Il questionario
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Il vecchio andò direttamente alle caselle postali. Aprì la numero 27. Ne trasse le buste. Le tenne un secondo fra le mani, quasi soppesandole. Le ripose poi nel sacchetto di plastica che teneva appeso al braccio e si allontanò, uscendo dall’ ufficio postale.
Camminava trascinando i piedi, come spesso capita a quelli in età avanzata. Colpiva in lui l’ aspetto, un misto fra il trascurato e il decadente, in contrasto con lo sguardo, guizzante e tagliente, che sconcertava chi, per caso, lo incrociava.
Camminò a lungo finché raggiunse una costruzione in pietra che aveva visto, in passato, giorni migliori. Adesso si presentava consumata dalle stagioni, mangiata com’ era dalla pioggia e dal gelo, cotta dal sole. Il vecchio si fermò e fissò la casa. Scosse la testa, impercettibilmente. Salì i tre gradini consumati, fino alla porta d’ ingresso. Cincischiò brevemente nella tasca del cappotto sdrucito, aprì la porta, solo uno spiraglio, e sparì all’ interno. Inghiottito da un buco nero.
All’ interno, su tutto pareva regnare un senso di decomposizione fatto di polvere e muri farinosi. Il vecchio salì la scala che portava al primo piano. Sul piccolo pianerottolo si fermò: c’ erano due porte. Aprì quella alla sua sinistra ed entrò in una stanza che contrastava con il resto della casa, calda, confortevole, quasi elegante, ben illuminata, com’ era, con mobili di legno lucidi, una grande scrivania e una cassettiera. Si guardò in giro, come a controllare che tutto fosse come lo aveva lasciato. Si sfilò il cappotto, si tolse la giacca, e poi la maglia grigia e consumata ai polsi. Aprì un cassetto, ne trasse un lungo abito verde lucido, lo indossò. Si sedette alla scrivania, posò le buste sul ripiano, ripiegò con cura il sacchetto e lo mise da parte.
Fissò le sei buste con occhi penetranti, mentre intrecciava le lunghe dita sottili delle mani per poi subito scioglierle, come in una ginnastica istintiva.
Con calma aprì le buste. Ne trasse i questionari e li dispose uno a lato dell’ altro. Incominciò ad esaminarli, controllando per ogni voce le diverse risposte. Non doveva prender nota di niente, registrava ogni cosa in testa, incasellava ogni reazione, ogni minimo spunto, mentalmente, e intanto intrecciava e scioglieva le dita, serpenti che s’ annodavano senza fine.
Era questo il suo compito, sancito nel tempo, era questo il suo dovere, impostogli da un passato stellare quando si era deciso che, essendo le creature fragili gingilli di carne, sangue e ossa, nulla di più, li si doveva osservare, manipolare, prevaricare persino, per il loro stesso bene, per semplificarne la vita, in una prospettiva che consentisse di determinare, alla fine, attraverso la ricerca, l’ individuo perfetto per l’ omogeneizzazione sociale totale. Perché questo esattamente era il fine: per mezzo dell’ analisi dei comportamenti condotta con freddezza e spinta all’ estremo limite dell’ intollerabilità, determinare il punto di rottura, individuare le strategie più adatte alla pianificazione di un mondo di tutti uguali, con pulsioni ridotte al minimo, se non azzerate, comunque stratificate in menti che non si interrogassero, che non si ponessero domande. L’ era dei perché? che creano dubbi, che tormentano lo spirito, che indagano i campi più lontani del sapere, doveva finire. Bastavano pochi spiriti eletti, preposti a questo compito, a porsi le domande, a darsi le risposte giuste, per tutti.
Le dita snodate in movimento continuo sapevano cogliere l’ elemento cruciale delle reazioni di uomini e donne, di qualsiasi età, di qualsiasi estrazione sociale, qualunque fosse la loro posizione, e lui sapeva, sapeva bene che poteva smontarli e rimontarli, romperli e rimetterli insieme, sciocchi, furbi, onesti, disperati e malandrini, come fossero modellini componibili.
Lui era il maestro della profezia mai scritta, colui che, con pochi altri nel mondo intero, deteneva il potere che avrebbe realizzato il mondo perfetto dove l’ uomo sarebbe infine stato libero dal pensare e dal soffrire in quanto animale pensante.
Libero. Per tutti i secoli dei secoli.
Si fece buio nella stanza, solo la veste smeraldina rilasciava un leggero lucore. I questionari erano cenere untuosa sul piano della scrivania.
La pelle si tese sugli zigomi del vecchio e pian piano, delicatamente, si sfaldò, una maschera che si screpola e si sfoglia e rivela il niente, sotto. Il vuoto di un’ orbita immensa che crepita e risucchia in vortici costanti luce e aria e tempo.
Tutta la fragilità dell’ io – uomo vi era riposta, veniva masticata e digerita insieme alla molteplicità delle sue storie, del dolore, della gioia, della rabbia, dell’ infamia, dell’ amore.