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Una poesia di Carmen di Lorenzo
Fotografia di Josephine Sacabo
Visse in me da clandestina
per l’erosione del dolore o
per l’aurora di una gioia.
Fu indulgenza e vittoria.
Fu luce e penombra.
Fu la mia ossessione.
Il morso della sua esistenza
era il succo che avvelena,
l’emorragia di un flusso
che finisce con un amen
e poi è armonia.
La convivenza nostra pareva
coercizione,
invece fu la complicata
coesione di due opposti.
La sofferta perfezione
(che invocata, mai arriva).
Lei pagata sotto costo
senza il passaporto l’identià
non rivelava
e ricamava di nascosto
la bellezza del poema,
mi ammoniva.
Così divenne da abusiva
la mia padrona (e maestra).
Vivemmo, sopra il tempo
in un castello di percezioni.
Jerry Uelsmann, Free spirit
c’ è sempre
quel filo di sole che stende
all’ abbraccio la luce,
che limpido l’ occhio
trafila,
calore colore nella pelle
sotto l’ unghia che scava – profonda -
la sabbia in cerca
del nocciolo rimasto bambino.
Il seme.
Duy Huynh, Rebirth
passo passo avanzi
sul filo
del finito incompiuto
dello stare e restare sempre
al palo,
vietato lo scatto
proibito il volo,
negata l’ essenza della parola
non ancora trovata, mai nata
eppure presente nelle crepe del muro,
i fossi ridono fra steli rinsecchiti e
cartacce mischiate a sogni abortiti,
solo resta l’ andare a passi lenti
e uguali
sbiadite occhiate
e fradici sorrisi
mentre sul lago l’ airone vola
e l’ ombra si perde, arresa.
solo terra siamo
e radici
nella terra radicate,
solo acqua
e stelle di mare,
orizzonti distesi
da cercare,
arcobaleni siamo
dopo l’ uragano
e schegge di vetro
che il tempo frantuma
e il firmamento accende.
come nasce una poesia
senza bisogno di sedurre silenzi
né di comporre ossa
una poesia
nasce anche così
solo guardando il coraggio
di una casa a picco sul mare
anche per oggi non si vola
si rimane,
guardando il buio
con tutto quel vuoto
seduto dentro agli occchi
senza un’edera di rimpianto
un tuono
la luce d’un lampo.
Immagine di NaNa
il filo rosso
stretto da collo a collo
il laccio di seta rossa
il nastro che lega capo a capo
mano a mano
come il filo di sangue dal foro nel lobo
dal colmo della gola senza corde
percorre sinuoso il braccio, la mano, le dita
fino all’ unghia percorre e lì
indugia feroce in attesa
il limpido cuore a svuotare
a colmare
il fiore dell’ amore
sbircia la passione dal velo
e trema all’ oscuro trasalire in ogni movimento
in ogni spazio, in ogni respiro
tesa, la notte, a fluttuare
sospese particelle
ogni alito caldo rappreso infine
nel freddo calcolato giornaliero flusso
quando i conti sterili e necessari
si pongono di qua dalla siepe e incalzano d’ urgenze simboliche
il sale e il pesce
e l’ olio e l’ aceto
il pane ancora da spezzare
disagio della mente
e il conto è salato
non torna la somma dei giorni
smarriti la corsa e l’ ansito
il desiderio nascosto nel pozzo infinito dove finiscono le cose maltrattate
ingannate
deluse
farsi amo – re lucente, amo lanciato a ripescare dal fondo il dono
ricolmo di sé, frantumati ritagli di tempo sprecato
devo comprare la colla
quella che tiene per sempre
e poi scheggia a scheggia rimettere insieme i pezzi
e scavare scavare nell’ arido fondo
quel che palpita
ancora.
Amore in cerca di sé.
Immagine di pikimota
stratificazioni ossee
fin al cuor del mondo
penetranti
in rigide ghirlande
serpeggianti,
corrono dorsali
di pensieri paralleli
eppur lontani
ombre dilagano,
all’ infinito
sfumano il reale
cade la goccia
la pietra a consumare.
si schioda l’ indice
dalla bocca muta
la bocca dove farfalle
stanno ingabbiate
ali multicolori solleticano
il palato in fremiti di parole
amore e morte son brividi di sangue
gorgheggi persi in gola
abissi senza fine
gioia dolore
inseguono la traccia
del profumo nella carne
si schioda l’ indice dalla bocca muta
e là addita dove s’ invermiglia
il corso delle cose fissate al muro
il calendario, il quadro, il pendolo,
quel mazzo di spighe secche
il tuo sorriso smarrito in nebbia
che svapora.
ringhio alla voce
del tempo
che chiama
illusori datari cementificati
di ieri finiti
ancora voraci di pelle
e sangue
delle albe che restano
come in cornice
sospese sul
davanzale
è il fardello degli anni
che pesa
soma che non si scolla
dalla costola ossuta
limata dall’ avrei potuto
dire
fare
andare
chiudere
questa porta antica
battente logorato
e sbarrarla con catene
strette e paletti fissi
e poi gridare
con la palpebra calata
a sipario.
In difesa.
si pongono le strade
per via
dal punto focale divergenti
corrono le strade fra cordoli
duri cementificati,
confini senza sconto,
ma tu
rincorri l’ estro d’ andare
per cammini sommersi
reperti antichi da
ritrovare e note perse
da risuonare
dentro
spezzi la canna palustre
respiri sott’ acqua,
pulsante di lunghe attese
e spasmodiche,
nel pieno silenzio
che il sorger del sole
accompagna,
un canto ti fai, un inno,
dentro.
E
sgrani la vita.