Censura
Shahriar Mandanipour, Censura
In una Teheran misteriosa e caotica, dove il profumo dei fiori di primavera si mescola al puzzo di monossido di carbonio e le motociclette diventano taxi improvvisati in un traffico da delirio, una ragazza che manifesta davanti all’ università sta per diventare l’eroina di una storia più grande di lei. «La ragazza non sa che esattamente sette minuti e sette secondi dopo, al culmine degli scontri tra polizia, studenti e militanti nel Partito di Dio, sarà travolta nel caos delle cariche e delle fughe, cadrà all’indietro, batterà la testa su uno spigolo di cemento e chiuderà i suoi occhi orientali per sempre».
Raramente un’opera letteraria ha anticipato con maggiore puntualità una tragedia come la morte di Neda Agha-Soltan, la ragazza iraniana uccisa negli scontri tra studenti e polizia lo scorso giugno, la cui morte ripresa in video è diventata l’anima delle proteste durante l’ultimo contestatissimo trionfo elettorale di Ahmadinejad. Ma di puntualità davvero si tratta, se si pensa a Censura. Una storia d’amore iraniana, il romanzo di Shahriar Mandanipour che Rizzoli ha appena mandato in libreria nella traduzione di Flavio Santi (pp. 370, e 19,50), è uscito negli Stati Uniti proprio durante le passate elezioni in Iran. Ed è diventato immediatamente un «caso» sui giornali e nei circoli letterari americani per molti buoni motivi, a cominciare al suo inizio tristemente profetico. Gli altri motivi sono legati al metodo postmoderno usato dall’autore per interrogarsi sui limiti e le possibilità dello storytelling in uno Stato totalitario. Su cosa significhi cioè «narrare» in un Paese dove l’immaginazione può condurre alla galera; dove il linguaggio deve farsi ipercreativo per aggirare divieti culturali durissimi; e dove il semplice dare forma a una storia d’amore tra un ragazzo (Dara) e una ragazza (Sara) diventa una sfida, sullo sfondo di un Paese dove due giovani non sposati non possono né incontrarsi né tenersi per mano né guardarsi negli occhi in pubblico. Ma per capire meglio dove nasce l’interesse per un libro complesso come Censura , bisogna andare a pagina 16, dove Shahriar Mandanipour — o il suo alter ego letterario — si presenta al lettore dicendo:
«Sono uno scrittore iraniano stanco di scrivere storie cupe e amare, popolate da fantasmi e narratori passati da tempo a miglior vita, con prevedibili finali di morte e distruzione»
Uno scrittore cinquantenne, aggiungiamo noi, che scrive in farsi per un pubblico che non può leggerlo (essendo in Iran censurato) e pensa in inglese per un pubblico americano colto; che è stato critico cinematografico, direttore di una rivista letteraria e autore di racconti, prima di emigrare negli Stati Uniti nel 2006, dove Harvard gli ha offerto un posto di writer in residence che occupa tuttora. Pieno di energia, ironico, erudito e ambiziosissimo, Mandanipour ha scritto un romanzo che è tre cose in una: la storia di un amore segreto tra due giovani nella cupa Teheran di oggi; la storia dello scrittore di quella storia costretto, per poterla raccontare, ad aggirare con mille compromessi l’inevitabile censura; e una riflessione su il modo in cui arte e vita possono mescolarsi nella realtà e sulla pagina….
…. è la censura la vera protagonista di questo romanzo. Una censura elevabile ad arte che è la vera ragione, secondo Mandanipour, per cui «gli scrittori iraniani sono diventati i più educati, i più maleducati, i più romantici, i più pornografici, i più politici, i più realisti e i più postmoderni del mondo». Non grazie alla nostra cara vecchia libertà di espressione che può intimorire le menti più navigate. Ma grazie a una tirannia che nella sua stupidità non si accorge di essersi trasformata nella madre di tutte le metafore.
Livia Manera
da: http://www.corriere.it/cultura/