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La favola: da Esopo ai giorni nostri

UtenteMessaggio

22:31
3 aprile 2009


Rose

Ospite

Un mio 'lavoro' di alcuni anni fa:

LA FAVOLA: DA ESOPO AI GIORNI NOSTRI

  

“Il lupo e l’agnello” , “La cicala e la formica”, “La volpe e l’uva”.

 

Queste espressioni richiamano subito alla mente delle immagini chiare, perché fanno parte di un background culturale che ci accomuna tutti. E tutti mettiamo in relazione queste espressioni con due nomi: ESOPO e FEDRO.

A ESOPO viene tradizionalmente attribuita l’invenzione della favola. In realtà ESOPO è un personaggio leggendario della letteratura greca arcaica, un po’ come Omero.

Sarebbe vissuto nel VI secolo prima di Cristo, ma il suo merito può essere tutt’al più quello di aver raccolto in forma scritta una serie di favole attinte dalla tradizione orale. Sono brevi racconti in prosa, la cui maggiore caratteristica è avere come protagonisti degli animali.

Questo non ci deve stupire, perché in una società di tipo agricolo il contatto col mondo animale è quotidiano e gli uomini hanno avuto modo di osservare da vicino le caratteristiche dei vari animali, il loro comportamento istintivo che ben si presta a rappresentare le varie tipologie umane e così per esempio la volpe ha finito per incarnare la furbizia, il leone la forza e la prepotenza, la formica l’operosità , il lupo la cattiveria e così via.

Nelle favole Esopiche quindi gli animali hanno lo stesso ruolo delle maschere del teatro latino: rappresentano cioè dei modelli psicologici fissi e ricorrenti.

Un’altra caratteristica di queste favole è la presenza di una morale, cioè di una verità di carattere universale che si può estrarre dal racconto.

La favola esopica  esprime il punto di vista delle classi subalterne, al contrario dell’epica che rappresenta il mondo e gli ideali dell’aristocrazia.

E’ la morale del buon senso che riconosce come il debole per sopravvivere debba essere prudente, cercando di non irritare o insospettire i potenti e vivendo nella loro ombra se sono benefici, lontano se sono pericolosi.

FEDRO dichiara esplicitamente di aver attinto alle favole di ESOPO.

FEDRO è un liberto, probabilmente di origine tracia, che vive a Roma nel 1° secolo avanti Cristo.

La sua non è stata semplicemente un’opera di traduzione o imitazione. FEDRO ambisce a fare della letteratura. Infatti scrive in versi, mentre le favole esopiche erano in prosa e in questo senso ha dato inizio ad un nuovo genere letterario, appunto la favola esopica in versi.

La forma metrica è il senario giambico, che è un genere popolare; la lingua è il latino colloquiale della classe colta e lo stile è breve e chiaro, senza ornamenti retorici.

Personalmente trovo notevole questa capacità di concentrare in pochi versi un racconto, creando immagini così vive.

Con la sua mentalità di ex schiavo e liberto costretto a vivere umilmente, FEDRO ci presenta un mondo in apparenza variopinto ed allegro, ma da cui traspaiono l’ingiustizia e la sopraffazione.

Il contrasto fra i potenti e gli umili si esprime spesso in punte polemiche. La satira tuttavia è fine a se stessa; il sentimento prevalente è u n rassegnato pessimismo. La violenza del forte sul debole sembra un’ineluttabile legge di natura che si applica anche nella società umana.

Pur essendo stato ignorato dagli autori suoi contemporanei, perché ritenevano quello della favola un genere poco colto, FEDRO ha avuto da subito un certo successo scolastico, in quanto il suo stile semplice e breve si è prestato all’insegnamento del Latino. La sua fortuna scolastica si è accresciuta durante il Medio Evo, ma possiamo dire che FEDRO ha avuto estimatori e imitatori anche in epoche più recenti, come LA FONTAINE e TRILUSSA.

LA FONTAINE è un letterato francese del ‘600 che deve la sua fama proprio all’aver ripreso il tema della favola, più che al resto delle sue opere. Egli scrisse ben 245 favole in versi dove ancora troviamo come protagonisti gli animali, ma dove il bisogno di moraleggiare è superato dal piacere di “raccontare per il raccontare”, con un gusto del meraviglioso o, appunto, del favoloso.

Le favole di LA FONTAINE condensano un mondo lirico, teatrale e narrativo insieme.

Gli animali parlano sullo sfondo variopinto della natura, mostrando le loro caratteristiche che rispecchiano quelle dell’uomo e sono come personaggi di una commedia universale che può avere tanti significati e nessuno, come la vita stessa.

E poi, a cavallo tra ‘800 e ‘900, abbiamo qui in Italia Carlo Alberto Salustri, in arte TRILUSSA, che scrive in dialetto romanesco. Il suo è un dialetto imborghesito e italianizzato che non ha bisogno del vocabolario come quello dal Belli (poeta del folklore romano per eccellenza). Il romanesco di TRILUSSA è ridotto ad una patina leggerissima, giusto per dare “colore” ai versi e renderli più gustosi.

Il mondo che lui dipinge è la Roma piccolo borghese di fine secolo, con le sue baruffe politiche che diventano oggetto di una satira arguta. Ma quella di TRILUSSA è una satira non ideologica che gli permetterà di passare indenne il ventennio fascista.

L’osservazione delle vicende umane che sono fatte di violenza, astuzia, calcolo, egoismo conduce inevitabilmente TRILUSSA alla favola, alla parabola degli animali parlanti.

Anche le favole di TRILUSSA hanno una morale, ma il suo massimo intento non è questo e non è neppure il gusto del “raccontare”, come nel caso di LA FONTAINE. Si percepisce il sorriso dell’autore dietro ai suoi versi; egli si è divertito per primo e desidera che anche il lettore si diverta.

E così TRILUSSA rivisita le favole di FEDRO e spesso le modifica. I suoi versi sono pieni di lupi pentiti, volpi antimilitariste, cani moralisti e somari filosofi.

TRILUSSA osserva il suo mondo con sottile ironia e scetticismo, con un distacco sorridente e quasi compiaciuto. Alcuni lo hanno accusato di qualunquismo, ma personalmente penso che più che disimpegno politico, quello di TRILUSSA sia un giustificato pessimismo nei riguardi della natura umana.

 

Ho pensato che sarebbe stato interessante leggere alcune favole nelle tre versioni: di FEDRO, di LA FONTAINE e di TRILUSSA.

La prima che ho scelto è “Il lupo e l’agnello” che tutti conosciamo.

Lo schema è quello classico del conflitto fra due personaggi: il dominatore e la vittima, il prepotente che ha sempre la meglio e l’umile che soccombe alla legge del più forte. Leggiamo in FEDRO:

                                                Ad un solo rivo vennero, l’agnello

 e il lupo, spinti dalla sete. In alto

 stava il lupo. Molto in basso l’agnello

Quand’ecco che al rapace si destò

 la gola maledetta e trovò da litigare.

“Io bevo e tu mi intorpidisci l’acqua” disse

E quel lanuto timido:”Ti prego,

non posso fare ciò che tu lamenti,

 perché l’acqua scende da te ai miei sorsi”.

 La verità lo respinge, ha la sua forza

 “Sei mesi or sono hai sparlato di me”.

 E l’agnello risponde: “Io? Non ero nato”

“Ma tuo padre perdio sparlò di me”

E piglia e strappa, eppure aveva torto.

 

  Abbiamo anche la morale:

  Fu scritto per chi schiaccia l’innocente

  e la ragione se l’inventa lui.

 

Ecco, quando la morale segue il  racconto si chiama EPIMITIO ( = aggiunto sopra); nel racconto di LA FONTAINE invece troviamo la morale all’inizio. In questa caso si chiama PROMITIO. Leggiamo:

 

La favola che segue è una lezione

che il forte ha sempre la miglior ragione.

Un dì nell’acqua chiara di un ruscello

bevea cheto un agnello,

quand’ecco sbuca un lupo maledetto

che non mangiava forse da tre dì,

che pien di rabbia grida, “Echi ti ha detto

d’intorbidar la fonte mia così?

Aspetta temerario!” “Maestà”

a lui rispose il povero innocente,

“s’ella guarda, di subito vedrà

ch’io mi bagno di sotto la sorgente

d’un tratto, e che non posso l’acque chiare

della regal sua fonte intorbidare”.

“Io dico che l’intorbidi” arrabbiato

risponde il lupo digrignando i denti,

“e già l’anno passato hai sparlato di me”.

“Non si può dire perché non ero nato,

Ancora io succhio la mammella, o Sire”.

“Ebbene sarà stato un tuo fratello”

“E come, Maestà?

Non ho fratelli, il giuro in verità”.

“Queste son ciarle. E’ sempre uno di voi

che mi fa sfregio, è un pezzo che lo so.

Di voi, dei vostri cani e dei pastori

vendetta piglierò”.

Così dicendo, in mezzo alla foresta

portato il meschinello,

senza processo fecegli la festa.

 

La prima differenza che salta all’occhio naturalmente è nella lunghezza dei due brani; FEDRO infatti usa un linguaggio molto più conciso e incalzante, LA FONTAINE più descrittivo.

La versione di TRILUSSA parte dalla stessa situazione, ma poi ha dei risvolti diversi. Infatti si intitola:    

 L’agnello infurbito

Un lupo che beveva in un ruscello

vidde dall’antra parte  de la riva,

l’immancabbile agnello.

“Perché nun venghi qui”? je chiese er lupo.

“L’acqua in quer punto è torbida e cattiva

e un porco ce fa spesso er semicupo.

Da me che nun ce bazzica er bestiame,

er ruscelletto è limpido e pulito…”

L’agnello disse. “ Accetterò l’invito

quando avrò sete e tu nun avrai fame”.

 

TRILUSSA ha rielaborato il testo della favola ed effettivamente notiamo che è quello che fa con la maggior parte dei testi. Nella sua versione spesso l’umile si riscatta… o con un moto di spirito o capovolgendo addirittura la situazione. Prendiamo ad esempio l’altrettanto famosa favola de:

“La cicala e la formica”.

LA FONTAINE rispetta il testo antico e così leggiamo:

La cicala che imprudente

tutta estate al sol cantò,

provveduta di niente

nell’inverno si trovò,

senza più un granello e senza

una mosca in la credenza.

Affamata e piagnolosa

 va a cercar della formica

 e le chiede qualche cosa

qualche cosa in cortesia,

per poter fino alla prossima

primavera tirar via:

promettendo per l’agosto

in coscienza d’animale

 interesse e capitale,

 La formica che ha il difetto

 di prestar malvolentieri,

 le dimanda chiaro e netto.

 “Che hai tu fatto fino a ieri”?

  “Cara amica, a dire il giusto

   non ho fatto che cantare

   tutto il tempo”. “Brava, ho gusto;

 balla adesso, se ti pare”.

 

Notiamo invece la versione di TRILUSSA che, tanto per cominciare, intitola la sua favola:                                          

La cecala rivoluzzionaria

Una cecala rivoluzzionaria

diceva alla formica:

“Povera proletaria!

Schiatti da la fatica

senza pensà che un giorno finirai

sott’a le zampe de la borghesia

che a le formiche nun ce guarda mai.

 Ma che lavori a fa’, compagna mia.

 Pianta er padrone e sciopera

prima ch’arivi un piede propotente

che te voja fregà la mano d’opera!

Tu guarda a me: d’inverno nun fo gnente,

e ammalappena sento li calori

me sdraio en faccia ar sole e canto

l’Inno de li Lavoratori!

 

Naturalmente, TRILUSSA non vuol capovolgere la morale e sostenere che la pigrizia sia migliore dell’operosità. Quello che lui ha fatto è rielaborare un testo classico e applicarlo ad una situazione diversa. Alcuni al suo tempo non facevano nulla, ma pretendevano di rappresentare la classe operaia (forse accade anche oggi).

Quello che TRILUSSA rappresenta è quindi un mondo in cui l’umile ha imparato la lezione e si è “fatto furbo”, per così dire. Il quadro che ne esce è quello di una povera umanità che si arrabatta nella vita, senza alti valori e senza ideali. E’ un umorismo venato di malinconia.

Così, leggiamo per esempio: 

La gratitudine

Mentre magnavo un pollo, er cane e er gatto

pareva ch’aspettassero la mossa

dell’ossa che cascavano ner piatto.

 E io, da bon padrone.

 facevo la porzione,

 a ognuno la metà:

 un po’ per uno, senza

 particolarità.

Appena er piatto mio restò pulito

er gatto se squajò. Dico: “E che fai”?

 “Eh”, dice “me ne vado, capirai,

 ho visto ch’hai finito…”

 Er cane, invece, me sartava  ar collo

 riconoscente come li cristiani

e me leccava come un francobollo 

Oh! bravo!” dissi “Armeno tu rimani”!

Lui me rispose: “Sì, perché domani

magnerai certamente un antro pollo”.

 

E così, seguendo il filo conduttore della favola siamo passati da FEDRO a LA FONTAINE, a TRILUSSA, in un percorso che evidenzia come la favola esopica sia qualcosa che l’uomo ha interiorizzato, che ormai fa parte dell’immaginario collettivo e ci ricorda una stagione della vita in cui tutto sembrava meraviglioso e anche gli animali parlavano.

23:29
3 aprile 2009


franco

Ospite

un bellissimo percorso, una disamina approfondita e ricca di esempi.

La favola colta nella sua essenza, attraverso l'opera dei suoi più grandi autori, evidenziandone il carattere universale e la tipologia umana che ne è l'ispiratrice.

Molto interessante, tra le altre profonde considerazioni, è il confronto con le maschere teatrali e lo stereotipo che ispira anch'esse.

Lo studio si ferma a Trilussa, ma questo

“…percorso che evidenzia come la favola esopica sia qualcosa che l'uomo ha interiorizzato, che ormai fa parte dell'immaginario collettivo…”

potrebbe forse proseguire e giungere fino al 1928 anno in cui un certo Disney, animò e diede voce ad un piccolo topo, elevandolo al ruolo di protagonista e creando un nuovo universo di animali parlante che avrebbero vissuto infinite storie ed incredibili avventure.

Mi  scuso con Rose per  questa “contaminazione” e la ringrazio del suo bellissimo saggio.

f

23:45
3 aprile 2009


Rose

Ospite

Innanzi tutto, caro franco, grazie per aver letto una cosa così lunga Smile

Anch'io avevo pensato a Walt Disney, a suo tempo, ma si usciva dal genere letterario vero e proprio e poi, il lavoro si sarebbe allungato ulteriormente.

Tuttavia, è la testimonianza più moderna, di questo utilizzo degli animali per rappresentare tutte le sfaccettature dell'animo umano … sia in bene, che in male.

Grazie per averlo ricordato e grazie ancora per la lettura. Kiss

21:22
4 aprile 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

molto interessante questo studio sullo sviluppo della favola. Letto con grande piacereSmileGrazie, Rose.

dmk

21:50
4 aprile 2009


Rose

Ospite

Grazie, a te, daniela. So che può sembrare un po' scolastico, ma non è frutto di copia-incolla. Kiss

22:10
4 aprile 2009


sandra

Ospite

Smile Zia Rose, ma perchè non cominciare da Adamo ed Eva?

Dai che scherzo! Però non ti leggo adesso. Vado a ballareeeeee!!! Smile

22:21
5 aprile 2009


sandra

Ospite

Zietta, questa cosa mi fa venire i sensi di colpa. Sai che fò? La stampo e me la leggo prima di addormentarmi. Tanto si parla di favole, no?

21:46
6 aprile 2009


sandra

Ospite

Eccomi, Rose. Sono di parola. Ho trovato degli spunti interessanti nel tuo scritto e me li sono segnati, per ricordarli:

- gli animali, nella favole di Esopo, sono dei modelli fissi e ricorrenti, come le maschere del teatro latino

- le favole di Esopo esprimono il punto divista delle classi subalterne, mentre l'epica aveva rappresentato il mondo aristocratico

- contengono una morale, quella del buon senso che consiglia ai deboli di essere prudenti con chi è al potere

- Fedro attige da Esopo e mette le favole in versi

- in La Fontaine prevale il gusto del "raccontare per il raccontare" più che il bisogno di moraleggiare

- Trilussa usa gli animali per fare una satira arguta contro la Roma piccolo borghese del suo tempo e le sue poesie sono permeate di sottile ironia e scetticismo mei contronti della natura umana.

Sono stata brava?KissSurprisedWink A parte gli scherzi, è stata una lettura interessante, anche il parallelo fra le poesie. Grazie, Rose!

23:01
6 aprile 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

Ma che bel riassunto, Sandrina! Proprio brava!

dmk



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