i denti in una manata di neve appena caduta, ti riempie la mente, gli occhi, il cuore. La mia follia mi é cara. Dolce é di notte quando scende dentro di me come l’ alito di un amante, dolce é alla luce del giorno quando mi stringe e mi difende dai ricordi del passato. Proprio non ne potevo più di reggere il fardello che il mulo porta salendo su per il fianco del monte, a occhi bassi. Ora non sono più mulo, sono aquila che domina il cielo in libertà, sono un fringuello canterino mai stanco di volare.
Solo questi legacci mi infastidiscono, tirano e stringono e tendono il corpo. Mi torturano? Mi uccidono? Chi lo dice? Questi visi severi? Sono solo il passato. Finito. Terminato. Dicono che basti una scarica, elettrica naturalmente. E loro spariranno.
Una poesia di Mario Bressan, da Sillabe, Vitale Edizioni, 2007

Steven Kenny, “The Wedding”, 2004
l’ assenza mi ha invaso.
le mie ciglia
sono madide
di silenzio.
vorrei sentire le tue mani
che mi accarezzano
l’ anima.
per non morire ora.

mi raccolgo come fossi
a terra caduta
mi prendo in mano e
mi osservo
la bava di seta tessere
al vento oscilla
perfetta geometria
di laborioso dolore,
fragile rete dove il sogno
nidifica.
A margine,
il ragno.
Una poesia di Marzia Serra

Certe finestre hanno gli occhi vuoti.
Luci svogliate a sera. Tende chiuse.
Certe finestre guardano all’interno
e non sanno vedere.
Dietro le tende muovono presenze.
- Ombre cinesi dentro un’altra vita –
Sbatte insistente al vento una persiana
durante il temporale
Fioca una luce fino a tarda notte
forse veglia i pensieri e la scrittura
esorcizzando spettri sghignazzanti
d’insonnie allucinate.
Sulle punte dei sogni certe notti
salgo le scale, afferro la maniglia:
su ruggine di cardini la porta
apre lenta stridendo.
Mi aggiro per le stanze addormentate,
mi accosto ai vetri: non si vede fuori.
Certe finestre guardano all’interno.
Dove non vuoi vedere.