minimalia

 

 

Note minime
 

solo piccole cose
minimi gesti
intonati
allo specchio,
note nel vetro riflesse
cadenze arcuate
con cura dosate,
lievi e solenni
all’ attimo fissate:

petali perfetti
del quotidiano fiore
che profumando
muore.

§§§

Il prato

Ero uscito a farmi una fumatina. Uscivamo a turno o a coppie, noi insegnanti dei corsi pomeridiani, afflitti dal vizio del fumo. All’ aperto, vicino alla porta secondaria sul retro, era sistemato un grosso portacenere a colonna perennemente traboccante di cicche. Qualunque tempo facesse, qualunque stagione fosse, si ciccava lì. All’ aperto. Quel giorno ci si stava da dio. Primavera appena iniziata. Sole caldo quel tanto che bastava e il prato steso lì, davanti all’ uscita posteriore, verde che era una meraviglia,erba fresca e nuova, e manciate di margherite a fare chiazze luminose
Poi vidi la ragazza. Jeans e maglioncino, camminava leggera sul prato. Leggera. Pareva che cercasse di non calpestare le margherite. Slalomava fra i fiori. Sull’ erba.
Vidi poi che giovane non era. Non una ragazza, ma una donna. Una donna matura. Quasi anziana. Mi aveva ingannato l’ andatura giovanile. Pensai è una con dei problemi.Rimasi fermo, a ciccare, a guardarla. Mi affascinava. Pensai è come una magia. La donna passò oltre e si allontanò. Io finii di fumare e rientrai.

Il giorno dopo, quando nell’ intervallo uscii come al solito, vidi che il comune aveva mandato la falciatrice. L’ aggeggio impazzava su e giù per il prato, tagliando l’ erba e decapitando le margherite.

§§§

Cartolina

spalanco la finestra:
colline di terra e sole
una casa sulla cima
sentieri per caprioli
verde d’ erba

parole penso
fragranti,
da custodire
per l’ inverno a venire
e il freddo e il gelo.

§§§

Della pace e non solo

Credeva che la pace fosse preziosa. Da custodire. Da preservare. La pace dell’ anima. Quella che tiene il cuore al caldo. La pace in famiglia. Che fa di ogni giorno un’ opera d’ arte. Quella fra i popoli. Sì. Che promuove civiltà. Progresso. Ben vivere.
Ci credeva. Convinto.
Ci credeva ancora quando il nuovissimo fronte di liberazione democratica popolare antimonopoli antifederazione, antinquinamento, antispeculazioni, anti-anti-anti-… fece saltare in aria il palazzo delle telecomunicazioni.
Dove suo figlio faceva l’ usciere.
Dove sua moglie puliva le scale.

Li seppellì entrambi in una scatola da scarpe. Tornando a casa, pensò alla pace, la sua pace.Quella dell’ animo, quella famigliare, andate per sempre. Quella fra i popoli. Gli parve remota. Così remota. Quasi un insulto alla sua intelligenza.

§§§

Pioggia

dopo la pioggia
esce il passero
dal folto del pino,
scuote le piume
apre le ali
al volo
fra gocce sospese
e pallido sole

di brivido breve
vibra l’ aria.

§§§

Il vinto

La vide appannarsi d’ un tratto. Dalla sera alla mattina. Chinare il capo. Cedere.
E’ stanca. Si disse.
Si sentì in colpa. Pensava infatti d’ essere lui la causa prima di tanta stanchezza.
Le cose miglioreranno. Si disse, rassicurandosi.
Se lo diceva da un trent’ anni. Lo sognava da una vita.
Che lei potesse smettere di sfiancarsi.
Mentre lui inseguiva speranze e cavalcava una sfiga perenne.

Solo dopo capì che era troppo tardi. Quando una mattina di inizio primavera, svegliandosi, scoprì sul guanciale a fianco del suo, il volto rasposo, vizzo, cadente d’ una vecchia che dormiva un sonno di piombo.
Allora è proprio finita, si disse, riconoscendola.
Affondò il capo fra guanciale e lenzuola e pianse.

§§§

Neve di Marzo

Ultima neve
caduta tardiva
su gemme precoci
che già sanno di sole
la mente riporti
a lunghe gelate,
nebbie mantelli
i suoni a smorzare

ma presto acqua
ti fai
e garrula scorri nei fossi
la terra t’ assorbe

la primula il capo rialza
ed è primavera.

§§§

Il quadrifoglio

Quando trovò il quadrifoglio, unico fra centinaia di trifogli a ciuffi nel campo, si chinò giù, per verificare che davvero avesse quattro foglie. Le contò. C’ erano tutte. Tutte e quattro. Allungò la mano, per coglierlo. Poi la ritrasse. No. Non lo avrebbe messo, breve stelo, a ingiallire in due dita d’ acqua in un bicchiere in cucina.

Si sa, i quadrifogli portano fortuna. Per questo si fanno ciondoli, d’ oro o d’ argento, da portare appesi a catenelle e braccialetti. Perché il quadrifoglio è di buon augurio.

Lasciarlo lì, verde e sorridente, nel campo, era forse rinunciare alla buona sorte? Forse per questo le cose avrebbero continuato ad andargli di traverso? Forse.

Ma intanto il quadrifoglio avrebbe continuato a stare lì dov’ era nato. All’ aria. Nel sole.

In fin dei conti,poi, lui non ci aveva mai creduto alla fortuna. Solo alla sfiga. Quella perenne.E chi ce l’ ha, se la tiene. Quadrifoglio o non quadrifoglio.

§§§

Memoria a breve termine

Vincent Van Gogh, Vaso con cinque girasoli

All’ inizio ci fu un gran mazzo di fiori primaverili, in segno di amore e di ricordo.
Lo fissarono al palo della luce dove la strada si gira nella curva, proprio prima del ponte dove tutto s’ era compiuto, il volo mortale della moto.

Il mazzo restò lì a seccare nel sole estivo e a marcire nelle piogge prima autunnali, poi dell’ inverno.

La primavera successiva venne tolto e, in nome dell’ amore e del ricordo, fu sostituito da un cuscino a forma di cuore fiorito di girasoli splendenti.

I girasoli si spogliarono del loro colore, dei petali e delle foglie nel sole estivo e marcirono nelle piogge prima autunnali, poi dell’ inverno.

La primavera dopo non venne sostituito con niente.

E’ ancora lì, dopo tre anni, una sagoma bruna a forma di cuore con, sporgenti dal centro, i brevi stecchi che sono stati i sostegni delle gran corolle di girasoli.

Pare un cuore trafitto da frecce. In nome della dimenticanza.

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Amore, solo per amore

Edik Belsky, A sunny day

 

Non so se sia colpevole amare gli animali come io li amo.

Non so se questo amore dipenda, in parte almeno, dalle delusioni che gli esseri umani mi hanno regalato, a piene mani.

Non so se se dipenda dal fatto che l’ animale, il cane nello specifico, sa amare incondizionatamente e gratuitamente, pare non chieda altro che dare amore.

E io non sono mai riuscita a resistere e ho ricambiato l’ amore dei miei cani con amore.

Dieci giorni fa, Emy, l’ ultimo dei miei cani, l’ ultimo che ho avuto e mai avrò, è morta.

E io sono, non triste, ma semplicemente distrutta. Ero preparata: Emy era anziana e malata. E’ stata malata per tre anni, peggiorando gradualmente. Sono stata con lei, sempre, nei suoi ultimi dodici mesi, non ho voluto perdermi un attimo di lei, non ho voluto perdermi un suo sguardo, ho memorizzato la sua dolcezza, la morbidezza del suo pelo, la gioia che mi trasmetteva con il suo cercarmi e chiamarmi e accoccolarsi, con il suo respiro quieto, con il suo godersi il calore del fuoco nel camino. Abbiamo passato così l’ inverno, io e lei.

Ora che mi ha lasciato, mi restano i ricordi e mi accorgo che non mi bastano.

Ho piantato sulla sua tomba un piccolo pruno giapponese che è tutto un’ esplosione di piccoli delicati fiori bianchi.

Emy aveva tredici anni ed era una pit bull.

Sì, una pit bull, e tenerissima.

Come gli uomini non sanno essere.

E, se amare un cane come io ho amato lei, è una colpa, bene, mi prendo tutta la responsabilità di questa colpa.

§§§

Il saluto

Edik Belsky, The spring

 

Entrò piano, nel buio della casa, delicata sulle zampe dalle punte bianche. Gli unghioli scivolarono leggeri sulle piastrelle. Annusò intorno: sì, era casa. Non c’ erano più le sue ciotole nell’ angolo in cucina. Non c’ era la sua cuccia sotto la finestra del tinello. Non c’ era più la cuccia nella saletta, ai piedi del divano, proprio accanto al camino. Ma c’ era l’ odore, l’ odore di lei  e di loro. C’ era la copertina sul divano, quella bella calda. Dalla stanza veniva il loro respiro regolare e fondo: dormivano. Scivolò fino alla porta, aperta. Sbirciò dentro, il buio interrotto dalla bassa lucetta notturna, solo per salutarli. Salì le scale e nello studiolo, ecco, sì c’ era la cuccia con la sua palla dentro. Tornò giù, saltò sul divano, si distese sulla copertina e chiuse gli occhi, grandi e tondi, per un momento.

Perché aveva solo un momento a disposizione, per ritrovare il profumo della sua vita e le carezze e i giochi fatti e il calore delle loro braccia che l’ avevano sostenuta e sorretta e abbracciata fino all’ ultimo. Aveva poco tempo, qualcosa la chiamava per andare dove lei non sapeva, verso un altro luogo dove sarebbe stata bene, lo sentiva, dove avrebbe avuto calore e luce a volontà, dove avrebbe ritrovato Kuma e Luli, ma dove loro non ci sarebbero stati. E questo non le andava bene. Ma non poteva farci niente, per evitare il distacco definitivo. Era stata sempre lì intorno, in quei giorni, dopo la sua morte, guardando ogni cosa, era passata vicino vicino alle loro gambe, aveva atteso per sentire le loro voci, li aveva visti entrare ed uscire di casa, lavorare in giardino, piantare un piccolo cespuglio dove avevano sepolto il suo corpo.

E uno di loro le parlava e le diceva di come fosse caldo il sole, di come presto sarebbero fioriti gli alberi da frutto, di come lei sarebbe stata bene… di come mai lei sarebbe stata dimenticata, mai.

Lei ascoltava e capiva tutto, sentiva una lenta nostalgia salirle dalla coda alla gola, nostalgia  di loro che non potevano vederla.

Ma era ora. Doveva andare. Scese dal divano, piano. Si stirò, bella lunga… e l’ unghiolo strisciò sulla piastrella, fu solo un un fruscio. Ma bastò. Mentre spariva verso l’ altrove che la chiamava, vide accendersi la luce nella stanza, sentì lei che metteva i piedi a terra e si alzava, come tante volte aveva fatto durante la malattia, la sentì uscire dalla stanza, a tentoni…

E sentì, lontanissima ormai, la sua voce: Emy???

Ma Emy era nuvola e pioggia e luna e sole. Era ramo e radice e sangue e linfa. Era sogno e realtà, amore e dolore a rincorrersi nel giro infinito del tempo. Era corsa a perdifiato in prati verdeggianti, quasi un volo e, sì, c’ erano proprio Kuma e Luli  con lei …

La donna  aveva acceso la luce grande nella saletta. Ogni cosa era in ordine. Eppure aveva sentito qualcosa, uno sfrigolio, proprio come faceva Emy quando si stirava. Guardò il pendolo, segnava le 4 e un quarto. Il sole sarebbe sorto di lì a tre ore. Spense la luce grande, accese la lampada piccola sul tavolino, si mise sul divano e si avvolse nella copertina. Le parve che fosse tiepida del tepore che lasciano i corpi. La gola le si chiuse in un groppo, mentre il sonno la prendeva, al pensiero del suo cane che se ne era andato dieci giorni prima. Poi, di colpo, si rimise seduta, e nella penombra alzò la mano e fece, cercando in ogni singolo angolo della stanza, Ciao, ciao, ciao…, come ricambiando un saluto.

Rimasero nell’ aria, come sospesi, un sorriso e un breve vivo respiro.

§§§

Ritorno all’ Eden

Edik Belsky, The garden
Io lo so. Che c’ è un luogo proprio sul filo dell’ orizzonte, quando sul mare l’ orizzonte é così sottile da far sembrare il cielo mare. Un luogo lontano, ma tanto lontano che per arrivarci bisogna saper volare, almeno con il cuore.

E’ un posto speciale, sapete, ed è per questo che ve ne parlo.

Speciale?

Sì.

Come non potrebbe essere speciale un posto dove la luce è sempre chiara, tutta un brillio leggero e l’ aria è tiepida e profumata? Lì i colori sono vivi. Vivi come gli alberi e i fiori e l’ erba. Lì gli alberi raccontano storie antiche di radici profondissime, nate nel fuoco e nella lava. Lì ci sono prati come distese immense, a perdita d’ occhio, quasi un infinito mare verde.

Ma, vedete, c’ è anche di più in quel luogo, un qualcosa di diverso nel sentirsi, nel viversi, che ti fa stare in pace con te stesso e con gli altri. Qualcosa che ti avvolge, si fa bozzolo caldo intorno a te e tu sai che ti ripara, che ti custodisce. E’ una sensazione sconvolgente, perché mai, qui da noi, o almeno, quasi mai, ci si sente così. E’ come non esistessero più la lotta, l’ angoscia, la paura, il dolore…   solo una pace immensa stesa come un lenzuolo bianco di bucato a rivestire l’ universo per quanto l’ universo si estende, di cielo in cielo, di stella in stella.

Ma forse quel luogo è davvero sospeso fra le stelle, è le stelle.

Non esiste strada per arrivarci, ve l’ ho detto. Non ci sono indicazioni, né mappe. Neanche Google aiuta. Lo si trova per caso, a volte lo si trova quando un grande dolore ti mette in caccia di un perché. Perché è successo questo o quest’ altro? Perché?  e ti metti a cercare e cercare e ancora cercare e allora capita che lo si trovi se la ricerca è fatta per amore e con amore. Se la paura di dimenticare ti prende alla gola e tu non vuoi dimenticare, anche se sarebbe più facile, anche se soffriresti di meno.

A me è capitato di ritrovarmici  di colpo, una notte che non riuscivo a prendere sonno e mi giravo e rigiravo nel letto e il cuore mi batteva forte fino a togliermi il respiro. Ricordo che sul fare dell’ alba ero sul punto di alzarmi, quando, invece, gli occhi mi si chiusero e, credo, mi addormentai per sfinimento. Trovai quel luogo. Mi ci ritrovai dentro, e trovai tutto di me e degli altri, un mondo fuori dal mondo, oltre il tempo che conoscevo. D’ istinto capii che era un altrove, anzi l’ altrove dove ogni cosa aveva un senso, dove ogni domanda aveva la sua risposta e ogni  incertezza non aveva più significato. Solo dominava l’ essenza. L’ essenza  dell’ essere stato, dell’ essere ancora, compiutamente.

Lì ritrovai gli amici creduti perduti, gli anni creduti persi, le gioie smarrite: erano tutti lì, insieme, come se mi aspettassero. Ero a casa, finalmente.

Da allora ogni notte li vado a incontrare, ritrovo quelli da cui ho dovuto separarmi, perché nella vita capita così.

E torno ad amare, persino me stessa, perché di giorno mi è sempre più difficile. La vita è anche così.

Nel luogo dove l’ impossibile diventa realtà, proprio là in fondo c’ è il prato con il ciliegio selvatico sulla destra. Lo si trova subito: dietro c’ è sempre, sospeso, un grande arcobaleno. Lì  vive la banda di Settefonti.

 

Max che sapeva sorridere

Elvis che  amava le grattatine sulla schiena

Kuma che sapeva fare la divina

Lula che adesso non è più sorda

Russell che era un campione

Ida che sapeva dello zucchero del riscatto

Ir che sapeva del latte dell’ infanzia

e poi

Emy che sapeva parlare

 

Stanno bene. E nulla manca loro.

Max con Elvis controlla la truppa, che tutti si comportino bene.

Kuma e Lula  si riposano  dopo una gran corsa a perdifiato insieme a Russell

Ir dormicchia, gli occhi semichiusi.

Ida sta vicino a Emy che è l’ ultima arrivata, perché non si senta spaesata.

Ma Emy li ha riconosciuti subito e ha fatto salti di gioia.

Un poco più in là c’ è Snoogle, bruno e imponente che trotta nel prato, senza più recinti intorno. All’ improvviso passa dal trotto al galoppo ed è tutto potenza di muscoli e zoccoli.

E’ come un segnale: la banda si muove, tutti insieme si lanciano nella corsa, in una corsa senza limiti, senza punto d’ arrivo, movimento puro.

Ritornano ansanti ma ancora accennano un gioco fra di loro, sono zampate, scodinzolii, finte e finti mordicchiamenti.

 

Sapete, loro sono stati, un tempo, il mio piccolo Eden qui, sulla terra, in un posto chiamato Settefonti quando mi sentivo ricca dentro, che di più non si poteva, ricca,  felice, appagata.

Adesso che tanto di tempo è trascorso, adesso che sono sola sulla terra degli uomini, il mio Eden mi chiama là ogni notte, appena spengo la luce e mi addormento.

Loro mi riconoscono e mi corrono incontro, mi saltano intorno, mi fanno festa.

Ogni notte. E io prendo Emy fra le braccia e accarezzo l’ orecchio a rosetta e sento il pelo come seta sotto le dita e sento il suo lieve respiro, ascolto i suoi lunghi discorsi e guardo nei suoi occhi nocciola che sanno tutto dell’ amore. Sono felice. Mi sento ancora giovane, quando ogni giorno si apriva su speranze rinnovate.

Poi viene l’ alba e mi sveglio. Ma non importa il nuovo giorno, con il suo grigio uniforme e nessuna speranza: so che posso affrontarlo.

Io lo so che esiste quel luogo. Perché lo conosco, sapete. Ci sono stata e ci torno ogni notte, appena spengo la luce e mi addormento.