Utente | Messaggio |
22:10 26 giugno 2009
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Lungo le valli alpine del Monregalese e della provincia di Torino è possibile ancora oggi imbattersi in comunità montane che non hanno risentito del crescente fenomeno della globalizzazione culturale.
Si tratta di comunità che tengono alto l'onore di un'antica lingua, che porta con sè tradizioni culturali e folkloristiche molto speciali: si parla del contesto culturale che fa capo alla lingua occitana.
Ma pais
Pilà a 's bàus trousà d'uno quiapiro gachou ma pàis runàr de sus di dràio ent'i lindal trousà, muràio d'àouro, qu'embàrren lou souléi sai voout petà e lou triàr esbours d'uno fantino, qu'estrémo en jouéc ent'un issam d'ourtìo. Envrumo lou runìa lou murìr pàise di champ dai pià marcà pus gàire, e lou viràr founs, aval, de la piano coumo en souémi lou mounde embarbouiro. Me paro gàire, aquèl ridéou esclent, i chant de guerro dindanià sai cuno e l'avour àigre de i cuérp crepà qu'empouisounen lou quiàr de lou souléi. I marì tort e i malùr dal vive, coumo 'n oumbro de gòi o de grinour, marquen i mio sousto sus la dràio quouro vàou rémi mourbouchoun sai péire querre i ràge de na pàis enviroun, e sai lindal dal siel guinchen i estello, mirai urous de pàis e de grinour, coumo sal viòl les ùi de la fantino.
Bep Rous
La mia pace
Abbarbicato alle rocce spezzate d'una pietraia guardo la mia pace sgretolarsi sui sentieri tra le soglie spezzate, muraglie di vento, che imprigionano il sole sulle volte sfondate ed il danzare bolso d'una fanciulla che nasconde un gioco tra sciami d'ortiche. Avvelena la frana il morire lento dei campi dalle orme segnati più poco, ed il curvarsi profondo, laggiù, della pianura come un sogno di mondo maschera. Ma nasconde poco, quel tendaggio splendente, i canti di guerra dondolati sulle culle ed il ribrezzo acre dei corpi sfondati che avvelenano la luce del sole. I torti ingiusti e le disgrazie della vita, come ombra di gioia o d'amore, segnano le mie soste sul sentiero quando vado intorpidito a viso basso sulle pietre a cercare i rimasugli della mia pace all'intorno, e sulla soglia del cielo scrutano le stelle, specchio felice di pace e d'amore, come sul viottolo gli occhi della fanciulla.
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22:11 27 giugno 2009
| Manfredi
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Devant de ma fenestro ia un auzeloun Touto la nuech chanto, chanto sa chansoun
Se chanto que chante, chanto pa per iou Chanto per ma 'mio, qu'es da luenh de iou
Aquelos mountanhos que tan aoutos soun M'empachoun de veire mes amour ount soun
Baisà-vous mountanhos, planos levà-vous Perquè posque veire mes amour ount soun
Davanti alla mia finestra c'è un uccello Tutta la notte canta, canta la sua canzone
Se canta, canti pure, non canta per me Canta per la mia amica ch'è lontana da me
Quelle montagne che sono tanto alte Non mi lasciano vedere dove sono i miei amori
Abbassatevi montagne, alzatevi pianure Perchè possa vedere dove sono i miei amori.
"Se chanto" è considerato l'inno della popolazione occitana che vive in Piemonte, dalle Valli Po-Bronda e Infernotto, Varaita, Maira, Grana, Stura, Gesso-Vermena fino all' Alta Valle Susa. (L'Occitania è più di una minoranza: è il collante fra la gente di queste vallate del Piemonte, il cosidetto "Midi" francese e la Val d'Aran in Catalogna). Può apparire forse strano che l' inno degli occitani, invece che un canto guerriero o eroico, sia un canto d'amore, di un poeta per l'amata: la nostalgia di un desiderio, un affetto perduto probabilmente per sempre.
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22:18 29 giugno 2009
| admin
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Pastre
Sentour salihà de féo al soump di pastural, sai parc enquiaous d'estelo, aprés di journ chaumà ar càous di barmo vùido, souvet de lach monsù sai peiro dal veilòou, sioun de soulei blagard sal biòi de n'arjansano. E sourès pastre! Cuberto àigro d'en avour eimà, siernù al marì temp sai brin pichòt de lano
Bep Rous
 
Pastore
Sentore salato di pecora al termine dei pascoli, su recinti chiusi da stelle, dopo i giorni sonnecchiati al piede delle caverne vuote, augurio di latte munto sulle pietre dove mungendo si veglia, secchio di sole festoso sul blu delle genziane. E sarai pastore! Coperta rafferma di un ribrezzo amato, scelto a cattivo tempo su minuti bioccoli di lana!
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13:55 30 giugno 2009
| Manfredi
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belle poesie, Pastre mi è piaciuta molto. Sai qualcosa su Bep Rous? non è facile trovare notizie sugli autori occitani.
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14:20 1 luglio 2009
| admin
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Bep Rous è poeta occitano della valle Stura e studioso della cultura occitana. La sua poesia si caratterizza per una forte carica utopica e quasi visionaria. Le immagini che essa ci propone si sviluppano raramente su registri "leggeri", sulla ricerca del facile effetto o del patetico. La sua è al contrario una ricerca complessa, articolata, a volte faticosa, che scava attraverso i luoghi fisici e mentali che costituiscono l'essenza della gente e della terra occitane. A una lettura superficiale può apparire una poesia senza musica; essa contiene invece una musica profonda, che non blandisce l'orecchio e che, proprio per questo, merita che le si presti attenzione.
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14:25 1 luglio 2009
| admin
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Nelle Valli, la parola Occitania c'è chi la mette al centro e chi ancora la rifiuta considerandola pericolosa per l'identità specifica di ogni valle, di ogni paese, di ogni borgata.
Si contrappongono due anime, una appassionata e conservatrice che si preoccupa di raccogliere le testimonianze del passato per salvarne la memoria e considera lo smarrimento delle micro identità locali un danno irreparabile; l'altra visionaria, utopica forse, che persegue la strada dell'apertura e mette l'occitano sul piano delle altre lingue vive. Esaurita la fase del pionierismo, il mondo occitano si è arricchito di visioni diverse, talora contrastanti. Ma senza quei pionieri che negli anni Sessanta-Settanta ebbero il coraggio di venire allo scoperto, nulla sarebbe accaduto. Tra loro vi furono alcuni grandi maestri, François Fontan che fece dell'occitano una questione politica, Sergio Arneodo di Coumboscuro che fu tra i primi a portare l'occitano a scuola, a pubblicare un giornale e scrivere testi teatrali, il poeta Tòni Baudrier che unì poesia e battaglia politica, i valdesi Gustavo Malan e Osvaldo Coisson che dalla val Pellice collegarono la questione occitana ai principi di autonomia espressi nella Resistenza assieme ai partigiani valdostani. Tra i grandi maestri anche Robert Lafont che con Yves Roqueta, Peire Bec e altri, contribuì a formare i giovani che dalle Valli andavano alle università estive e alle assemblee nell'Occitania d'oltralpe. In quegli anni il viaggio di formazione nell'Occitania grande fu un'esperienza che ogni giovane occitanista volle fare. Poi uno stuolo di contadini, artigiani, maestri, sacerdoti, professori di scuola media, operai, funzionari, studenti che si fecero scrittori, intellettuali e soprattutto poeti, poiché la poesia è la forma più immediata di espressione per una lingua impiegata soltanto oralmente e negli spazi ristretti della comunità e della famiglia. Gente delle Valli che subito cominciò a scrivere nella propria lingua per dimostrare che ciò era possibile: Attilio Joannas della valle di Oulx, Osvaldo Peyran di Perrero in val Germanasca, poeta autodidatta, come l'operaio contadino Jòrs Bianco di Roccabruna in val Maira, come Costanç Rey a Crissolo in val Po. Dalla val Germanasca veniva Arturo Genre linguista dell'Università di Torino che tradusse in occitano il Vangelo di Marco. Il farmacista Tavio Cosio, scrittore in piemontese, imparò l'occitano per scrivere poesie e novelle nell'occitano della val Varaita. Nella valle di Oulx la maestra Clelia Baccon di Salbertrand si dedicò alla poesia e allo studio dei dialetti occitani della sua valle. In val Chisone l'operaio Ugo Flavio Piton, i professori Ezio Martin e Remigio Bermond, lo studente Franc Bronzat, fondarono il periodico La Valaddo, cenacolo di scrittori, poeti e folcloristi. A Bellino in val Varaita un sacerdote, don Bartolomeo Ruffa, invogliò i parrocchiani a scrivere in occitano testi per il bollettino locale. Jean-Luc Bernard, un emigrato che viveva ad Aix-en-Provence, pubblicò Nosto Modo, la prima opera a raccontare in modo sistematico la cultura orale di un paese occitano. Giovanni Bernard (Janò di Vielm) raccolse memorie e dopo qualche anno scrisse Steve, un romanzo, e il dizionario enciclopedico Lou Saber. In val Grana, Peire Rous intagliatore e contadino si fece poeta e cercò l'impegno politico. In valle Stura il professore Bep Rous dal Jouve fu bravo poeta, come Sergio Ottonelli in val Varaita, la maestra Lucia Abello, l'agricoltore Pietro Raina e Pietro Antonio Bruna Rosso in val Maira, e come Dzacolin Bortela/Giacomo Bellone, impiegato alla dogana del colle di Tenda in val Vermenagna. Furono poesie e prose ispirate al rimpianto per la giovinezza sui pascoli, prima che l'emigrazione verso le grandi fabbriche svuotasse le borgate, un tempo che il ricordo rendeva felice. Qualcuno primeggiò sugli altri, qualcuno si distanziò per originalità dell'ispirazione e qualità letteraria. Tutti, per la prima volta dopo tanti secoli, scrissero sulla pagina bianca parole ed espressioni di una lingua che prima veniva soltanto parlata.
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18:34 15 luglio 2009
| admin
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| Amministratore
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Da Vobo, attento conoscitore della lingua e della cultura occitane, mi è stato fatto notare che i post precedenti contengono delle inesattezze. Mi affretto pertanto a riportare qui le sue note, ringraziandolo per l' apporto.
Ciao Daniela,…
Sono ritornato a fare un giro sul tuo blog ed ho visto che sugli occitani sono state aggiunte molte cose…
Devo comunque fare alcuni appunti:
L'occitano è una lingua e quindi scritta da quasi 1500 anni, non sono stati questi ultimi poeti a provare a scrivere in occitano. Se Dante, nella sua Commedia, cita ben 4 poeti occitani chiamandoli maestri non gli sono arrivate le loro poesie per tradizione orale, ma sicuramente le ha lette. Lorenzo de Medici "Il Magnifico" si dilettava a scrivere poemetti in occitano e puoi trovarne traccia andando a rovistare su internet.
Non esistono dialetti occitani a seconda delle vallate, l'occitano è uno ed uno solo, non confondiamo l'occitano con i vari patuà (di derivazione franco-germanica) che si parlano nelle varie vallate piemontesi … se io vado sui Pirenei e parlo occitano con un occitano del luogo lui mi capisce perfettamente ed io capisco lui. Non dimenticare che l'occitano è stato riconosciuto come lingua a livello mondiale (meno che dall'Italia).
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13:48 18 luglio 2009
| Rose
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La citazione delle “ghironde”, nella poesia di Vobo in HP, mi ha incuriosita ed ho fatto una piccola ricerca. Allora, in omaggio alle tradizioni occitane, ecco un brano musicale alla ghironda:
Ho visto che questo strumento può avere varie fogge, alcune bellissime:
 
 
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16:51 18 luglio 2009
| admin
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| Amministratore
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grazie, Rose!
Sono certa che Vobo, quando passerà di qui, sarà lieto della tua ricerca!
Strumenti molto belli con voce ricca di suggestioni.
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17:19 21 luglio 2009
| admin
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| Amministratore
| messaggi3520 | |
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Mi scrive Vobo, che nuovamente ringrazio:
Ringrazia Rose per la sua ricerca sulla ghironda e per il bellissimo pezzo che ha inserito … è una ghironda da suonare da seduti, come si può vedere dal filmato, il secondo tipo non l'ho mai visto, generalmente viene usato il terzo tipo perchè si suona portando lo strumento a tracolla a tracolla, quindi, molto più comodo.
Un GRANDE della ghironda è Sergio Berardi fondatore ed anima dei "Lou Dalfin" un gruppo occitano che si esibisce in tutta Europa, Sergio è della Val Varacho (Valle Varaita), fondò il gruppo nel 1982 con un'idea di base molto semplice: abbinare gli strumenti tradizionali occitani con gli strumenti moderni.
Ecco che così senti suonare assieme ghironde, cornamuse, flauti, mezzitoni con chitarre elettriche, violini, batteria, ecc. ecc. Ti posso garantire che è una musica eccezionale, se vuoi sentirne un pò vai sul sito: http://www.loudalfin.it, mentre viaggerai nel sito sentirai alcune canzoni che sono tradizionali occitane risuonate con tutti questi strumenti. Sergio ha anche fondato e dirige una scuola di musica occitana insegnando la ghironda, lui suona tutti gli strumenti tradizionali e li suona in modo splendido, se tu senti un disco e poi li senti dal vivo non trovi nessuna differenza, sono eccezionali.
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22:41 21 luglio 2009
| Manfredi
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ho capito che fai da passaparola, dmk, ma non potremmo conoscere il signor Vobo?
sembra che abbia molte cose interessanti da raccontare…
Va bene, ho capito: sto zitto. se no mi dici che sono invadente ecc ecc ecc , che poi é pura verità.  
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23:00 21 luglio 2009
| Rose
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| Ospite
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A dire il vero, Manfred sembra tutto tranne una persona invadente.
Molto controllato, direi. Uno che non si … sbottona molto. 
 
Ho fatto un giro sul sito consigliato da Vobo. Non sapevo che l'Occitania sconfinasse in Francia e Spagna. 
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15:38 22 luglio 2009
| admin
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| Amministratore
| messaggi3520 | |
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Manfred sembra tutto tranne una persona invadente
Infatti: si dice tutto da solo!  domande e risposte…
Lui, poi, è molto, molto riservato, hai ragione!
Per quanto concerne Vobo, ho visto un attimo fa, che si è iscritto al blog. Questa è una gran bella notizia, a mio modo di vedere.
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17:47 22 luglio 2009
| stella
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| Ospite
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22:04 22 luglio 2009
| admin
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| Amministratore
| messaggi3520 | |
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In effetti ne "sa" , ma quanto a notizie su Vobo, dovrete aspettare che sia lui a fornirle. Io non mi prendo nessuna libertà in proposito.
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15:05 23 luglio 2009
| VOBO
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| Ospite
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Salve a tutti/e, sono VOBO acronimo di: Vecchio Orso Bianco Occitano il perchè è intuibile dalla mia età (Vecchio), dal mio carattere (Orso), dal colore dei miei capelli (Bianco) e dalle mie origini (Occitane).
Ero in un momento di pausa, gli orsi amano stare un pò soli … 
Daniela è troppo buona, non sono un grande esperto ne di lingua occitana ne di tradizioni, sono solo un occitano che cerca di informarsi sul suo popolo.
Rose gli occitani sono anche in Calabria … informati su Guardia Piemontese provincia di Cosenza, lì c'è una piccola enclave occitana risalente al XII XIII secolo di transfughi valdesi della Val Pellice ed ancora oggi parlano l'occitano.
Se vi può interessare posso parlarvi dei Catari detti anche Albigesi, dalla città di Albì, storia interessante che ha visto diverse crociate contro di loro.
Ciao … VOBO
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15:36 23 luglio 2009
| stella
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| Ospite
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Ciao VOBO ……..interessanti le tue notizie.
Io dall'alto della mia ignoranza-ignoravo assolutamente che esistesse una lingua-popolo occitana e manco conosevo i Catari (avevo sentito qualcosa sugli Albigesi……..punto).
 
GRAZIE
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16:11 23 luglio 2009
| Gio
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| Ospite
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Ciao Vobo e bentrovato, sempre interessante conoscere "pezzi" di storia poco conosciuta, ma comunque importante per capire meglio questo nostro mondo.
Con te poi riusciamo quasi a pareggiare nei confronti delle "ragazzuole", che come vedi non ci mettono molto a darti dello "SCERIFFO"   se ti permetti solo di fare delle ipotesi   ……………….scherzo naturalmente!
Allora rimango in attesa di tue notizie storiche e non….
Un saluto
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18:36 23 luglio 2009
| admin
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Ben arrivato, Vobo!
Parlaci dei Catari, sì! io ho solo qualche notizia abbastanza superficiale in proposito e mi piacerebbe approfondire il discorso!
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16:41 29 luglio 2009
| VOBO
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Eresia Catara - Catarismo
Il termine Cataro deriva dal greco katharos (puro), con il quale si autodefinirono per primi i seguaci del vescovo Novaziano elettosi antipapa nel 251; il termine katharoi fu citato per la prima volta in un documento ufficiale della Chiesa Cristiana nei canoni del Concilio di Niceaa del 325.
Con la definizione di Càtari, detti anche Albigesi (dal nome della cittadina francese di Albì), furono successivamente designate le persone coinvolte nel sostegno del movimento eretico sorto intorno al XII secolo in Occitania.
Appoggiandosi ad alcuni passi del Vangelo, in particolare quelli in cui Gesù sottolinea l'irriducibile opposizione tra il Suo regno celeste e il regno di questo mondo, i Càtari rifiutavano in toto i beni materiali e tutte le espressioni della carne. Professavano un dualismo in base al quale il re d'amore (Dio) e il re del male (Rex mundi) rivaleggiavano a pari dignità per il dominio delle anime umane; secondo i Càtari, Gesù avrebbe avuto solo in apparenza un corpo mortale. Essi svilupparono così alcune opposizioni irriducibili, tra Spirito e Materia, tra Luce e Tenebra, tra Bene e Male, all'interno delle quali tutto il creato diventava una sorta di grande tranello di Satana (una sorta di Anti-Dio diverso dalla concezione cristiana) nel quale il Maligno irretiva lo spirito umano contro le sue inclinazioni rette, verso lo Spirito e verso il Tutto. Lo stesso Dio-creatore dell' Antico Testamento corrispondeva al Dio malvagio, a Satana.
La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del Male comportava il rifiuto del battesimo d'acqua, dell'Eucarestia, ma anche del matrimonio, suggello dell'unione carnale, genitrice dei corpi materiali – prigione dell'anima. L'atto sessuale era infatti visto come un errore, soprattutto in quanto responsabile della procreazione, cioè della creazione di una nuova prigionia per un altro spirito. Allo stesso modo era rifiutato ogni alimento originato da un atto sessuale (carni di animali a sangue caldo, latte, uova), ad eccezione del pesce, di cui in epoca medievale non era ancora conosciuta la riproduzione sessuale. Era proibito quindi collaborare in qualsiasi modo al piano di Satana. La vittoria massima del Bene contro il Male era la morte, che liberava lo spirito dalla materia, e la perfezione per il càtaro era raggiunta quando egli si lasciava morire di fame.
Pur convinti della divinità di Cristo, gli Albigesi sostenevano che Egli fosse apparso sulla Terra come un angelo di sembianze umane (di natura angelica era considerata anche Maria) e accusavano la Chiesa cattolica di essere al servizio di Satana, perché corrotta e attaccata ai beni materiali.
Credendo nella deviazione dalla vera fede della Chiesa di Roma, i Càtari crearono una propria istituzione ecclesiastica, parallela a quella ufficiale presente sul territorio.
Per oggi basta, la prossima volta vedremo come si comportavano i seguaci e gli ecclesiastici "I Perfetti".
Ciao … VOBO
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