Un Natale per Linda
“I’m dreaming of a white Christmas
Just like the ones I used to know.
Where the treetops glisten,
And children listen
To hear sleigh bells in the snow…”
Sto guidando verso l’ ufficio, questa mattina d’ inverno, come faccio tutte le mattine, qualunque sia la stagione, in mezzo al fiume di altre auto che dalla periferia si riversano in centro, ed ecco ancora l’ albanese che chiede l’ elemosina al semaforo, infagottato in una giacca blu, nell’ aria gelida tagliente di questo ormai natale pieno di buone intenzioni, e sono solo le sette e mezza e lo smog si raggela rimanendo come sospeso fra i tubi di scappamento e il mio respiro è pesante quasi un globo di di vapore consolidato, non ho acceso il riscaldamento, solo ora me ne accorgo
Cerco in tasca, allungo all’ albanese un biglietto da dieci, no, uno da venti, non perché è natale, solo perché c’ è tutto questo freddo intorno a lui e intorno a me
Il semaforo scatta, parto
In ufficio ci sono alberelli sulle scrivanie, sintetici e rachitici, festoni di carta argentata appesi qua e là e la ragazza del centralino ha una piccola stella di natale appuntata sul bavero della giacca di lana
Sulla mia scrivania ci sono i giornali, gli appunti, i documenti, le relazioni e c’ è la foto di Linda dentro il cassetto
apro il cassetto, scivola piano, e lei è lì, sorride luminosa
Neppure io so con chiarezza perché tenga lì, rinchiusa, la sua fotografia nella bella cornice di radica bionda che abbiamo comprato insieme
forse è solo perché non me la sento di spartire, di Linda, niente con nessuno
non voglio spartire neppure la sua immagine. Che nessuno la guardi. Solo io, ogni mattina, quando entro in ufficio, apro il cassetto e le dico ciao
solo io, che per un attimo, solo un attimo, mi illudo che da un momento all’ altro mi possa chiamare all’ interfono, mettere la testa dentro l’ ufficio, dopo un leggero discreto bussare e chiedermi, caffè?
La mia segretaria perfetta.
Mi avevano dato la promozione e Linda con la promozione. Nessuno, neanch’ io, avrebbe potuto immaginare quanto poco importante la promozione sarebbe diventata e quanto importante sarebbe divenuta Linda. A quel tempo. Prima che le proporzioni si invertissero, prima che il valore della mia scalata ai piani alti perdesse di senso.
Caffè? Non ho sentito bussare. Forse non ha bussato, questa giovane donna seria e occhialuta, cortese, ma non gentile, che tutte le mattine, adesso, mi accoglie al posto di Linda. Anche lei porta un piccolo fiore, una stella di natale nana apppuntata sul petto. Ha un gran petto, questa nuova segretaria, pare che lo consideri un’ arma non so bene se di difesa o d’ offesa.
Caffè dunque. Domani è la vigilia. Dopodomani sarà Natale e poi ancora un giorno di festa. Conto mentalmente, vigilia natale santo stefano
senza albero presepio decorazioni senza voglie stimoli, il mio è un natale da encefalogramma piatto.
Mi lascio andare sull’ onda del lavoro, telefonata dopo telefonata, riunione dopo riunione.
Auguri
Buone feste
Dove vai la vigilia?
Noi facciamo una festicciuola, poca gente, per stare allegri, vieni
Fai un salto da me
C’ è anche chi si allunga e tasta il terreno per l’ ultimo dell’ anno, che ne dici di fare capodanno in montagna?
§§§
Le dico:
Vieni con me, Linda
Dove?
Da qualche parte, noi due. Soli
E’ Natale e a Natale si dovrebbe stare in famiglia
Tu sei la mia famiglia
Io? Nessun altro?
Nessun altro.
Non è vero. Hai una madre. Un fratello. Dei nipoti.
Chino la testa. E’ vero. Ho una madre, un fratello dei nipoti, una cognata, devo avere anche degli zii. Sono in contatto con tutti. Mi invitano sempre per anniversari e feste. A volte ci vado. E porto il mio contributo di regali e di sorridente presenza. Incontri che mi pesano. Mi riportano a giorni passati.
Rivedo un bambiino grassoccio, impacciato vestito per una festa, forse un natale, seduto composto sul bordo di una sedia dura, non sa che cosa farsene delle mani, sono sudate, le dita si intrecciano, si lasciano, tirano l’ orlo dei calzettoni
Sta’ composto
Non correre
Non dondolarti sulla sedia
Non tenere la mano sulla bocca
divieti obblighi troppi non. Mai superati.
Le dico:
Tu ed io. Soli.
Tu io mia madre mio padre e i miei fratelli. Io faccio Natale con i miei. Ti va di stare con noi?
Mi va? Non so. Ma il giorno di natale mi scrollo la neve dal cappotto davanti a una porta che vedo per la prima volta, con i miei bravi fiori, panettone e spumante. Doni votivi.
Suono il campanello.
Non so se sia a causa di Linda, Linda pare illuminare tutto e tutti, non so se sia per lei, ma passo un bel Natale. Linda ha una madre piccola grassoccia e semplice, un padre che ripete spesso le stesse cose, due fratelli fissati con il football e la musica metal. La televisione resta accesa durante tutto il pranzo, nessuno la guarda, crea solo un sottofondo di parole e di musica che sottolinea l’ atmosfera tranquillamente famigliare. Mi hanno dato la mano tutti quanti, quando Linda mi ha presentato. Sono gentili. Forse un poco perplessi. Un filo curiosi. Sono un amico di Linda senza una famiglia sua con cui passare il giorno di Natale. Dopo pranzo usciamo, io e Linda. Ho ringraziato, stretto di nuovo mani, ho aiutato Linda a infilare il cappotto. Siamo fuori e non parliamo. Non nevica più. Non piove. Fa solo freddo. Un freddo bianco e azzurro.
Linda non chiede nulla, che cosa pensi dei miei? Mi prende la mano.
Camminiamo. Il parco è spoglio e deserto. La terra è dura. Risuona ai nostri passi. Abbraccio Linda. L’ amo disperatamente.
E lei chiede, come per caso:
Due o tre?
Cosa?
Di figli. Uno è poco. Il problema è: due o tre?
Due.
Sei sicuro? Tre mi pare meglio
Perché?
Non lo so. Lo sento.
Perché no? Avremo tre figli. Non c’ è problema. Maschi? Femmine?
Non importa. Vorresti che il primo fosse un maschio?
Un maschio? Sì, certo. O una femmina. Che siano pure tre maschi. O tre femmine. O un maschio e due femmine o due maschi e una femmina.
Non fa differenza. Quello che fa la differenza è che saranno i figli di Linda, quelli che Linda farà con me.
§§§
Lascio l’ ufficio verso le undici. C’ è vento fuori. Gelato. A bavero rialzato faccio un giro sotto i portici. I negozi splendono di luci e di colori. Guardo le vetrine. Gioco a immaginare quello che a Linda piacerebbe, quello che sceglierebbe.
A Linda piacerebbe l’ agenda con i fogli di carta riciclata, piacerebbe la gonna lunga scozzese, piacerebbe quella sciarpa blu notte, con solo un filo d’ argento che corre nella trama, piacerebbe quella palla di vetro con sopra dipinto un usignolo da appendere alla finestra, piacerebbe … a me piacerebbe che fosse qui con me.
§§§
Dice:
Compriamo quel fazzoletto grande, colorato per la zia
E quel grande paralume di carta increspata per la cugina
E guarda, come è bella quella scatola con i nastri, a mamma piacerebbe
E tu? Che cosa vorresti tu?
Indica di colpo la palla di vetro che, se la capovolgi, scende la neve. Dentro un minuscolo paesaggio di monti e di abeti.
Il mercatino è in fermento, la gente s’ affolla intorno alle bancarelle dove piccoli oggetti comuni sembrano tesori usciti da scrigni segreti
§§§
Arrivo alla piazzetta dove vendono gli abeti.
Linda non ama gli alberi sintetici, adora l’ odore dei pini, l’ agrifoglio, il rumore del ghiaccio che scricchiola sotto la suola, adora il freddo, l’ inverno che si fa estate, l’ estate che reclina nell’ inverno
In questo periodo dell’ anno, cantarella Jingle bells e White Christmas, rivede vecchi film, i classici sul natale, con James Stewart,Humphrey Bogart, Bing Crosby, acciambellata nella poltrona a fiori del soggiorno. Perché Linda è incantata da tutte le storie che trovano il lieto fine sul filo dello sperare sempre, del credere credere e credere ancora che con un po’ di buona volontà, molto coraggio e un pizzico di polvere fatata, ogni cosa si aggiusterà.
Storie che sono sogni.
E Linda adora sognare, anche se non parla mai, a nessuno, dei suoi sogni
Le trasmigrano negli occhi e io sento quello che sogna da come mi guarda e da come non mi guarda
Li costruisce con pazienza, i suoi sogni, e poi li fa correre liberi a briglia sciolta per l’ aria, li riacchiappa, li modifica, li aggiusta e poi di nuovo via, a farli andare come cavallini appena nati, ancora malfermi sulle gambe, ma già pronti allo scatto dei puledri che diventeranno.
La sua, ora lo so, era una gara da fare con il tempo che ci restava, immaginare quel che sarebbe stato, immaginarlo vividamente, renderlo quasi reale palpabile, era la sua mossa per anticipare il futuro
e io amavo Linda e l’ amo, questo natale più di quello scorso, e l’ amerò il prossimo ancora e ancora quello successivo
Natale dopo natale io amerò Linda.
per questo succede che a natale mi prende un groppo alla gola.
Non di commozione. Non di spirito festivo. Di rabbia. Di ribellione contro
il dovermi sentire buono a tutti i costi , costi quel che costi
il dover pensare a regali, regalini e pensierini per parenti amici conoscenti e colleghi,
il dover comprare panettoni, spumanti e salmone da portare come contributo ai vari incontri prenatalizi in ufficio
il dover stare tre giorni a sentire canti di natale su ogni canale tv e ogni stazione radio
il dover sostenere la depressione di mia madre, gli incontri di famiglia, le bicchierate, le risate, le domande
le domande
il dover rispondere alle domande
il dover mentire e dire che tutto va bene
il dover fingere d’ esser contento
il dover rinunciare al silenzio alla solitudine che stemperano la mia angoscia in filamenti preziosi
il dover dare a vedere di apprezzare i consigli, gli incoraggiamenti, le pacche amichevoli, i sorrisi di comprensione
Io non voglio la complicità natalizia. Io sono uno che ha perso e ne è consapevole. Sono uno che sta filando il suo bozzolo traslucido in cui avvolgersi e stare al riparo dalla luce e prendere lunghi respiri riparatori così da uscire fuori un giorno, chissà, crisalide rinata
Ma non questo natale, no, non sono pronto e non so se mai lo sarò di nuovo in un qualsiasi altro natale
perché solo un natale fa avevo lei e lei si chiamava Linda ed era mia ed io ero suo e insieme eravamo una cosa sola e il natale era una magia di luci colori e canti. Come era giusto.
La neve sfarfallava intorno al suo viso incorniciato dalla sciarpa nera, si posava sulle sue ciglie scure, sulle sue labbra fredde, sulle sue spalle nel cappotto, sui suoi piccoli piedi,
neve che cadeva a falde larghe come danzando
e il cielo era plumbeo e greve, quasi minaccioso
ma c’ erano così tanti suoni a distrarmi e tutto un futuro a intrigarmi, il mio futuro con Linda, il nostro futuro
che non vidi il pericolo, assordato dalle campane che annunziavano la buona novella. Il bambino nacque nella mangiatoia e Linda fu sbattuta sulla strada bianca in una pozza rossa, sbattuta in un angolo contro un cassonetto da una macchina in corsa
e là è rimasto il nostro futuro, il mio e il suo, inchiodato fra quelle luci e quei suoni
e lei adesso sta nella sua stanza azzurrina, con cannule e macchine che la aiutano a restare viva. Mi dicono di sperare. Capita che il coma si risolva. Quello di Linda non è senza speranza e io spero, sì, spero che si svegli. Vado da lei ogni giorno e le parlo e le tengo la mano
Al mercatino compro la palla di vetro che, se la capovolgi, scende la neve. Dentro un minuscolo paesaggio di monti e di abeti. Ha anche un carillon. Le note di White Christmas risuonano limpide. La porterò in ospedale e gliela terrò vicina
e tu,Gesù Bambino, fa’ che che queste piccole note la raggiungano là dove adesso si trova. Fa’ che sia di nuovo natale anche per noi, Gesù, fa’ che Linda si svegli.
Questo lo leggo mentre sei via, daniela.
Buone vacanze e un grande abbraccio. rose
dic 16th, 2008 at 19:56
Quanto sei bella qui.
Questo racconto fa vero l’amore, la rabbia, la vita e la speranza. Senza luoghi comuni, solo bellezza.
Un piacere averlo letto.
Grazie.
clelia
dic 18th, 2008 at 01:08
Bentornata, Clelia! te l’ ho lasciato detto anche sul circolo, ma te lo ripeto! e, naturalmente, grazie per la tua visita!
dic 18th, 2008 at 18:58
Un racconto delizioso, daniela. Cara daniela. Sono affascinata dalla tua capacità di scandagliare l’animo umano e di raccontare le cose più scontate in un modo che non ha nulla di scontato. Una bella storia, speriamo … a lieto fine.
Anch’io amo le palle di vetro con la neve. Sono terribilmente kitch (come si scrive?), ma mi piacciono lo stesso. Ciao, daniela. Un abbraccio per questo racconto. Grazie!
dic 19th, 2008 at 23:17
Ricambio l’ abbraccio, rose cara: grazie!
dic 20th, 2008 at 12:35