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Vorrei

dicembre 8th, 2008 by admin

Io sbircio il sogno dall’ angolo stretto
dove sto conficcata, spalle al muro e
nessun rimando d’ azzurro
sbircio il sogno dalla fessura fra le stecche della veneziana
storta e corrosa da anni di inferno e di smog

vorrei volare nel sogno
sospeso e rimanere al caldo
nel suo alone invitante
nel suo ventre rovente
di lunghi sussulti interiori,
a occhi spalancati, per non perdermi niente
a occhi spalancati per saper domani
ritrovar la strada che al sogno
conduce,
io, ostaggio di quotidiana follia.

Ciò che provo vivendo

dicembre 5th, 2008 by admin

Una poesia di Benito Ciarlo

Ciò che provo vivendo 
è un dejà-vu patetico.
Ogni domanda è inutile. 
Alla luce dei secoli
ho tutte le risposte, 
tutto è già stato detto.
È questo il paradosso 
che provoca incertezze:
quando ci penso dubito 
persino d’esser vivo. 
Se cercassi una prova 
dovrei guardarmi dentro
in modo da capire 
se sono vero o astratto.
Potrei perfino credere 
ch’esisto perché scrivo,
potrei, però non tollero 
che la prova assomigli
al pensiero d’un Altro 
che si scoprì pensando.

Perciò nelle mie viscere 
spesso risale il grido:
“Voglio meravigliarmi!” 

Posso goder del fulmine 
che incendia la foresta: 
ne ruberò il bagliore .
Voglio profumi nuovi, 
nuovi ritmi, più luce,
ruscelli rompicollo 
ch’esondino dagli argini.
Voglio stelle diverse 
da quelle dei Caldei.

S’ogni tempesta è figlia 
d’un cielo ch’era terso
esigo le mie nuvole! 
Non posso accontentarmi
d’antichi cieli lindi, 
posso aspettar che spiova.

Datemi un paio d’ali, 
non voglio morir bruco:
cerco la metamorfosi, 
non importa se Icaro
sciolse le sue tentando. 
Posso librarmi anch’io!

Come isola

dicembre 2nd, 2008 by admin

Fragile l’ ora
scorre
in acqua sotterranea
e terra erba germogli
si fa,
in un sospiro
crea ricrea circoli nitidi
in giri concentrici s’ avvolge
si srotola poi e lunga si dipana
lingua di fiamma crepita e arde
fulminea scatta e l’ attimo travolge
futuro è già che incalza e preme e grida
colpi batte alla porta,  il silenzio scardina
 
- gira la ruota insieme
all’ ora che furtiva
si defila -
 
e sto come isola persa
alle correnti,
in attesa del tocco
che al piede imprima il passo,
ma è sera ormai e lento
è il battito
lento, così lento
mentre l’ ora corre
e grani di corallo
infila, monili
come domani,
pesanti al collo,
preziosi di
fredda luce
che il vetro riflette
convessa
e fastidioso
l’ occhio coglie
in un battito di ciglia.

La leggerezza delle foglie

dicembre 2nd, 2008 by admin

… ma l’ universo grida
tutto il dolore,
l’ affanno della corsa
rintraccia nell’ ordito
delle stelle
s’ oscura di nubi
chiamate a burrasca
s’ annera infine
e l’ animo schianta.

Infinita la leggerezza delle foglie.

The tomorrows

novembre 30th, 2008 by admin

Tomorrow
things will change,
you said.
Tomorrow it will get better,
you were so sure.
 
Tomorrow was yesterday or
maybe ten years ago
‘cause years have gone away
in this chain of tomorrows
lurking ghosts just behind the corner
but still you talk
of tomorrow,
 
it is no longer any tomorrow
I cry
tomorrows ‘re tired to death.
And you look like the one
in despair for missing
his point.

 §§§


Domani
le cose cambieranno,
dicevi
domani andrà meglio,
ne eri certo.
 
Domani era ieri o
forse dieci anni fa, perché
gli anni se ne sono andati
catena di  fantasmi
che sbirciano da dietro l’ angolo,
ma ancora tu parli
di domani.
 
Non ce ne è più di domani
io grido
i domani sono andati. E
tu sembri uno
disperato
per aver perso al gioco
la sua fortuna.

Private, Time and Memory, N. 18, 2000

Greve

novembre 28th, 2008 by admin

Greve ora
scandita da
battito di dita
sull’ orlo della riva
sul bordo della veste
 
adesso
rimbomba la corrente
fra gli argini alla diga
 
pietra l’ acqua canta e
affonda l’ ora
in istanti
di pensieri.

Come questa porta

novembre 27th, 2008 by admin

Una poesia di Rose Bazzoli


La mia vita
con le sue vecchie ferite rughe
vene e venature
-che dicono i suoi anni-
percorsi di sangue lacrime umori
e passioni.
Il tempo trascorso a rincorrere
sogni e a passare attraverso
cerchi di fuoco anelli che bruciano
a mettermi alla prova
e vincere le mie Termopili.
Come questa porta,
ha una vecchia serratura arrugginita.
Dicono che una goccia d’olio farebbe al caso.

§§§

Like this door

My wrinkled life
with its old wounds and veins and grains
-you can tell the age from that-
paths for blood tears humours
and passions.
The time passed to chase
dreams and go thru rings of fire
and burn testing me
winning my Thermopylae.
Like this door
it’s got an old rusted lock.
They say a drop of oil might help.

Translation by Rose Bazzoli

e – mail

novembre 26th, 2008 by admin

Zdzisław Beksiński, ZĄ, 1998

Quando la luce  da bianca si era fatta azzurrina con punte color di cenere, anche gli oggetti si erano trasformati, assumendo forme strane, spigoli e curve che non si erano mai visti. Si faceva fatica a coglierne le nuove dimensioni che erano, poi, apparenti. Così gli oggetti spesso cadevano di mano e si spiaccicavano al suolo. Pareva d’ essere alla fiera della rottamazione, solo a guardarsi in giro. Lui non trovava più il suo power book. Nel senso che s’ era liquefatto nell’ azzurro scuro di una sera fra le pareti e gli apparecchi sulla scrivania, inghiottito da ombre che correvano nell’ aria e parevano divorare in un uniforme colore tutto ciò su cui si avvolgevano. Eppure, c’ era. Lo sentiva. Ne sentiva il fruscio, il richiamo del modem acceso, spento poi di nuovo acceso. Ormai era sfinito dalla ricerca. Andando a tentoni sui piani prima, a mezz’ aria poi, infine tendendo le braccia e le mani verso l’ alto, tastando il niente sperando di sentire sotto la pelle il contatto con la superficie liscia del monitor. E aveva paura. Paura di sparire anche lui, come persona, come, si diceva, tanti avevano incominciato a sparire, trasferendosi chiamati da nuovi impulsi, nell’ altra dimensione. Lui non ne voleva sapere di andarsene. Non ancora almeno.
Doveva mettere le mani sul power book. Doveva trovarlo, vederlo, usarlo. Solo dopo, avrebbe potuto lasciarsi andare al richiamo sottile di quell’ aria nuova, di quella luce opalescente. Quando s’ avvide che le mani incominciavano a farsi trasparenti, lo prese il panico. La ricerca diventò frenetica, senza rigore logico, senza lucidità. Solo bisogno istintivo di trovare: necessità fisica. Chiuso nell’ ufficio da giorni, ormai, mentre la luce si faceva sempre più scura e il fenomeno non era più analizzabile, casualmente lo trovò in un angolo dove aveva cercato, tastato un miliardo di volte: come se lui e il pc avessero fino ad allora giocato a rimpiattino. Lo prese di furia, lo tenne stretto come un disperato, ne cercò alla cieca i pulsanti, la tastiera, il mouse, individuò i comandi, attivò il modem, si connesse: funzionava così, anche alla cieca. Controllò la posta elettronica: sentiva solo fruscii. Il monitor acceso azzurro cenere trasmetteva immagini sfocate che impallidivano subito e subito sparivano. Si cancellavano. I messaggi svanivano in pochi istanti, neanche il tempo di leggerli e non c’ erano più. Lui ne cercava uno, solo uno e alla fine lo trovò: comparve per un secondo e sparì: ma il tempo era stato sufficiente per leggere le due parole e rapido fare un reply:
“Ti amo” diceva il messaggio
“Ti amo” diceva il reply.
Poi niente ebbe più una grande importanza. 

Da Snail

L’ insegna

novembre 26th, 2008 by admin

Giovanni Bettolo, Il deserto dei Tartari

Svetta rossigna
l’ insegna nel vento
su fondali di dune mutanti.
Mare di sabbia,
rosa di albe e tramonti,
lontano addita il percorso, 
insinua l’ attesa:
fra rocce scolpite in fortezze
e dirupi scoscesi
in pinnacoli tesi
si dipinge la trama,
il colore si fila in silenzi
assordanti.
 
Io sentinella
alla torre più alta,
attendo
che l’ aria respiri,
profonda lacerante ferita
imprima a sigillo del
mio divenire.

Concorso Lietocolle, Visiolemma – Rivista Arte-incontro, marzo 2007

Vecchia ciociara

novembre 24th, 2008 by admin

Un racconto breve di Paolo Secondini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amos Cassioli, Ciociara con fazzoletto in testa

  Maddalena, quando io la conobbi, era una vecchia emaciata e ricurva, dalla pelle cascante, grinzosa. Indossava il costume tradizionale della sua terra: una lunga sottana nera e una camicia pieghettata e adorna di merletti. Intorno alle spalle portava un liso scialletto a piccole frange e, in testa, un bianco fazzoletto inamidato.

   Percorreva spesso le impervie stradine di campagna, per recarsi nei vari casolari a togliere malocchi o guarire la gente da piccole afflizioni: mal di denti o dolori alla schiena.

   Camminava lentamente, una mano poggiata a un bastone e l’altra sul fianco, come a sorreggere ulteriormente il suo corpo fiaccato dagli anni.

   Quale fosse l’età della vecchia nessuno sapeva. Neanche lei, probabilmente, la ricordava: tanti lustri erano trascorsi da quando era stata bambina.

    A quanti, incontrandola per via, la invitavano a salire sul carro o qualsiasi mezzo di locomozione, lei rispondeva che il Signore l’aveva fornita di gambe e che, pertanto, avrebbe camminato, senza mai lamentarsene, fino all’ultimo istante della sua vita. E spesso aggiungeva, con un lieve sorriso negli occhi e sulle labbra:

   – Quando verrà il mio momento, morirò per strada. Avrò almeno percorso già un tratto per giungere in Paradiso.