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Ricchezze e miserie d’ altri tempi

agosto 6th, 2010 by admin

In occasione della presentazione della nuova edizione di Ricchezze e miserie d’altri tempi, di Graziana Monti, mi piace pubblicare due brani dell’ autrice.

Da “Ricchezze e Miserie d’Altri Tempi” di Graziana Monti

Campeggio

Una meta di gite frequenti era il Santuario della Madonna di Campeggio. Si impiegavano circa due ore per raggiungere il santuario al quale affluivano ogni anno molti pellegrini. Attraversando le colline verso Gragnano, e per sentieri e viottoli si raggiungeva il monte Calvario, dove il parroco don Augusto Bonafè aveva fatto erigere nel 1930 tre altissime croci ricordanti il Calvario di Gerusalemme.
Sopra il Calvario levansi tre Croci
Commosso ascolto le potenti voci
della tripla mole.
Dice la Croce: “Segno io son di vita;
segno io sono di morte.
L’umanità ribelle ovver pentita
Mi scelga per eterna sorte”.
Si scendeva il monte lungo un sentiero serpentino e pittoresco in mezzo a eriche e ginestre profumate. Alberi di querce ombreggiavano il percorso lasciando filtrare macchie di sole. Ai piedi del monte quasi per incanto ti attendeva, accogliendoti al suo monumento, una bella fontana di acqua fresca per dissetarti dal lungo viaggio. ” Omnes sitientes venite ad acquas “( O voi tutti che avete sete venite ed io vi ristorerò). E per completare, vicino alla fontana, lunghe panche e tavole rustiche, sotto a un fresco pergolato di edera, accoglievano i pellegrini al riposo e al ristoro. Il parroco don Bonafè non mancava mai di venire a salutare i nuovi arrivati. Veniva incontro allargando le braccia e , sorridendo benevolmente, esclamava: “Venite! La Madonna vi aspettava!”. E accompagnava subito i pellegrini alla grotta della Bianca signora dei Pirenei.
La grotta è un vero capolavoro, opera di un artigiano bergamasco Guelfo Ravasio, e merito del parroco don Augusto Bonafè che, dopo varie visite a Lourdes, la volle costruire a sue spese nel 1923 in Campeggio, a destra della chiesa parrocchiale. Ripete fedelmente la famosa grotta di Massabielle : le volte rocciose, la nicchia con la Madonna, la cascata d’acqua, la fontana, Bernardetta inginocchiata davanti in atto di pregare. Il tutto, avvolto di silente pace, dona al cuore profonda commozione. Ancora oggi è meta di pellegrini e migliaia di attestati confermano quante grazie e favori abbia elargito in questi anni la Bianca Signora dei Pirenei.

Da “Quando gli spiriti erano di casa” di Graziana Monti

Lo scalpellino

Un novantenne, tempo fa, spronato dalle mie domande, mi raccontò che sì, a Campeggio, l’avevano visto in molti l’omino che di notte nel “fos dei Zer” (nel fosso del Cerro) batteva col martello sulla pietra come usavano gli scalpellini. A Campeggio, in quei tempi, il mestiere dello scalpellino era quello più praticato e si diceva che questo omino fosse lo spirito di un qualche morto condannato anche nell’altro mondo a lavorare ancora la pietra. Molte notti si sentiva il battere del martello. Una notte un giovane più coraggioso degli altri si avvicinò a questa ombra e gli chiese più volte chi fosse e come mai lavorasse a quell’ora. Non ebbe nessuna risposta, ma a un tratto l’omino smise di battere e con una stridula risata si dileguò fra gli alberi.
Questo fatto mi è stato confermato da un altro campeggiano novantenne, perfettamente lucido di mente: Armando Salomoni. Mi diceva : – Amarcord, quando ero giovane che si vedeva sì, uno spirito dentro al fosso del Cerro.- Questo spirito aveva le sembianze di un omino piccolo, con la barba bianca e un lanternino in mano. L’avevano visto in molti; girava quasi ogni notte su e giù per il fosso del Cerro. Chi non l’aveva visto di persona, aveva visto nella notte il lumicino vagare avanti e indietro fino alle prime luci dell’alba. Ci fu uno che, per scommessa, volle fare il coraggioso: in piena notte andò sul posto e si mise a sedere lungo il fosso, sotto un cerro, aspettando che passasse l’omino. Le ore passavano, ma qui non succedeva nulla.
Di quando in quando sentiva solo cantare la civetta col suo lugubre verso. Faceva anche freddo e si rannicchiò avvolto nella capparella. Il silenzio diventò insopportabile. Man mano che passavano le ore i suoi occhi si spalancavano sempre di più fissando il buio, mentre ad ogni piccolo rumore il nostro uomo trasaliva e il cuore gli martellava nel petto. Si era già pentito di aver fatto questa spacconata e rimpiangeva il suo letto caldo imbottito di foglie di granoturco. Ma ormai si era compromesso con gli amici volendo dimostrare di non aver paura, anzi, beffandosi di coloro che, “neanche per sogno”, sarebbero andati al fosso del Cerro di notte per incontrare un fantasma.
Intanto per farsi coraggio il nostro eroe cercava di ridere pensando all’indomani, quando avrebbe raccontato che non aveva visto proprio un bel niente, che quelle erano tutte fantasie che venivano in testa alla gente per la debolezza dovuta al fatto di dover mangiare sempre e solo polenta. A questo punto non si sa cosa gli fosse successo perché nessuno riuscì mai a farsi raccontare quello che aveva visto quella notte. La curiosità di sapere era diventata di dominio pubblico e tutti, in zona, parlavano del fatto strano che il nostro amico l’indomani aveva tutti i capelli bianchi, mentre il giorno prima erano neri. Gli amici lo spiavano e insistevano affinché raccontasse, ma lui taceva.
Aveva persino cambiato carattere, era diventato improvvisamente un uomo serio : non andava più neanche all’osteria. Si seppe solo che si era recato dal prete a ordinare tre messe. Da allora nessuno vide più il fantasma e neppure la luce da lontano. Anche la gente pian piano smise di parlarne e anche il ricordo svanì come un sogno d’estate.