Rom

novembre 19th, 2008 by admin

Sedici  anni e già donna. Pronta per il matrimonio. Pronta perché i suoi le scegliessero il giovane adatto, quello che più si rendesse gradito alla famiglia portando doni e denaro in quantità adeguata. Che poi fosse adeguatamente giovane e simpatico e, perché no, gradevole d’ aspetto, non importava più di tanto. Che poi fosse innamorato di lei, era escluso. Non avrebbe potuto, perché nemmeno la conosceva.
 
Lei, d’ altra parte, non contava. Suo padre e sua madre e la famiglia decidevano quello che per lei era meglio. Era così perché da sempre era stato così. E lei, una sedicenne alta, slanciata, capelli lunghi, folti e delicatamente arricciati, occhi scuri profondi da perdercisi dentro come in un mare d’ ombra, era una brava figlia che, maggiore di sette fra sorelle e fratelli, aveva  imparato presto i suoi doveri, poiché fin da bambina aveva avuto il compito di curare i piccoli di casa in quanto non era previsto dalle regole che la madre, perennemente incinta, perenne partoriente, facesse alcunché. Dava ordini. Prendeva il the con le altri madri e con loro si intratteneva pomeriggi interi, mentre i piccoli strillavano, andavano gattoni, litigavano. Toccava a lei, la maggiore, d’ aver cura di tutti. Padre incluso, quando era fuori di prigione. Andava a prendere l’ acqua, cucinava, faceva il bucato, accudiva fratelli e sorelle: erano i suoi doveri.
Non sapeva né leggere né scrivere.
Poi, apparentemente d’ improvviso, qualcosa le scattò nella mente e nel cuore. Fu quando si incominciò a parlare di farla sposare. Lei? Sposata? A chi? Le ragazze della sua età, lì nel campo, la invidiavano. Ma lei incominciò a pensare. A pensare che sarebbe diventata come sua madre. Sposata a qualcuno come suo padre.
Voleva bene a sua madre e a suo padre. Ma qualcosa non le tornava. Non le tornava l’ immagine di se stessa stesa su un letto a concepire figli, a partorire figli, sperando che le nascesse una femmina per prima perché così avrebbe avuto garantito l’ aiuto per tutta la vita. 
Quale vita?  Quella vita che non faceva per lei.
Ho conosciuto S. H. quando gli assistenti sociali, cui la ragazza s’ era rivolta, l’ accompagnarono a scuola. Aveva l’ età per frequentare i corsi EdA,  e nell’ occasione mi fu spiegato che era letteralmente fuggita dai suoi, opponendo un netto rifiuto alle richieste famigliari. Era ospitata in una casa famiglia.
 
Voglio imparare a leggere e a scrivere
Voglio prendere il diploma delle medie
Voglio trovare da lavorare
Non mi voglio sposare, non così.
 
Era tosta. Mi apparve, in un mondo dove i più tendono a adeguarsi, a farsi andare bene anche quello che sentono non essere un bene per loro, come la classica eccezione che conferma la regola. Una che degli schemi non sapeva che farsene. Una che aveva deciso di dire un bel chiaro, rotondo no.
 
Si impegnò, sgobbò, fu supportata. Imparò a leggere e a scrivere in stampatello, poi in corsivo. Sua madre partorì il nono figlio. La mandò a chiamare. Lei sparì per dieci giorni. Mi dissi: “L’ ho perduta”. Ma tornò, più decisa che mai. Le chiesi: “ Come sta mamma?” “Bene” mi rispose e fu tutto.
 
Si incaponì che voleva tentare l’ esame di licenza. Lo superò. Tramite l’ assistenza sociale trovò un lavoro, in prova. Si dimostrò brava. Dopo il periodo di prova fu confermata.  Era felice, quasi radiosa, l’ ultima volta che la vidi. Donnina forte, convinta di dover fare scelte diverse da quelle che le venivano proposte, anzi imposte,   convinta che di dover decidere, lei, solo lei, per se stessa, senza paura di confrontarsi con la  realtà, senza paura di misurarsi con gli altri e soprattutto senza paura di  vincere.
 
E mi ha colpito in tutto questo essere diversa da quelle che come lei erano cresciute in quell’ ambiente di carrozzoni migranti di paese in paese, di panni stesi su lunghi fili sull’ orlo delle strade extra-periferiche di città sempre nuove, a volte poco ospitali, se non sospettose, quello che, a prima vista, poteva sembrare un controsenso, ma in realtà era solo un raggiunto perfetto equilibrio fra la negazione di un sistema di vita rifiutato e il rispetto profondo per le sue radici culturali mai dimenticate. Perché, quando, per esempio, le capitava di dover compilare un modulo, alla voce: nazionalità, lei sempre e comunque, lei la ragazza che da sola si era liberata, scriveva ROM. Convintamene. Serenamente. Con splendida coerenza.

Antologia del Premio Lingua Madre - Centro Studi e Documentazione Femminile di Torino

Educazione degli Adulti: corsi per adulti o comunque persone che abbiano compiuto il quindicesimo anno d’ età, finalizzati all’ alfabetizzazione all’ italiano e al conseguimento del diploma di licenza media, istituiti con Ordinanza Ministeriale nel 1997. Si rivolgono a italiani e stranieri e costituiscono uno strumento importante di integrazione socio – culturale.


4 Responses to “Rom”

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  1. 1 rose

    Bello e interessante, daniela, il tuo brano di taglio giornalistico. L’argomento delle diversità culturali è profondo. Credo che spetti agli interessati decidere, come ha fatto questa ragazza coraggiosa, cosa salvaguardare, del proprio retaggio e dove, invece, cercare di cambiare. E’ un bene che ci siano operatori sociali ed organizzazioni aperte e disponibili ad aiutare queste persone, senza giudicarne le tradizioni.

  2. 2 admin

    E’ un problema davvero attuale, Rose. L’ integrazione è un processo lungo, difficile e spesso doloroso. Il punto di equilibrio forse sta proprio in una scelta che vada verso il nuovo senza rinnegare la propria storia.

    Grazie.

  3. 3 paolo tona

    mi é piaciuto qusto tuo racconto ch mi ha fatto venire alla mente quello che accadeva in Sicilia tanti anni fa. Già….i matrimoni combinati dove entrambi gli sposi non si conoscevano…….non é che siamo troppo lontani da questi ragazzi che tu racconti, Ciao é sempre un piacere leggerti

    paolo tona pit

  4. 4 admin

    Ti ringrazio, Pit, per esser passato e per aver lasciato qui il tuo pensiero.