Aspettando Caterina

novembre 16th, 2008 by admin

Odd Nerdrum, Niemowlę, 1993

Me lo ricordo il Gabro, me lo ricordo bene. Fin da piccolo, quando faceva diventar matti tutti in casa, tanto era vivace, al punto che, una volta, quella buona creatura della madre, dopo essergli corsa dietro per tutta la casa, su e giù dalle scale, fuori e dentro dalle stanze, – e non ricordo che accidenti il Gabro avesse combinato -, riuscì, stravolta, a bloccarlo in bagno, nella cabina della doccia. Il Gabro non aveva più vie di fuga. Ricordo che la madre lo fece nero: roba da telefono azzurro. Solo che a quei tempi il telefono azzurro neanche si sapeva che cosa fosse e le sberle erano ancora considerate un sistema educativo di tutto rispetto.
 
Il Gabro non aveva un padre nel vero senso della parola: ovvero, un padre ce l’ aveva, ma una figura paterna, no. Suo padre era un medico di buona rilevanza che aveva maturato una sua personale filosofia del vivere, quella dell’ insoddisfazione perenne, riferita alla politica, alla scienza, al consumismo, al mondo intero in generale. Era insomma una brava persona che aveva perso, a un certo momento, ogni punto di sicuro ancoraggio, non che glielo avessero sottratto, se lo era fatto scivolare da sotto il sedere da solo e a rincorrerlo non ci pensava proprio. Non so quanto la mancanza della figura paterna abbia potuto incidere sulla vivacità incontrollata del Gabro bambino e, successivamente, sulla scarsa inclinazione allo studio del Gabro scolaro.
 
Ad ogni modo accadde che, terminata la scuola dell’ obbligo, il Gabro annunciò che voleva andare al classico: tutti rimasero  a bocca aperta, visti i non esaltanti precedenti. Fu iscritto. Fece il classico, si diplomò con ottimi risultati e così nessuno si meravigliò quando disse di voler frequentare giurisprudenza e per di più in una città lontana dalla sua, dove l’ università era considerata prestigiosa.
 
Fu esattamente a questo punto che il Gabro entrò nella mia incasinatissima vita. Come unica parente residente nella città universitaria, mi fu affidato. Per anni andammo a fare la spesa insieme ogni sabato, e io ho lottato per anni, ogni sabato, con le unghie con i denti, per non fargli comprare le schifezze di minor costo che trovava esposte. Infatti il Gabro era profondamente consapevole del fatto che i suoi si sacrificavano per mantenerlo agli studi e cercava di limitare le spese. A me pareva di sognare, a me, madre di un figlio che, all’ epoca, era uno che pensava che, se studiava, faceva un piacere alla sottoscritta e così tutto gli era dovuto, perché era lui quello che si sacrificava.
 
Stare con il Gabro era come volare in arie leggere, essere sospesi su prati in fiore.
Non che fosse perfetto. Aveva in sé una calma pacificante e controllata che lo portava a una esasperata lentezza. Se si doveva andare da qualche parte, lui  non era mai pronto. Era ancora in bagno. Si era chiuso fuori dalla camera, non trovava i calzini. La sua calma, che il più delle volte risultava un anti stress naturale, creava, in questi casi, irritazione, frenesia, caos. E ritardi inenarrabili.
 
Passarono gli anni universitari e tutto filò liscio. Si laureò con il massimo dei voti. Celebrammo il giorno della laurea andando a pranzo fuori, in un ristorante con alcuni suoi amici.
 
Gli amici. Il Gabro aveva amici. E amiche. Non aveva una ragazza. Non ci pioveva: aveva delle congrue difficoltà a trovare l’ anima gemella. Già al terzo anno d’ università la cosa incominciò a preoccuparlo, ma non troppo, mi diceva. Con il passare del tempo invece, restando immutata la situazione, si preoccupò sul serio. Era strano, perché era un bel ragazzo, con un bel fisico.  Era un ragazzo intelligente, un piacevole interlocutore. Non si capiva proprio. Credo che dipendesse dal fatto che cercava non una ragazza, ma la ragazza. La sua ragazza. Quella nata e destinata a lui. La sua metà. E loro, le ragazze, lo sentivano, che non erano quelle giuste, che non erano tagliate per quell’ impegno e se la davano a gambe.
 
Poi, come Dio volle, la incontrò. Dorata come il sole di giugno. Occhi come il cielo di primavera quando non tira vento.
La riconobbe subito. E lei riconobbe lui. Si sposarono. Che poi lei avesse quella sua malattia che la faceva girare con l’ insulina in borsa, al Gabro proprio non importava.

Ora aspettano – aspettiamo tutti – Caterina. Non che sia stata una passeggiata: Caterina è stata cercata, si son fatti voti e accesi ceri, per lei. Infine, sì. Eccola nel grembo della madre, un 5 centimetri di creatura, viva.
Non ci saranno accertamenti particolari. Non ci sarà miocentesi che attesti quanto è probabile che Caterina sia sana e normale oppure no. Non sono necessari, dice il  Gabro, perché è attesa, comunque lei sia. E’ un dono. E la sua sposa annuisce: un dono.


4 Responses to “Aspettando Caterina”

Feed for this Entry
  1. 1 paolo secondini

    Davvero bello e scritto bene, con stile non privo di aspetti nuovi, originali.
    Mi permetto una piccola osservazione (spero che tu non me ne voglia): i tuoi racconti, il più delle volte, restano un po’ presi entro lo schema dell’arido bozzetto. Prova a “movimentarli” maggiormente con dialoghi e descrizioni degli ambienti: daresti ai personaggi e alla vicenda più vita e colore.
    A ogni modo, il racconto è molto interessante.
    Paolo

  2. 2 admin

    non me la prendo, Paolo! E inoltre hai perfettamente ragione sulla mia tendenza ai bozzetti. Ho scritto però, nel tempo, diversi racconti lunghi e altri lunghissimi, ma a metterli on line penso sia problematico per chi legge. A me vien male agli occhi a leggere testi lunghi ed è per questo motivo che posto cose molto corte.
    Nel blog in realtà ho già predisposto una sezione che non è ancora on line per i testi lunghi, ma la sto pensando per me, in funzione di una organizzazione delle mie “cose” più che per sottoporla alla lettura … Insomma qui sono in fieri :) ))

  3. 3 rose

    Avercene di nipoti così! Forse il tuo Gabro è la riprova che la disciplina serve.

    Un bel racconto, daniela. Nella sua brevità, non si sente molto la mancanza dei dialoghi, tuttavia, il punto che fa paolo è veritiero.

    Aspettiamo anche i racconti più lunghi, daniela. Io ho letto anche il tuo romanzo, ricordi?

  4. 4 admin

    avercene! Davvero, rose. Gli voglio un bene dell’ anima, per quello che è, la sostanza, la pasta di cui dà prova d’ esser fatto.

    Eh, ricordo che hai letto il “romanzo”, diciamo così:)))

    Sai, per me, è valsa la pena scriverlo, anche solo per quanto mi ci sono divertita!