Sotto la pioggia

febbraio 19th, 2009 by admin

Ma adesso io, ecco, guarda, no dico, guarda bene mi prendo le mie…, come le hai chiamate? carabattole? Sì, carabattole. E me ne vado. Non c’ è bisogno che tu dica altro, che tu faccia altro. Vado via. Va bene così? Ti lascio casa libera e vorrei fare terra bruciata dietro di me. Perché questo è il disastro vero. Che anche quando sarò lontana, tu sarai con me. Tu, la tua presenza soffocante, il tuo amore, se amore è stato tutto questo.

Questo volermi tenere imbavagliata, legata alle tue aspettative, questo volere che io viva la tua vita senza nessun rispetto per la mia.

Perché anch’ io ho una mia idea di vita, sai?

E se le mie idee non corrispondono alle tue, non credo tu abbia il diritto di calpestarle.

Lo so. Lo so. Il dovere.

Ho il dovere di conformarmi. Lo hai sempre detto. Lo hai strillato da sempre.

No.

Ecco. Adesso te lo dico chiaro e tondo. Io non sto più a questo gioco.

Che cosa? Che cosa dici? Tu ti sei conformata sempre?

Mi spiace per te. Hai mai pensato d’ aver sbagliato?

No? Sicura? Sei sicura? Pensaci.

Non sbagliavi anche quando, così scontenta, ti rinchiudevi a riccio intorno alle tue convinzioni, nell’ alone giallognolo dell’ insoddisfazione, del timore del mondo reale, tutta tesa a dar corpo a infinite malinconie? A trasmettere infinite malinconie.

Guarda fuori: piove. E’ una giornata d’ autunno, è giusto che piova. Ma tu solo questo vedi, che piove. Non vedi i colori che son tutti una fiamma e ti aspetti che anch’ io veda sola l’ acqua che bagna il grigio.

Sai quante volte avrei voluto uscire con tuta e scarpe da ginnastica e il cappuccio ben stretto intorno al capo e allacciato intorno alla gola per andarmene sotto gli alberi con tutte le loro foglie dorate, giallo oro, rossastre, attaccate ancora con un filo di vita al ramo, così tremule e tenaci e camminare lontano dalle luci dei viali, lontano dalle vetrine dei negozi, e comprare al forno che sta là in fondo, verso la Madonnina, un pezzo di crescenta, magari una piadina, e mangiarla calda mentre mi pioveva addosso?

Il raffreddore, dici? Mi sarei presa il raffreddore. Forse. Può anche darsi di no.

Ecco, vedi: non posso più continuare ad aspettare la tegola che tu da sempre dici mi cadrà sulla testa. Se non farò la brava bambina coscienzosa. Ho camminato troppo a lungo a testa bassa, incassata fra le spalle, magre, sì lo so, ho le spalle magre, c’ è di peggio, e adesso non intendo continuare più.

No, non dire altro. Perché delle cose che forse non capisci, che di certo non condividi, sai vedere solo il lato negativo. Non ne hai il diritto, di spaventarmi. Di frastornarmi con quello che capiterà, potrebbe capitare, non si sa se capiterà, ma comunque bisogna comportarsi come si fosse sicuri che capiterà.

Che la maledetta tegola cadrà. Alla fine cadrà e mi centrerà in testa. Se non farò come dici tu. Se non sarò come sei tu.

Credimi, non posso continuare.

Non è una ribellione. Non temere. Non mi rivolto contro di te. Tu hai creduto di far bene. Ne sono certa. Ma mi hai distrutta. Quasi.

Io voglio uscire di qui con le mie carabattole e andare via, sì, lo so, là dove vado, non sarà tutto tranquillo.

Il pericolo? Forse.

La guerra? Forse.

Ma io devo andare e devo farlo adesso. No, non rimando. Non ho bisogno di pensarci ancora un po’ su. Laggiù la gente crepa ogni minuto. E io non posso perdere neanche un altro minuto.

Tu? Ah. Attenta. La stai mettendo sul ricatto. La stai mettendo ancora sul dovere. Il mio dovere verso di te. Ma tu non sei l’ ombelico del mondo.

Guarda, ti voglio bene, ma tu non sei l’ ombelico del mondo.

Con quello che hai fatto per me? Sono un’ ingrata?

Ecco, sì: dal tuo punto di vista. Senz’ altro sì. Ma è solo che nei miei panni, tu non vuoi metterti. So che è difficile. Per te è impossibile.

Io sono diversa da te. Accettalo. E’ un dato di fatto. Io devo sentirmi utile. Capisci? Utile. Concretamente.

Per questo vado. Non per ripicca. Non perché non ti voglia bene.

Ti sono grata per avermi permesso di nascere.

Ti chiedo solo di permettermi di vivere. A modo mio. Come mi sento di fare. Di lottare per quello in cui credo.E io credo in questa mia volontà di lasciare quello a cui tu hai sempre guardato come un modo sicuro di passare il tempo e di rischiare, sì, di rischiare questa tranquillità senza scosse per qualcosa che sento come meraviglioso. Aiutare a costruire, magari da zero, una possibilità di futuro laggiù, dove nessuno ha niente.

Il tuo dolore? No. Non parlare del tuo dolore. Della tua paura. Non soffocare questa cosa che mi spinge a partire, per andare a guardare fisso negli occhi la la miseria e la desolazione.

Hai voluto che facessi la volontaria per te, a tutto servizio, figlia e dama di compagnia. Sempre corretta, carina, disponibile, senza volontà propria. Lo sono stata tutto questo tempo. Ma adesso io vado. Sento che è giusto così. Per me. Vedi, non puoi costruire cancelli alti abbastanza per fermarmi. Il mio sogno è sempre stato questo.

Ecco. Sono pronta. Le mie carabattole sono tutte qui. Ho addosso i jeans. Ho in mano la mia sacca. E’ la mia divisa.

Come? Ah, ecco. Ma so anche questo. Non sono più giovane. Già.

Ho passato tanto di quel tempo qui con te, a cercare di adeguarmi al tuo stile di vita. Ci ho messo tanto di quel tempo a capire che non era giusto quello che mi stavi facendo.

Che non era giusto quello che mi stavo facendo.

Ma io adesso ho capito e me ne vado. D’ altra parte tu non puoi più fare niente per fermarmi.

Non puoi più piangere.

Strillare.

Farmi sentire in colpa.

Alla fin fine, ho fatto sempre quello che ti aspettavi facessi. Io sono a posto con me stessa. So d’ essere stata ricattata per tutto questo tempo. So di non avere avuto la forza di ribellarmi. Avrei dovuto. Trovarla, questa forza. Ma tant’ è. E’ andata così.

Adesso ti guardo in questa foto. Sei in posa. Elegante. Una signora. Lo sei sempre stata.

Lo eri anche nella bara, con il tuo bell’ abito di seta. Una signora.

Lo capisci adesso, là dove ti trovi, che mi devi lasciare andare? Che devi smetterla di sussurrarmi all’ orecchio le solite frasi, ormai vecchie e stantie?

Chi porterà fiori sulla tua tomba? ancora chiedi.

Smettila. Non ti sento.

Ecco, apro la porta, finalmente, sì lascio la tua foto qui, sulla consolle. Sì, chiudo bene la porta. Non ti preoccupare. I ladri non entreranno. D’ altra parte qui troverebbero solo, di prezioso, l’ odore dei miei anni spesi a modo tuo. Della mia giovinezza andata. Depredata? Il resto sono solo argenti e quadri e porcellane e mobili antichi. Che non contano. Hanno mai contato? Comunque io non starò qui, fedele e devota, a far la guardia al tuo mondo. Il tuo mondo. Non il mio.

L’ ascensore scende.

Consegno le chiavi al portiere.

Un attimo. E sono fuori. Sotto la pioggia.

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10 Responses to “Sotto la pioggia”

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  1. 1 franco

    un monologo coinvolgente Daniela, un’interlocutrice così interiorizzata nella psiche della protagonista, che il suo immaginario colloquio non solo ne restituisce le frasi, ma persino i silenzi e i segni caratterizzanti.
    Una tirannia, come, a volte, solo quelle materne sanno esercitare con tanta assoluta indifferenza, una tirannia di cui, come in questo caso, solo la morte sembra poter spezzare le catene…o forse, chissà, continuare, trasformandosi in perenne rimorso.

    Una pagina magistrale.

    f

  2. 2 admin

    Ancora una volta ti ringrazio, Franco. Non so quanto sia “magistrale” questa pagina, so che è stata “sofferta”. Di nuovo, grazie.

  3. 3 lastrose

    Difficile ruolo quello del genitore. Spesso, dietro l’alibi dell’amore, si nasconde un grande egoismo.

    Mi hai ricordato dei versi molto amari di L. Bigiaretti, al padre:

    Sei sceso sottoterra,
    io aspetto la mia ora.
    tra noi non c’è più guerra
    ma mi ferisci ancora.

  4. 4 stella

    Ecco il ricatto materno……quanti danni!
    Bellissimo e coinvolgente questo tuo scritto…..come madre dovrei stamparmelo bene in testa.
    Che fatica tagliare quel filo e lasciare liberi i figli di soffrire, di cadere, di rialzarsi e di gioire.
    E’difficile lasciare in primo piano le “foglie dorate” anzichè la pioggia scura.
    Se la tegola cadrà , non necessariamente spaccherà la testa.
    Perchè comunque succederà che (“Ma mi hai distrutta. Quasi.”) quel quasi diventerà un urlo fortissimo.

    Moh……vediamo di non commettere troppi errori prima di essere in quella bara!!
    Che almeno la mia foto non venga, volutamente, dimenticata!!!(speriamo beneee!!!)

  5. 5 elina

    non sono genitore, non lo sono potuto essere
    sono figlia ritornata da sua madre
    lei non mi ha mai troppo amato, anzi
    probabilmente mi ha fatto vivere in libertà, insegnandomi a guardarmi attorno e scegliere
    questa è una pagina molto profonda Daniela, fa riflettere, grazie

  6. 6 admin

    Essere genitori è un “lavoro” difficilissimo, è un dato di fatto.
    Si fanno, a volte, grandi errori destinati, nel tempo, a segnare la vita dei figli.
    L’ egoismo di cui parla rose, pur non escludendo l’ amore, è devastante.
    E, d’ altra parte, come scrive stella, è un’ impresa tagliare quel cordone…
    Credo che sarebbe importante non cadere nella trappola della “morbosità” affettiva.

    Insomma, speriamo beneeeeee!

    Grazie a tutte per le riflessioni! :-)

  7. 7 blumalva

    può accadere anche il contrario, daniela.
    parti da concetti di rapporti paritari, nel senso di rispetto e di stima, protratta nel tempo, riconoscendo i tuoi figli come esseri pensanti e non tue proprietà e poi scopri..che anche lì si sbaglia.
    è un argomento direi eterno, il rapporto genitori e figli…ancora, nonostante gli sforzi per trovare il giusto equilibrio, si corre il rischio di imboccare strade più tortuose e confuse. lo dico come figlia, che sfuggì alla morbosità affettiva, lo dico come madre che tenta di vivere i conflitti in modo propositivo. non sempre va bene, ma bisogna continuare. anche se è estenuante!! siamo persone anche noi, no?! malva.

  8. 8 admin

    Eh, sì, malva! può accadere di tutto!
    Non ci sono regole precise e puntuali, soprattutto in questi tempi “moderni” :-) , in cui si sta perdendo il valore di termini quali famiglia e spirito familiare, amore del relazionarsi, spirito di sacrificio, senso del dovere (reciproco, sia chiaro!) eccc

    Concordo con il tuo: “siamo persone anche noi, no?!”. Verissimo e come tali, fallibili.

    Ti ringrazio per la visita e per la riflessione,

    dmk

  9. 9 Carmen

    Si Daniela, lo spirito di questo racconto fa pensare anche a quello mio breve. La condizione di figlia ricattata moralmente (e anche affettivamente) da una madre egoista.
    Piaciuta molto anche perché arriva come una sorpresa che la madre era morta e anche dopo la morte continua a rosicare sui “doveri” della figlia.
    Credo che essere Madre significhi innanzitutto essere generosa, in tutti sensi, anche quando una figlia decide di andarsene, perché è giusto che ogni persona viva la sua vita. Quando, un domani, io non sarò più autosufficiente, vorrò organizzarmi in modo che la mia vecchiaia non pesi sulle mie figlie. Anzi, incomincio ad organizzarmi da adesso.

    Con affetto e stima!

    Carmen

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