fattasi viva d’improvvise risonanze disarmando i quartieri
del mio corpo invadeva il microcosmo dei tabernacoli
infissi nei muscoli con un frinire insistente di cicale elettriche
un continuo sfrigolio uno scintillare di elettrodi
li sentivo
aprirmi le tempie in continue febbrili esplosioni
sgusciarmi le ossa del polso i tendini
strappandomi da quelli ancora altri suoni aprendo
spaccature di rumori lievi lontani fruscii di presenze appena percepibili
come se io battessi in me stessa uno strumento
di lamine o in sottili filamenti smuovessi una corrente nel sangue
denso nella cava toracica come se mi squarciassi il petto e nella cavità
del cuore estirpassi i battiti alloggiati e li lanciassi
oltre un fascicolo come se le ossessioni e i sogni che ti opprimono
i respiri potessero sfilare in una multipla sequenza di codici
stanati da quella battuta come in una caccia all’assente.
Spari quelle lievi sostanze in invisibili forme
mi entravano dalle lastre bianche dei denti
avori di un precipizio che non avevo mai praticato anche se
ero io, io stessa quel baratro, lo shock a cui sottoponevo la mia paura.
Rumori, oltre la frequenza dell’ascolto
erano loro la mia casa
erano loro l’origine di quelle che chiamavo
assurdamente la voce degli angeli
che stordivano i miei pensieri
nelle discontinue sommosse del pensiero.Allucinazioni.
Crisi del suono incuneatosi in fessure e
estasi come antenne lunghissime protesi
uscitemi dal cervello ramificate in una buia lastra
l’ardesia spessa di cui si veste il cosmo che dentro
mi abita.