Archive Page 20

Itaca

gennaio 1st, 2009 by admin

Fuggente alla
corrente
di un mare antico
 
sogno e delirio
sacrificio  e respiro
 
sponda ritagliata
all’ orizzonte
sapore di viola
 
in lontananze
di vapore
ti si nega
 
né tempesta ti tiene
né fondo d’ acqua
o abisso
 
e dopo anni luce di lotta
e i draghi quotidiani
 
dopo la vita spesa
tesa a quel ritorno
 
quando ossa in croce
la carne ormai s’ è fatta
 
allora  - allora solo -
le sacre sponde tocchi
 
e 
 
il cielo si fa chiaro,
l’ acqua è solo spuma
quando Itaca  occhio di viola
la tua cenere bacia.

Primo Gennaio

dicembre 30th, 2008 by admin

Una poesia di Luciano Somma

Ancora stordita
da tanto frastuono
la notte sbadiglia
perchè è già domani.
Avrà il volto nuovo
quest’alba che spunta
neonata speranza
d’un anno sereno?
Laggiù all’orizzonte
io vedo una luce
più intensa e più chiara
sarà forse inganno?
Soltanto chimera?
Oppure aria pura
è questo l’augurio
per tutti quaggiù.
Vogliamoci bene
la vita è una sola
teniamola cara
vivendo in amore.
Con tutte le razze
da veri fratelli
sarà un’utopia?
Può darsi, chissà…

§§§

Still dazed by
so much  noise
night’ s yawning
‘cause it’s already tomorrow.

Maybe this dawn rising as
a newborn hope
for a fair year,
has a new face.

Over there, at the horizon
I can see a brighter light
gleaming.
Will it be only a cheat?
A mere illusion?

Or will it be pure air?
this is the very wish to
everybody, down here.

Let’ s love one another
as life ‘s only one
to be valued in love,
every race’ s worth of  love
as all of us are brothers

Will it be an utopia?

Maybe, God knows…

Tempo d’ inverno

dicembre 29th, 2008 by admin

 

nevica fitto
a larghe falde
la terra si veste di bianco
e dorme

sul prato, solo
la traccia di
un merlo smarrito

briciole di pane
e chicchi di
riso spargo
alla fame del gelo
in dono.

§§§

Wintertime

It’ s snowing
thickly, in large flakes
the land in white is sleeping

on the lawn, only
the print of a blackbird,
as got lost,
can be seen

crumbs of bread
and seeds of grain I sow
as a gift to this wintery
icy hunger.

Tempo di natale

dicembre 16th, 2008 by admin

 

Guy Coheleach, “Single Moose in Snow”

Tempo di natale
 
Come un alce che erbe
ghiacciate annusa
su, al nord
 
è inverno
e c’ è neve ovunque
 
come un alce
che paziente si scrolla
dalle corna il tempo
e se ne va lento a  spasso per la strada
di un paesino sperduto
da qualche parte nel nord
una mattina, proprio una mattina,
con la gente che passa nell’ aria fredda
 
che ci fa un cervo qui
davanti al caffè?
e Doris lo guarda dai vetri e dice, è un alce. Grazie a Dio, è solo un alce.
Poteva essere lui di ritorno,
a farmi del male
e i bambini ridono e circondano il cervo
e gridano finché il barbiere lascia la bottega e fa,
sciocchi che siete, andate a casa!
 
e l’ alce, lento, va oltre
e  per fortuna evita due auto e il furgone del lattaio
finché il paese finisce e lui scompare
poco alla volta
e gli alberi lo nascondono…
 
profonde impronte in fila
restano incise nella neve
questa mattina d’ inverno
in un villaggio del nord,
 
così scivola il giorno a svanire
nell’ ombra che la notte cavalca
e le stelle.

§§§

It happened in wintertime

Like a moose browsing
dry icy greenery
in the north
It’ s wintertime
and snow is almost everywhere
 
Like a moose
patient scrolling his time
by his antlers
and rolling along the street
of this desolated village
lost somewhere in the north
in the morning, just a morning,
 
with people in the cold air passing away
 
no idea what a moose is doing here
in front of the cafè
and Doris looks at him through the window and says
“It’ s a moose. Thanks God, it’ s only a moose. It might be he coming back
to hurt me…”
 
and children laugh at the moose and circle it and scream
till the barber comes out of the barber’ s shop and cries
“stupid you are! go home!”
 
and the moose slowly passes along
and luckily avoids two cars and the parish snow machine
till the village finishes and he vanishes little by little
and the trees hide him

a line of deep prints
is carved on the snow
this winter morning,
in this northern village
 
so slowly the day passes away
till night introduces
the shadowy stars.

Un Natale per Linda

dicembre 16th, 2008 by admin


“I’m dreaming of a white Christmas
Just like the ones I used to know.
Where the treetops glisten,
And children listen
To hear sleigh bells in the snow…”

Sto guidando verso l’ ufficio, questa mattina d’ inverno, come faccio tutte le mattine, qualunque sia la stagione, in mezzo al fiume di altre auto che dalla periferia si riversano in centro, ed ecco ancora l’ albanese che chiede l’ elemosina al semaforo, infagottato in una giacca blu, nell’ aria gelida tagliente di questo ormai natale pieno di buone intenzioni, e sono solo le sette e mezza e lo smog si raggela rimanendo come sospeso fra i tubi di scappamento e il mio respiro è pesante quasi un globo di di vapore consolidato, non ho acceso il riscaldamento, solo ora me ne accorgo
 
Cerco in tasca, allungo all’ albanese un biglietto  da dieci, no, uno da venti, non perché è natale, solo perché c’ è tutto questo freddo intorno a lui e intorno a me
 
Il semaforo scatta, parto
 
In ufficio ci sono alberelli sulle scrivanie, sintetici e rachitici, festoni di carta argentata appesi qua e là e la ragazza del centralino ha una piccola stella di natale appuntata sul bavero della giacca di lana
 
Sulla mia scrivania ci sono i giornali, gli appunti, i documenti, le relazioni e  c’ è la foto di Linda dentro il cassetto
 
apro il cassetto, scivola piano, e lei è lì, sorride luminosa
 
Neppure io so con chiarezza perché tenga lì, rinchiusa, la sua fotografia nella bella cornice di radica bionda che abbiamo comprato insieme
forse è solo perché non me la sento di  spartire, di Linda, niente con nessuno
non voglio spartire neppure la sua immagine. Che nessuno la guardi. Solo io, ogni mattina, quando entro in ufficio, apro il cassetto e le dico ciao
solo io, che per un attimo, solo un attimo, mi illudo che da un momento all’ altro mi possa chiamare all’ interfono, mettere la testa dentro l’ ufficio, dopo un leggero discreto bussare e chiedermi, caffè?
La mia segretaria perfetta.
Mi avevano dato la promozione e Linda con la promozione. Nessuno, neanch’ io, avrebbe potuto immaginare quanto poco importante la promozione sarebbe diventata e quanto importante sarebbe divenuta Linda. A quel tempo. Prima che le proporzioni si invertissero, prima che il valore della mia scalata ai piani alti perdesse di senso.
 
Caffè? Non ho sentito bussare. Forse non ha bussato, questa giovane donna seria e occhialuta, cortese, ma non gentile, che tutte le mattine, adesso, mi accoglie al posto di Linda. Anche lei porta un piccolo fiore, una stella di natale nana apppuntata sul petto. Ha un gran petto, questa nuova segretaria, pare che lo consideri un’ arma non so bene se di difesa o d’ offesa.
Caffè dunque. Domani è la vigilia. Dopodomani sarà Natale e poi ancora un giorno di festa. Conto mentalmente, vigilia natale santo stefano
senza albero presepio decorazioni senza voglie stimoli, il mio è un natale da encefalogramma piatto.
 
Mi lascio andare sull’ onda del lavoro, telefonata dopo telefonata, riunione dopo riunione. 
Auguri
Buone feste
Dove vai la vigilia?
Noi facciamo una festicciuola, poca gente, per stare allegri, vieni
Fai un salto da me
C’ è anche chi si allunga e tasta il terreno per l’ ultimo dell’ anno, che ne dici di fare capodanno in montagna?

                                                                 §§§

Le dico:
Vieni con me, Linda
Dove?
Da qualche parte, noi due. Soli
E’ Natale e a Natale si dovrebbe stare in famiglia
Tu sei la mia famiglia
Io? Nessun altro?
Nessun altro.
Non è vero. Hai una madre. Un fratello. Dei nipoti.
 
Chino la testa. E’ vero. Ho una madre, un fratello dei nipoti, una cognata, devo avere anche degli zii. Sono in contatto con tutti. Mi invitano sempre per anniversari e feste. A volte ci vado. E porto il mio contributo di regali e di sorridente presenza. Incontri che mi pesano. Mi riportano a giorni passati.
Rivedo un bambiino grassoccio, impacciato vestito per una festa, forse un natale, seduto composto sul bordo di una sedia dura, non sa che cosa farsene delle mani, sono sudate, le dita si intrecciano, si lasciano, tirano l’ orlo dei calzettoni
 
Sta’ composto
Non correre
Non dondolarti sulla sedia
Non tenere la mano sulla bocca
 
divieti obblighi troppi non. Mai superati.
 
Le dico:
Tu ed io. Soli.
Tu io mia madre mio padre e i miei fratelli. Io faccio Natale con i miei. Ti va di stare con noi?
 
Mi va? Non so. Ma il giorno di natale mi scrollo la neve dal cappotto davanti  a una porta che vedo per la prima volta, con i miei bravi fiori, panettone e spumante. Doni votivi.
Suono il campanello.
Non so se sia a causa di Linda, Linda pare illuminare tutto e tutti, non so se sia per lei, ma passo un bel Natale. Linda ha una madre piccola grassoccia e semplice, un padre che ripete spesso le stesse cose, due fratelli fissati con il football e la musica metal. La televisione resta accesa durante tutto il pranzo, nessuno la guarda, crea solo un sottofondo di parole e di musica che sottolinea l’ atmosfera tranquillamente famigliare. Mi hanno dato la mano tutti quanti, quando Linda mi ha presentato. Sono gentili. Forse un poco perplessi. Un filo curiosi. Sono un amico di Linda senza una famiglia sua con cui passare il giorno di Natale. Dopo pranzo usciamo, io e Linda. Ho ringraziato, stretto di nuovo mani, ho aiutato Linda a infilare il cappotto. Siamo fuori e non parliamo. Non nevica più. Non piove. Fa solo freddo. Un freddo bianco e azzurro.
Linda non chiede nulla, che cosa pensi dei miei? Mi prende la mano.
 
Camminiamo. Il parco è spoglio e deserto. La terra è dura. Risuona ai nostri passi. Abbraccio Linda. L’ amo disperatamente.
E lei chiede, come per caso:
Due o tre?
Cosa?
Di figli. Uno è poco. Il problema è: due o tre?
Due.
Sei sicuro? Tre mi pare meglio
Perché?
Non lo so. Lo sento.
Perché no? Avremo tre figli. Non c’ è problema. Maschi? Femmine?
Non importa. Vorresti che il primo fosse un maschio?
Un maschio? Sì, certo. O una femmina. Che siano pure tre maschi. O tre femmine. O un maschio e due femmine o due maschi e una femmina.
 
Non fa differenza. Quello che fa la differenza è che saranno i figli di Linda, quelli che Linda farà con me.
 
                                                                §§§


Lascio l’ ufficio verso le undici. C’ è vento fuori. Gelato. A bavero rialzato faccio un giro sotto i portici. I negozi splendono di luci e di colori. Guardo le vetrine. Gioco a immaginare quello che a Linda piacerebbe, quello che sceglierebbe.
A Linda piacerebbe l’ agenda con i fogli di carta riciclata, piacerebbe la gonna lunga scozzese, piacerebbe quella sciarpa blu notte, con solo un filo d’ argento che corre nella trama, piacerebbe quella palla di vetro con sopra dipinto un usignolo da appendere alla finestra, piacerebbe … a me piacerebbe che fosse qui con me.

                                                               §§§


 
Dice:
Compriamo quel fazzoletto grande, colorato per la zia
E quel grande paralume di carta increspata per la cugina
E guarda, come è bella quella scatola con i nastri, a mamma piacerebbe
 
E tu? Che cosa vorresti tu?
Indica di colpo la palla di vetro che, se la capovolgi, scende la neve. Dentro un minuscolo paesaggio di monti e di abeti.
 
Il mercatino è in fermento, la gente s’ affolla intorno alle bancarelle dove piccoli oggetti comuni sembrano tesori usciti da scrigni segreti
 
                                                               §§§

Arrivo alla piazzetta dove vendono gli abeti.
Linda non ama gli alberi sintetici, adora l’ odore dei pini, l’ agrifoglio, il rumore del ghiaccio che scricchiola sotto la suola, adora il freddo, l’ inverno che si fa estate, l’ estate che reclina nell’ inverno
In questo periodo dell’ anno, cantarella Jingle bells e White Christmas, rivede vecchi film, i classici sul natale, con James Stewart,Humphrey Bogart, Bing Crosby, acciambellata nella poltrona a fiori del soggiorno. Perché Linda è incantata da tutte le storie che trovano il lieto fine sul filo dello sperare sempre, del credere credere e credere ancora che con un po’ di buona volontà, molto coraggio e un pizzico di polvere fatata, ogni cosa si aggiusterà.
Storie che sono sogni.
E Linda adora sognare, anche se non parla mai, a nessuno, dei suoi sogni
Le  trasmigrano negli occhi e io sento quello che sogna da come mi guarda e da come non mi guarda
Li costruisce con pazienza, i suoi sogni, e poi li fa correre liberi a briglia sciolta per l’ aria,   li riacchiappa, li modifica, li aggiusta e poi di nuovo via, a farli andare come cavallini  appena nati, ancora malfermi sulle gambe, ma già pronti allo scatto dei puledri che diventeranno.
 
La sua, ora lo so, era una gara da fare con il tempo che ci restava, immaginare quel che sarebbe stato, immaginarlo vividamente, renderlo quasi reale palpabile, era la sua mossa per anticipare il futuro
 
e io amavo Linda e l’ amo, questo natale più di quello scorso, e l’ amerò il prossimo ancora e ancora quello successivo
Natale dopo natale io amerò Linda.
 
per questo succede che a natale mi prende un groppo alla gola.
Non di commozione. Non di spirito festivo. Di rabbia. Di ribellione contro

il  dovermi sentire buono a tutti i costi , costi quel che costi
il dover pensare a regali, regalini e pensierini per parenti amici conoscenti e colleghi,
il dover comprare panettoni, spumanti e salmone da portare come contributo ai vari incontri prenatalizi in ufficio
il dover stare tre giorni a sentire canti di natale su ogni canale tv e ogni stazione radio
il dover sostenere la depressione di mia madre, gli incontri di famiglia, le bicchierate, le risate, le domande
 
le domande
 
il dover rispondere alle domande
il dover mentire e dire che tutto va bene
il dover fingere d’ esser contento
il dover rinunciare al silenzio alla solitudine che stemperano la mia angoscia in filamenti preziosi
il dover dare a vedere di apprezzare i consigli, gli incoraggiamenti, le pacche amichevoli, i sorrisi di comprensione
 
Io non voglio la complicità natalizia. Io sono uno che ha perso e ne è consapevole. Sono uno che sta filando il suo bozzolo traslucido in cui avvolgersi e stare al riparo dalla luce e prendere lunghi respiri riparatori così da uscire fuori un giorno, chissà, crisalide rinata
 
Ma non questo natale, no, non sono pronto e non so se mai lo sarò di nuovo in un qualsiasi altro natale
perché solo un natale fa avevo lei e lei si chiamava Linda ed era mia ed io ero suo e insieme eravamo una cosa sola e il natale era una magia di luci colori e canti. Come era giusto.
La neve sfarfallava intorno al suo viso incorniciato dalla sciarpa nera, si posava sulle sue ciglie scure, sulle sue labbra fredde, sulle sue spalle nel cappotto, sui suoi piccoli piedi,
 
neve che cadeva a falde larghe come danzando
e il cielo era plumbeo e greve, quasi minaccioso
 
ma c’ erano così tanti suoni a distrarmi e tutto un futuro a intrigarmi, il mio futuro con Linda, il nostro futuro
 
che non vidi il pericolo, assordato dalle campane che annunziavano la buona novella. Il bambino nacque nella mangiatoia e Linda fu sbattuta sulla strada bianca in una pozza rossa, sbattuta in un angolo contro un cassonetto da una macchina in corsa
 
e là  è rimasto il nostro futuro, il mio e il suo, inchiodato fra quelle luci e quei suoni
 
e lei adesso sta nella sua stanza azzurrina, con cannule e macchine che la aiutano a restare viva. Mi dicono di sperare. Capita che il coma si risolva. Quello di Linda non è senza speranza e io spero, sì, spero che si svegli. Vado da lei ogni giorno e le parlo e le tengo la mano
 
Al mercatino compro la palla di vetro che, se la capovolgi, scende la neve. Dentro un minuscolo paesaggio di monti e di abeti. Ha anche un carillon. Le note di White Christmas risuonano limpide. La porterò in ospedale e gliela terrò vicina
 
e tu,Gesù Bambino, fa’ che che queste piccole note la raggiungano là dove adesso si trova. Fa’ che sia di nuovo natale anche per noi, Gesù, fa’ che Linda si svegli.

Intimità

dicembre 13th, 2008 by admin

Inseguendo parole
costruire sogni e lontane
seguire fiaccole notturne
lungo l’ argine che
s’ incunea sotto l’ arco
snodato del ricordo
 
le ombre sono tese come corde
ai rami  appese
 
filanti sghembi fuochi
chiamano al silenzio
la scena accendono
di ricorrenti tempi
di lunghe  attese e
impulsi fuggenti
 
e siamo qui ancora
a guardar la notte
nel nido profumato
e fra mill’ anni
ancora qui saremo
per sempre eredi
di attimi,
scampoli fugaci
di intimità sofferte.

Il fondo della notte

dicembre 13th, 2008 by admin

 

Binario/Track di giothebike 

raschiando il fondo della
notte
a tasto premo la molla
nascosta
l’  ombra percorro e
su schiuma ricado di fresche
radici ondose
 
- flessibili giunchi 
senza fine intrecciano
sentori di fragrante
nevischio con
lucori d’ alba -
 
e rido allora dell’ altalena
insonne
del lungo torpore che l’ ossa
pervade
 
la veglia illudo come fosse
viaggio che lento s’ arresta
e il binario morto occupa infine
con un sospiro fiorito di
lame d’ acciaio.

In prestito il rosa

dicembre 11th, 2008 by admin

raccolgo ore taglienti
incise nel sasso
del fiume
gridate nel vento che
oggi
spazza la valle,
le nuvole in fremiti
d’ ombra rincorre
le ore che corro strette nel pugno
raccolgo e
son detriti in mosaici d’ oro,
filanti stelle e soli al tramonto ancora girano
in tondo
e stride il cardine
a vuoto sull’ ora
battente di questa alba
sul davanzale
posata.
In prestito il rosa.

Parabole

dicembre 11th, 2008 by admin

Steven Kenny, The perch, 2004

E quando                        
l’ aria manca
e rimani appesa
polsi legati stretti
al ramo che si sfoglia,
ti fai corteccia e scorza che si sbuccia,
e pioggia e vento battono le ossa
e i fogli intridono di te
- quel che sei -
spartito di parole
segni e graffiti
ciuffi ondeggianti
in parabole casuali
sull’ erta che la sponda
all’ acqua riconduce.

Quelli di Viale Risorgimento

dicembre 8th, 2008 by admin

Li ho conosciuti adulti, i cinque di viale Risorgimento e li ho visti invecchiare, poi, ad un certo momento, sono usciti dalla mia vita, ma li ricordo e se é vero che di alcuni di loro farei volentieri a meno di aver dei ricordi, é altrettanto vero che le storie che li ho sentiti narrare  sulla loro infanzia mi sono rimaste impresse nella mente: non che avessero una reale importanza, in ultima analisi erano solo storie di ragazzi, ma il modo in cui venivano raccontate era tale da farle diventare qualcosa fra il magico e l ‘epico, a rappresentare un’ età dorata, con quella caratteristica del ” Ti ricordi quando…?”, che a chi ascolta fa venir voglia di saperne di più, mette in moto il meccanismo di un’ elementare, primigenia , istintiva curiosità.
Quando parlavano di viale Risorgimento, i cinque adulti diventavano dei narratori nel vero senso della parola e noi si stava ad ascoltare e si annuiva e si rideva con loro. 
 
Ti ricordi di quando avevamo il cane che a furia di stare alla catena era diventato cattivo, ti saresti incazzato anche tu, se un bel giorno ti avessero legato per il resto della vita, e poi una volta scappò e saltò adosso a quel certo Piero che veniva a giocare nel parco con noi e ci volle del bello e del buono per cavarglielo di bocca? E ti ricordi il padre come s’ arrabbiò quando lo seppe? Ne disse di tutti i colori. E il Piero non si fece più vedere.
 
E ti ricordi che quando si faceva sera e si avvicinava l ‘ora in cui il padre sarebbe rientrato, si correva a nasconderci, sotto i letti, anche nella legnaia, perché sapevamo che la madre gli avrebbe raccontato tutto quello che avevamo fatto durante il giorno e lui ce le avrebbe suonate? Era una specie di rituale: lui rientrava, la madre si sfogava, lui menava.
  
Ti ricordi di quando avevano preso quella maestra che doveva darci ripetizioni e noi si scappava giù per la collina e da lontano sentivamo la voce della madre che chiamava i nostri nomi sempre più alta e disperata e poi alla fine si arrendeva e rimandava a casa la signorina? Si scampava alla noia dello studio, ma che botte, la sera!
  
Ti ricordi di quando, la guerra era appena finita, si andava per i boschi e si trovavano pallottole qua e là e noi le raccoglievamo toglievamo la polvere dai bossoli e poi le davamo fuoco e si stava a guardare l’ attimo dello scoppio e poi il fumo nero e di quando accendevamo un fuoco e ci buttavamo dentro una manciata di proiettili poi correvamo a nasconderci dietro i tronchi degli alberi e contavamo gli scoppi, uno due tre dieci, che siano scoppiate tutte? Incoscienti si era, incoscienti, ma che gran ridere !
  
Ti ricordi di quando lui voleva fare l’ uomo della giungla e si arrampicava su per i tronchi dei pini vecchi di secoli e poi cercava di saltare da un albero all’ altro, e che ti credevi d ‘essere Tarzan? e poi una volta  non ce la fece e cascò giù di brutto e proprio sopra un rotolo di filo spinato che i tedeshi avevano lasciato là? Quando lo recuperammo rideva e faceva sangue da cento piccoli buchi sulla pelle; la madre lo disinfettò da capo a piedi e il padre gliele diede di santa ragione.
  
Ti ricordi quando quell ‘altro infilò il dito nel collo di una bottiglia in cantina e poi non riusciva più a toglierlo e così ebbe la pensata del secolo:  spaccò la bottiglia su di un sasso e si fece un taglio lungo quanto il dito?
  
Ti ricordi di quando i tedeschi ci requisirono metà casa e vi installarono un centro di comunicazione radio e ogni tanto uno di noi andava di là da loro e che meraviglia, vedeva la luce elettrica splendere in ogni stanza, abbagliante quanto opaca e tremula era la luce delle candele delle nostre stanze: sembrava un miracolo, sembrava una favola!
  
Ti ricordi il freddo che ci faceva in Viale Risorgimento, tanto che per andare a letto si riempivano delle bottiglie di vetro con dell’ acqua calda e poi si cercava di tapparle meglio che si poteva e si mettevano sotto le lenzuola per scaldarle almeno un poco e che disastro quando capitava e capitava spesso, che durante la notte il tappo venisse via e l’ acqua ormai fredda bagnasse il letto!
  
Ti ricordi di lui, e di quell’ altro e di lei e della madre e del padre, di tutti noi e di come vivevamo e di come eravamo, dei disastri che combinavamo, di te che sei rimasto attaccato ai  fili della corrente , di lei che per un pelo non ci restava per via dell ‘ossido di una stufa difettosa, di quello piccolo e biondo che alla mattina, quando si usciva per andare a scuola, si nascondeva dietro il battente della porta d’ingresso lasciato aperto per farci uscire, cosicché quando la madre con la piccola in collo veniva a chiudere, lo trovava regolarmente rannicchiato fra il muro e la porta ed ormai s’ era fatto tardi e lui a scuola non ci andava, ti ricordi?
Quante cose da ricordare, quanto passato da ricostruire oggi che gli anni sono volati via e si sono portati appresso alcuni successi, tanti fallimenti, ed amarezze e disillusioni, oggi che abbiamo dei figli che fanno dannare come é la regola e noi ancora a parlare di Viale Risorgimento!

Non si rendevano conto, i cinque, che raccontavano ai figli una favola bella, un ‘ avventura vissuta realmente, che lasciavano loro una parte importante di se stessi: l’ immagine di un mondo ormai finito, di un parco immenso dove l’ impossibile diventava possibile nella memorabilità del racconto. 
Sarà forse perché io non so dove mai siano le mie radici, le ho perse per strada tanti anni fa o forse vi ho rinunciato per scelta deliberata, che tanto mi colpirono i racconti dei cinque e tanto invidiai quella loro terra che non esiste, alla Peter Pan, nel ricordo della quale potevano ritornare giovani e giovani rimanere anche da adulti, perché erano riusciti ad isolarla nel mare della vita e a farne un mito: a tutti dovrebbe spettare il diritto di riflettersi ogni tanto in uno specchio  magico.