Una donna ancor giovane. Molto bella. Bella sul serio. Come poi la cosa avesse una qualche importanza.
Ancor giovane, dunque, bella, single. Una madre ormai anziana, una sorella, due fratelli, tutti sposati con figli piccoli.
Un lavoro che, dopo tanto tempo, incominciava a darle soddisfazione e, perché no? gratificazioni.
Poi, all’ improvviso, l’ emorragia. La corsa all’ ospedale, l’ intervento. Ematoma rimosso. Il coma.
Era là, un torciglio di membra spezzate, una carne svuotata di tutto, se non del fiato. Niente ricordi, niente presente.
Febbre, altissima. Che poi calava, poi riprendeva. Immobilità assoluta. Una palpebra semiaperta, opaca. Il sondino.
Si davano i turni. Andavano da lei, a parlarle, le parlavano di continuo.
Andavano da lei, a farle ascoltare la sua musica.
Le portavano i nipoti perché le ciangottassero, piccoli com’ erano, i loro versetti, le loro prime parole farfugliate.
Le raccontavano di quello che facevano, ogni giorno. Di quello che capitava nella vita di ognuno e la chiamavano per nome, le chiedevano: “Come stai?” oppure “Hai freddo? Vuoi un’ altra coperta?” o, quando si fece estate “Hai caldo? Apriamo la finestra?”
Le dicevano: “Guarda che bel sole c’ è oggi!”
“Sai, ho visto Mario, ieri, mi ha chiesto di te.”
Immobile. E quando la palpebra, un giorno, le tremò un poco, il medico disse che era un riflesso automatico, non un segno.
Sua madre spiava i segni, ogni minimo segno, ogni stilla di sudore, ogni vibrazione all’ angolo della bocca. E i medici le mostravano l’ ultima Tac: il cervello una macchia nera, informe. Dicevano: E’ ancora viva. Questo è tutto.
E il tempo passava. Passavano i mesi, correvano le stagioni.
Lei è immobile. Non vede. Non sente. Non parla. Non capisce.
E intanto è accudita in tutta la sua debolezza indifesa. Avvolta in premure, visite, fiori, parole, amore. Quanto non ne ha mai ricevuto in tutta la vita, prima.
Poi un giorno, mentre la madre le racconta che la casa ha bisogno di riparazioni, e “…tu dici che sarebbe meglio…?” apre entrambi gli occhi: fissa la madre e pian piano piange.
I medici vengono a consulto: guardano l’ ultima Tac. Si stringono nelle spalle.
Lei sente: gira la testa nella direzione delle voci.
Risponde alle domande aprendo e chiudendo gli occhi. Sì. No. Capisce.
Riconosce le persone.
Si chiama M….. Ha 40 anni. E’ mia nipote. Ed è bellissima.