Favole ri-visitate: Cenerentola
Cenerentola era una brava ragazza. Aveva accettato di buon grado che il padre vedovo si risposasse, aveva accolto la matrigna con affetto e le due sorellastre quasi con gratitudine: finalmente due altre ragazze in casa con cui chiacchierare e scherzare, due amiche insomma Aveva pianto tanto alla morte del padre poco tempo dopo le seconde nozze: gli aveva voluto un gran bene, com’ era giusto, in fin dei conti l’ aveva cresciuta lui, facendole e da padre e da madre.
Già, proprio una brava ragazza, Cenerentola.
Ma, come ben si sa, dopo la morte del padre, le cose cambiarono. In una parola, la matrigna e le due sorellastre rivelarono la loro vera natura: erano pigre, egoiste, perfide e terribilmente invidiose di Cenerentola per due fondamentali ragioni, la sua bellezza e la sua ricchezza. Il padre, infatti, aveva lasciato un patrimonio in eredità alla figliola, provvedendo però con una rendita generosa alla seconda moglie ed alle figlie di lei. Quanto al primo punto, c’ era poco da fare: si potevano negare a Cenerentola i vestiti all’ ultima moda, si poteva farla sgobbare fra fornelli e panni da lavare da mattina a sera, ma bella era e più bella si destava ogni giorno. Certo, non la vedeva nessuno, piena com’ era di faccende da sbrigare e ci si poteva togliere la soddisfazione di trattarla come una serva, giusto per vendicarsi di tanta bellezza. Per quanto concerneva l’ aspetto finanziario, era stato sufficiente dire alla brava ragazza, affranta per la perdita del padre, che di tutto il patrimonio era rimasto poco o niente, raccontarle una storia di speculazioni sbagliate, di debiti e lei ci aveva creduto e aveva ben capito perché si dovessero fare delle rinunce: che poi le dovesse fare solo lei, questo era un altro discorso. Ma era una brava ragazza e, se mai le venne in mente di porsi la domanda, fiduciosamente l’ accantonò in un angolo dell’ anima delicata.
Così Cenerentola lavorava e lavava e stirava e cucinava e faceva da cameriera in casa propria, vestita di vecchi stinti abitucci che le stavano anche un po’ stretti sui fianchi e pensava che la matrigna e le sorellastre avrebbero finito per cambiare comportamento verso di lei: bisognava capirle, erano nervose, certo, e pungenti come api d’ estate, anche, ma era comprensibile. Quanti problemi doveva avere la matrigna per far quadrare i conti e comprare la carne di filetto per le figliole e abiti e nastri e pizzi, erano le sue vere figliole d’ altra parte e, no, non era giusto, ma si poteva capire che desse loro la precedenza rispetto a lei.
Le cose erano a questo punto quando accadde quello che tutti sanno: il principe arrivò in città, il re suo padre indisse grandi festeggiamenti per il suo ritorno culminanti in un gran ballo. Anche Cenerentola avrebbe voluto parteciparvi, ma niente da fare. Quella sera, dopo che la matrigna e le sorellastre se ne erano andate a palazzo tutte in ghingheri, incipriate dai capelli alla punta dei piedi, brutte come il peccato, Cenerentola uscì in giardino, dalla porta della cucina e sedette sulla panca di legno sotto il melo. Era una gran bella notte, con il faccione tondo della luna sorridente in alto ad inondare di luce d’ argento il bel visino triste della fanciulla che ormai non riusciva quasi più a trattenere le lacrime, e poi perché mai avrebbe dovuto trattenerle? Era dunque una bella notte, notte da favola. Cielo blu e stelle a migliaia come capocchie di spilli d’ argento su un cuscinetto di velluto. L’ aria era tiepida e profumata e Cenerentola sospirò una volta, due volte. Sospirò tanto forte che per un momento credette che il petto le sarebbe scoppiato. Era delusa: in fondo aveva cercato di far sempre la brava ragazza, d’ essere paziente, servizievole come il padre avrebbe voluto, ma però………E fu la luce. Nel senso che una sfera di luce fortissima apparve davanti agli occhi della fanciulla che la fissò come ipnotizzata, mentre roteava a più non posso per poi bloccarsi e prendere una forma allungata, ovale dapprima ed infine ecco che da quella specie di O lungo e stretto prese forma una figura snella ed aggraziata con indosso un abito da pomeriggio firmato Ferré e accessori in tono. La signora diede una toccatina alla tesa del capello, un’ occhiatina alla riga delle calze, era dritta, poi con occhi verdi truccati quel tanto che occorreva, fissò Cenerentola che a sua volta fissava quello spettacolo a bocca spalancata. Sapeva di aver la bocca aperta e che non era bello a vedersi, ma proprio non ce la faceva a chiuderla.
“ Chiudi un po’ quella bocca, che sembri un’ oca. Avanti, su, fatti vedere. In piedi, bambina. Che ti credi, che mi sia presa la briga di venir fin qua per stare a guardarti ? Di’ un po’, sei tonta? No? Bene, se no l’ avrei saputo. Sono la tua fata, la tua fata madrina e noi sappiamo tutto dei nostri figliocci. Non sapevi d’ aver una fata? Non fa niente. Ce l’ hai. Sì, sì, lo so, avrei dovuto venire prima, per come si mettevano le cose, ma cosa vuoi……Insomma adesso sono qui. Uhmm…bel personalino. Che orrore di vestito e che taglio di capelli!
Non parlare. Bisogna sistemarti un po’. Ah, dimenticavo: lo sai, vero, che sei ricca, anzi ricchissima? No? Ma allora sei proprio oca. Non parlare. Tuo padre ti ha lasciato una montagna di soldi e quelle tre stanno intrigando per metterci le zampe sopra e tu non hai capito niente. Non parlare. Dove vai? Devo sistemarti un po’. Dove vai? Ma guarda un po’ questa gioventù! Ma va’ dove ti pare! “ La signora fu di nuovo un cerchio oblungo, una sfera di luce e poi il completo di Ferré sparì.
Cenerentola era una brava ragazza. Un po’ troppo fiduciosa, un po’ tonta forse. Ma alle parole del la fata, (fata madrina, quella?Mah!) aveva capito tutto. Di colpo.
Entrò in cucina. Si lavò il viso con acqua fresca. Si ravviò i capelli castani lucenti e sedette nell’ atrio. Attese.
Alle due del mattino, le tre rientrarono, starnazzanti come oche capitoline. Entrarono e si bloccarono: Cenerentola era proprio in mezzo all’ atrio e non aveva più l’ aspetto della brava ragazza. Aveva in mano il cinturone di cuoio che il padre indossava per la caccia e lo dondolava pian piano. Incominciò ad usarlo, senza profferire una parola, menando colpi alle natiche delle tre che, strillando e correndo, inciampavano nelle lunghe vesti da ballo e cadevano, si rialzavano e le cinghiate cadevano cadevano cadevano ed erano pesanti e dolorose, dolorose e pesanti. Inesorabili.
Non occorsero parole: era tutto chiaro. Cenerentola non era più Cenerentola e non era più la brava, buona figliola che era stata e di questo ella non riuscì mai a perdonare le tre: le avevano aperto gli occhi sul come vanno le cose nella realtà, e questo non lo si può perdonare: a nessuno.
Quanto poi al principe e alla scarpetta di cristallo, é tutta un’ altra versione della favola.