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PER CHI SCRIVIAMO? -Non siamo più un popolo, ma un pubblico di spettatori televisivi-

UtenteMessaggio

07:15
4 aprile 2011


OmarBunfai

Ospite

Pier Paolo Pasolini, un poeta e intellettuale che non smetto mai di rimpiangere ogni giorno della mia vita, scriveva nella sua “ Abiura della Trilogia della Vita”, queste parole terribili quanto ridestanti le coscienze assopite del nostro povero MalPaese:
“ Anche la "realtà" dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana.”
“I giovani e i ragazzi del sottoproletariato romano – che son poi quelli che io ho proiettato nella vecchia e resistente Napoli, e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo – se ora sono immondizia umana, vuol dire che anche allora potenzialmente lo erano: erano quindi degli imbecilli costretti a essere adorabili, degli squallidi criminali costretti a essere dei simpatici malandrini, dei vili inetti costretti a essere santamente innocenti, ecc. ecc. Il crollo del presente implica anche il crollo del passato. La vita è un mucchio di insignificanti e ironiche rovine.”.
Nel suo ultimo film del 1975, “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, Pasolini rinnega tutta quella gioia, quell’innocente esuberanza erotica, che aveva tratto come valori costruttivi dal popolo delle borgate romane ed esprime tutto il suo pessimismo e la sua delusione per gli italiani che vede ormai corrotti nell’anima e nel corpo, non più popolo ma massa; non più liberi e vitali, ma degradati e trasformati in merce, puri oggetti di consumo del Potere.
Pasolini assiste sgomento ma lucido, alla mutazione antropologica che porterà ai devastanti anni ’80 che non sono ancora finiti.
Vede quel popolo vitale, libero e sensuale che aveva idealizzato, deformarsi per lasciare le pur brutte baracche della periferia romana, per imborghesirsi con qualche liretta in tasca e intrupparsi in osceni condomini popolari – posti senza aria, senza verde, senza servizi e socialità – e scimmiottare un decoro borghese finto e grottesco, imprigionato in un modello di vita che fa somigliare sempre di più gli uni agli altri, con l’onnipresente televisione che incolla tutto e tutti.
Ed esplode, in quelle parole di un’attualità assoluta, la sua amarezza e la sua capacità di autocritica che lo rende unico tra gli intellettuali italiani moderni; e si dice che forse quel popolo che aveva così amato non era così come lui l’aveva visto e vissuto; se oggi sono corrotti  lo erano anche prima ed io non me sono mai accorto.
Penso che si scriva per se o per gli altri.
Credo che oggi noi tutti scriviamo solo per noi stessi, per cercare di illuminare le ombre della nostra vita con un fioco lumicino di senso.
Siamo come venditori ambulanti, in un mercato dove si vendiamo tutti la stessa mercanzia; offriamo quello che scriviamo, evitando in tutti modi il contraccambio del leggere.
La mia è una semplice constatazione e non moralismo, un fatto operativo che anch’io per primo pratico nell’ottica dello scrivere per me stesso, nella strategia di liberazione e auto-plasmazione sacrosanta dei miei pensieri e delle mie emozioni.
Ma per quanto riguarda lo scrivere per gli altri – sfera creativa strettamente connessa allo scrivere per se – la mia disillusione è ormai totale, irreversibile.
La nostra democrazia è ormai un guscio vuoto dove i servi sono solidali con i padroni, e i padroni sono lo specchio dei servi.
La grande, vera gloria di Berlusconi è di dimostrare che il primo venuto può, impadronendosi delle televisioni e di metà dell’editoria e della stampa nazionale, governare in modo autoritario una nazione sorretta da una grande Costituzione democratica.
I veri imbecilli sono quelli che credono che simili cose possano riuscire senza il permesso del popolo degli attuali spettatori televisivi – mi riferisco alle opposizioni sempre divise e corrotte pure loro – e quelli che sottovalutano il merito di Berlusconi di aver capito che oramai non siamo più delle persone ma una massa di ebeti.
I tiranni e gli autoritari sono sempre stati i maggiordomi del popolo.
E’ la gente che mette i suoi dittatori sul trono.
Per questi evidenti motivi, non è possibile fare altro che scrivere  per noi stessi, cari colleghi forumisti.
“Quanto al futuro, ascolti:
i suoi figli fascisti
veleggeranno
verso i mondi della Nuova Preistoria.
Io me ne starò là,
come colui che
sulle rive del mare
in cui ricomincia la vita.
Solo, o quasi, sul vecchio litorale
tra ruderi di antiche civiltà,
Ravenna
Ostia, o Bombay – è uguale -
con Dei che si scrostano, problemi vecchi
- quale la lotta di classe -
che
si dissolvono…
Come un partigiano
morto prima del maggio del ’45,
comincerò piano piano a decompormi,
nella luce straziante di quel mare,
poeta e cittadino dimenticato.”
(Clausola)
“Dio mio, ma allora cos’ha
lei all’attivo?…”
“Io? – [un balbettio, nefando
non ho preso l'optalidon, mi trema la voce
di ragazzo malato] -
Io? Una disperata vitalità.
Da “Una disperata vitalità” in Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, Einaudi.

13:59
4 aprile 2011


Manfredi

Ospite

Una disperata vitalità è al centro della poetica pasoliniana. Ne è il paradigma. Dall’opposizione assoluta con il proprio tempo nasce una tonalità profetica e disperata: davanti al piatto potere neocapitalista Pasolini può farsi profeta di una nuova epoca possibile radicata nei valori del Passato. Se tutto è diventato merce la sua poesia esibisce la mistificazione nella quale viviamo e di fronte alla “vittoria neofascista” può ribadire solo una “disperata vitalità”. Per denunciare che viviamo uno “sviluppo senza progresso”, un crescere economico e tecnologico in cui perdiamo anima ed identità.

tremendo, vero? già. 

al contrario di te, Omar, io non ce l' ho con la piccola-media borghesia. forse perchè quella è la mia estrazione sociale famigliare e, ciò nonostante, mai mi sono sentito asservito al potere del "consumo per il consumo", del "ragionare con la testa degli altri", del "farmi influenzare/plagiare dalla TV o dalla carta stampata". non lo sono stato da giovane, men che meno lo sono da vecchio. e allora penso che di piccoli borghesi come me ce ne devono essere altri, tanti altri… non credo, non l' ho mai creduto, che la libertà di pensiero fosse e sia prerogativa di poche menti eccelse e decisamente di sinistra. ho conosciuto gente di sinistra che plagiava-cribbio, se plagiava!- i giovani, cercando adepti per un partito in crisi mortale. uno schifo. ho conosciuto, per contro, gente di destra che presentava ai giovani le diverse facce della moneta, invitandoli a pensare, a valutare di persona. pare che i mali d' Italia e non solo siano ascrivibili alla borghesia. mica vero, sai? perchè, se è vero che la corsa alla "liretta", a un più "rispettabile" status, alla mediocritas di una vita di facciata, è altrettanto vero che la borghesia ha avuto il merito di dare "la spinta" al paese del dopoguerra, ha dimostrato di sapersi tirar su le maniche e sfacchinare, ha permesso a un' intera generazione di figli di studiare, di andare all' università, di credere nel futuro. e mentre il 68 proclamava libertà a 180 gradi, imponeva lassismo in famiglia e nelle scuole e metteva le basi di gran parte dello sfascio di oggi, la borghesia è andata oltre limite che doveva imporsi, non ha saputo fermarsi, riflettere, considerare. ed è per questo che oggi si può parlare di una società fatta di una massa omogenea di teste, incretinite dalla tv, dallo shopping, dalla globalizzazione dell' idiozia.

MIA OPINIONE.

ad ogni modo:

“ Da cosa è stata caratterizzata tutta questa mia produzione, in maniera assolutamente schematica e semplicistica?
È stata caratterizzata prima di tutto da un mio istintivo e profondo odio contro lo stato in cui vivo.
Dico proprio “stato”: E intendo dire “stato di cose” e “Stato”  nel senso proprio politico della parola.
Lo stato capitalistico piccolo-borghese che io ho cominciato a odiare fin dall’infanzia.
Naturalmente con l’odio non si può nulla…
Infatti non son riuscito a scrivere mai una sola parola che descrivesse, si occupasse o denunciasse il tipo umano piccolo-borghese italiano.
Il senso di repulsione è così forte che non riesco a scriverne.
Quindi ho scritto nei miei romanzi soltanto di personaggi appartenenti al popolo.
Io vivo cioè senza rapporti con la piccola borghesia italiana.
Ho rapporti o con il popolo o con gli intellettuali.
La piccola borghesia sì però è riuscita ad avere rapporti con me.
E li ha avuti attraverso i mezzi che ha in mano ossia la magistratura e la polizia.
E ha intentato una serie di processi alla mia opera.”             
 ( P.P. Pasolini, 1969)

 

pezzo ineccepibile per costruzione di pensiero. tiene conto della posizione personale di P.P. Pasolini uomo, verso uno stato sociale odiato e disprezzato. ne legge, secondo me, una faccia: una sola. 

17:11
4 aprile 2011


OmarBunfai

Ospite

Bè, Manfredi, complimenti: un intervento straordinario per equilibrio, preparazione culturale e anche costruzione sintattica che non guasta.

Consiglio a tutti di leggerlo e meditarlo lentamente.

Non bisogna fare di tutte le erbe un fascio, e Pasolini lo aveva capito: anche quel sottoproletariato romano che aveva tanto amato porta nel suo cuore l'egoismo più efferato, tanto quanto il peggio della borghesia.

Per questo sono sempre stato un cristiano – anche se laico – e un individualista, perchè tutto avviene nel cuore di ogni persona, il campo di battaglia tra Dio e Satana, come scriveva bene Dostoievskij.

Il pezzo tratta anche di un altro problema, di cui mi piacerebbe sapere una tua sagace opinione: nell'era informatica stiamo tutti scrivendo per noi stessi, è possibile scrivere ancora per gli altri? Esiste ancora un popolo italiano? Esistono ancora degli altri?

 

Ciao e grazie, grande Manfredi

18:09
4 aprile 2011


admin

Amministratore

messaggi3520

Ragazzi, sono orgogliosa di voi!!!!!!!!!!! Grazie!

dmk

19:54
4 aprile 2011


Manfredi

Ospite

merci beaucoup, dmkWink 

Omar, vedo di darti la mia opinione:

- scrivere per gli altri: penso che tu ti riferisca agli "internettiani – scrittori e poeti – (perché se si parla di carta stampata, bisogna fare il discorso "editoria" (grama!!!!). si sa e si vede che moltissimi si sono messi a mettere on line i loro lavori, é stata un' esplosione che sembra non aver fine. perché lo fanno? per se stessi, senza dubbio. per gli altri? anche, ma nel senso che cercano, secondo me, consensi più che "confronto". c' é una specie di autoreferenzialità che pesa su tanti che si propongono come autori del web. inoltre si nota che, a fronte dei tanti che scrivono, molto meno sono quelli che li leggono e che commentano. la qual cosa fa riflettere. sempre a mia modesta opinione é un po' comodo Smile so che suona critico, ma la penso così.

- ad ogni modo, sì, Omar, é possibile scrivere "per gli altri" e con questo non intendo una scrittura didascalica, dedicata alla spiegazione o altro, ma mi riferisco ad ogni tipo di scrittura, che si possa considerare un modo di passare se stessi o una piccola parte di se stessi e della propria esperienza ad altri

- i quali altri esistono, oh se esistono! quello che manca, ancora una volta secondo me, é piuttosto l' idea della reciprocità e della voglia di operare uno "scambio" fra autore e lettore che dovrebbero porsi sul piano del vicendevole fruimento di emozioni, di sensazioni, di quell' immaginario – che fino a prova contraria é collettivo – che alberga in ognuno.



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