Archive for the 'poesie' Category

Steven Kenny, ”The Perch IV”, 2006
Nel sole, come isola
sfuggente alle correnti,
lunghe frange distendo
in braccia di coralli,
verdeggiante radice
dall’ inverno recisa
figlio intrecci di colori estivi
rigogliosa scendo dalla
collina al mare, sabbia
divento e riflesso d’ acqua,
conchiglie fiorite alle caviglie
cantano l’ onda,
alle spalle
dissolti se ne vanno il tuono
il vento e la burrasca, e
io, erbario rinnovato,
danzo calde parole
dal profumo
di sole.

Duy Huynh, Rebirth
passo passo avanzi
sul filo
del finito incompiuto
dello stare e restare sempre
al palo,
vietato lo scatto
proibito il volo,
negata l’ essenza della parola
non ancora trovata, mai nata
eppure presente nelle crepe del muro,
i fossi ridono fra steli rinsecchiti e
cartacce mischiate a sogni abortiti,
solo resta l’ andare a passi lenti
e uguali
sbiadite occhiate
e fradici sorrisi
mentre sul lago l’ airone vola
e l’ ombra si perde, arresa.
hai arato la terra e seminato
il campo
i fili d’ erba hai dipinto
del prato,
mare di verde
navighi,
perso in silenzi scolpiti che
la sera cavalchi,
il tondo della
luna
ti fa libero
e selvaggio di sogni
sulle punte rifioriti
delle dita.

Immagine di Fiorluca
crepe come ferite
incisioni sulla pelle
arrossata
strade percorse sprofondando
nel ventre del monte
succhiando umori di
placenta universale a
ritrovare il punto – fermo –
dove la radice penetra
s’ incunea e figlia,
il seme nutre poi al sole,
percorro ogni crepa con l’ occhio
ogni linea percorro col dito
e
il palmo l’ unghia ferisce e
l’ osso scarnifica di
un oggi che pulsa
afono in segmenti spezzati,
rifrangenze a perdersi.

Immagine da luca1e2′s photostream
estate peregrina
calda accecante
profumo disperso
colore diffuso
tarantola assetata
ho percorso
la strada
di sasso in sasso
mare di sabbia
cercando
a perdermi senza confini,
niente confini, niente,
per poi, filo d’ erba sottile,
rinascere.
solo terra siamo
e radici
nella terra radicate,
solo acqua
e stelle di mare,
orizzonti distesi
da cercare,
arcobaleni siamo
dopo l’ uragano
e schegge di vetro
che il tempo frantuma
e il firmamento accende.

sfoglio il cuore,
pagina a pagina
decifro il battito di vena in vena
ritrovo le strade spartiti di sinfonie
di lunghi respiri
di folli batticuori
come martelli incalzanti
sotto la grandine di agosto
per l’ angustia di questo giorno che
s’ apre nuovo e corre al suo volgere
in attimi che
non so cogliere.
Batte il cuore la storia del sentire,
del sentirmi così,
pietra sfaccettata
esposta ad ogni giro di sole e
di pioggia
e batte e chiama nomi
alla mente persi
sussulti stretti al polso
sorrisi come voli
verso l’ orizzonte dove
anche la parola svanisce.
Solo resta il dolce in
confine estremo.

Gabriel Pacheco, malalletra
Molteplici facce
ha il mio sostare
sotto l’ ombrello
dello scorrere
salmastro di
incuneati aculei
lancinanti sottopelle
facce diverse
lo specchio riflette
mutazioni
di ossa
battute dal vento
disincanti che al sole
svagati
modulano nascosti
percorsi
e semi frastagliati mettono
a dimora per canti
nuovi a
primavera.

lo specchio riflette immagini
di me che cambio
- è una vita che cambio
ad ogni ora
punto dopo punto -
coglie il divenire
di segmenti frastagliati
di forti tendini in
flussi di marea
che terra inghiotte
e trasforma,
sono passi indelebili di inchiostro,
rituali selvatici e promesse di
mutazioni, tondi anelli
di fumo e brevi respiri
tesi,
attraverso lo specchio, sciolta
l’ immagine,
la palpebra chiusa
si lega alle labbra
appesa al ramo
spoglia svuotata mi penso e
teschio di luna.

Me lo ricordo il tempo
quando la sera
le sagome dei bimbi
vedevamo stagliate nel riquadro illuminato, che saltavano
sui letti,
su giù su giù
e a tempo un gomitolo di pelo rimbalzava anch’ esso, il cane
che giocava
noi quattro si stava sotto, nella sera e i monti chiari già disegnavano
il futuro
i giorni le notti a venire, gli anni.
E ridevamo dei bimbi e del cane e sognavamo
oddio, come sognavamo che
fosse per loro facile la via
ma son passati tanti mercoledì delle ceneri
da allora
e le domeniche si son succedute come
smarrite da Pasqua a Pasqua
e questa Pasqua, fra le palme di Gerusalemme
tu hai compiuto il cammino
hai fissato il calcagno nella terra
e hai detto, vado.
Ti abbiamo salutato
con la mano
ciao, a presto.
E i bimbi non saltano più sui materassi e il cane
dorme sotto il pino, ossa bianche
in cenere d’ amore.