“e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo”.
(superflua la citazione dell’autore)
Fischiando, il zappatore
(ovvero il martedì del villaggio)
Il cielo si fa rosso quand’è sera,
allora che sbadiglia la vallata
e il sole si rituffa dietro il colle.
Ed ecco che si leva dal suo scranno,
sbuffando per il sigaro incompiuto,
il grande Giove e ratto s’affaccenda.
Sospinge l’astro pigro che rallenta,
le rondini rintana svelte ai nidi,
riottose le creature della notte,
a calci le risveglia e le prepara.
E intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa alla moglie che l’attende.
Giunto il bifolco in mezzo all’aia,
posta la zappa sicura nella stia,
fesse le terga al placido ristoro
getta con agio sopra il poggio antico.
Spira il profumo dalle quiete stanze,
e mentre le ombre distende il dì che muore,
tuona dall’interno colei che l’attendeva:
Peeee’*, va’ a piglia’ ‘u vino. Muovete!
Prosegue il sommo Giove e dà ricetto
agli ultimi barlumi del suo giorno.
Si leva la fragranza della notte,
l’odore umido fresco dei licheni.
Peeee’, stai ancora assettato? ‘U vino!
Sospira un venticello di campagna,
rimuove la calura già scordata.
Si librano nell’aria i pipistrelli,
disegnano le curve avventurose,
e suona col suo verso la civetta,
annuncia la nottata che s’appresta.
‘Sto iettato**! T’hanna mangià i cani!
Ammira lo spettacolo dall’alto,
tornando sull’Olimpo il dio potente,
e mentre già risale il suo tornante,
pregusta col pensiero di sovrano
Giunone che prepara ormai la cena.
Cala sul villaggio la sua pace,
le ombre si confondono col buio
e sopra il poggio antico in mezzo all’aia,
rimane accomodato il contadino…
* vocativo di Giuseppe
** inetto