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La battaglia

aprile 28th, 2009 by admin

Le pareva che le foglie dei pioppi avessero preso un colore sfumato d’ azzurro, anzi, le vedeva azzurre, proprio azzurre. Si confondevano con il cielo, delimitate solo dal delicato contorno che finiva (o incominciava?) a punta, luminescente com’ era, quasi argenteo.

Era seduta sulla panchina di legno, una delle tante disseminate nel grande parco; a terra, ai suoi piedi, stava il cane, testa eretta, attento. Gli toccò il naso (umido, come doveva essere), gli grattò l’ orecchio destro. Il cane chinò il capo, assecondando il gesto. Gli era sempre piaciuta la grattatina all’ orecchio. Lei guardò innanzi a sé: una distesa di prato verde, un leggero dosso, e poi alberi, alberi e ancora alberi, pioppi, larici, cedri, fino all’ argine del fiume.

Era mattino presto, non c’ era nessuno, non si sentiva una voce e l’ aria estiva era fresca. Le parve di coglier un profumo di tiglio. Sentiva il sangue scorrere pigro dentro di lei come un fiume che allenta la sua corsa, prendendo fiato. Ne aveva bisogno, lei, di riprendere fiato, di fermarsi un poco. Avrebbe voluto costruirsi un nido di bei pensieri e dimenticare il resto.

Che poi il resto era l’ ordinarietà di quei suoi giorni identici, il niente di un tempo che se ne va senza scosse, niente amicizie vere, niente affetti profondi, neppure una qualche attività svolta con passione: niente, insomma. Solo un guscio ben vestito, ben presentabile, ma dentro né tuorlo né albume, né gheriglio, una scorza che nel tempo s’ era fatta da lucida e trasparente, pronta ad accogliere le pulsioni e le forze e, perché no?, le lusinghe che le venivano dall’ esterno, rigida, dura, refrattaria: ostile.

Ma ora doveva dar battaglia. Tempo prima aveva piantato paletti e aveva teso fra l’ uno e l’ altro una recinzione. Vi si era rinchiusa: di qui non si passa. Qui non si entra. Aveva dato un deciso giro di chiave al lucchetto. La sua battaglia contro l’ intrusione si era risolta in una barricata. Loro erano rimasti fuori, a deriderla, schernirla, pungolarla con i pali aguzzi dell’ estraneità. Poiché lei era una diversa che non accettava la sinuosa intrusione dell’ omologazione a schemi prefissati, il venir quotidianamente crocifissa al gusto per l’ esteriormente accettabile, li aveva ignorati.

Ed allora erano iniziate le suppliche. I pianti. Si era tappata le orecchie per non sentire.

Erano diventati subdoli: fingevano di andarsene, sperando che lei uscisse e, poiché lei non lo faceva, ricomparivano all’ improvviso, schiamazzanti, frenetici. Lei allora accarezzava l’ orecchio di Kuma e si perdeva nel dorato dei suoi occhi. Un cane può difendere da un aggressore. Quella mattina loro non c’ erano attorno al recinto che nel tempo lei aveva rinforzato con giri di filo spinato e aguzzi frammenti di vetro. Poteva respirare tranquilla, senza affanno, in un’ aria così limpida che si poteva scordare che era inquinata, sotto un cielo così chiaro, velato di lattee trasparenze, che si poteva non pensare al buco dell’ ozono.

Ascoltava il fruscio di fili d’ erba smossi da un merlo, da un passero, chissà e non le venivano in mente se non paesaggi antichi di spontanee fertilità.

Una rondine sfrecciò in alto, un miracolo ad ali tese.

Incominciò ad un tratto a parlare, piano, rivolta al cane, al suo cuore e alle ombre che rapide prendevano forma fuori dal recinto.

“Ho creduto che sarebbe bastato. Ma mi state addosso. Premete contro il filo spinato. Mi volete. E allora, io uscirò. Guardate: sono qui. Apro. Ecco: sono fuori.”

Si alzò in piedi. Il cane si levò di colpo mettendosi al suo fianco.

“Sono qui. Prendetemi, se ci riuscite.”

Incominciò a correre e il cane con lei per il prato verde che pareva non aver fine e, mentre correva, rideva a piena gola. Rideva con la bocca, con gli occhi, con ogni centimetro di carne, con tutta la sua mutilata individualità.

Il cane la superò, saltò un tronco a terra e si girò, aspettandola. Lei si era fermata, ansante. Rideva ancora e mille farfalle uscivano dalla sua bocca, dai suoi occhi: i pensieri agonizzanti, i sogni smarriti, le aspettative tradite lasciavano il campo di una battaglia perduta e si trasformavano in palpitanti schegge di vita: la strada percorsa a tentoni, era punteggiata da ali tremule, in volo. Finalmente.