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Angelo dice che la testa non gli funziona, mi parla della mamma che lo aveva abbandonato alla soglia del convento appena nato.
Guarda il mondo ghiacciato da dietro i vetri del castello dove vive insieme alla sua dama, mi parla delle figlie che sono lontane, dice che fa freddo.
E’ andato in pensione da qualche anno e non sa cosa farsene con gli scampoli che gli avanzano. Sta tutto il tempo a spiare e non vede nessuno passare, nemmeno un animale.
Gli mancano la polvere e il rumore dei mercati. Un vicino di casa.
Angelo aveva un cavallo arabo in Australia, una casa a Nizza un’altra a San Remo e a Limone di Piemonte, ma alla consorte non andava bene e allora Angelo cambiava casa e paese. E cavallo.
Angelo è vittima delle sue donne. La prima è stata la madre e l’ultima la moglie.
In mezzo ci sono le figlie che si sono sistemate, ma di Angelo nessuna si ricorda.
Mi dice che non conosce le sue radici, che lui è siciliano e vive per assurdo, dove il buio è troppo buio e la luce è l’anticamera della follia.
Scrive in carattere cubitali per metà straniero e per metà in italiano e poi si scusa, come fosse una richiesta di aiuto. E vergogna.
Vuole da me un consiglio ed io ho consigliato.
Gli ho detto di scappare a gambe levate, di tornarsene all’isola dov’è nato e che se alla moglie non le sta bene anche questa volta, di lasciarla con gli orsi a cibarsi di mirtilli, prima che gli
succhi quel poco di cervello che gli è rimasto.
Angelo dice che la testa non gli funziona, ma ha vissuto di grandi splendori moglie permettendo, ombra della sua follia.
Una persecuzione silenziosa.
Ora Angelo è grigio come un giorno d’inverno, io gli ho detto che in Sicilia è primavera, quasi tutto l’anno.
Carmen