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UtenteMessaggio

16:56
16 novembre 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

 

Premessa

In una giornata d' autunno, nel cielo le nuvole inseguivano i passeri e le foglie cadevano a terra fradice d' umido, la donna lasciò il sottotetto dove abitava, freddo gelato d' inverno, arrostito dal sole d' estate, e scese le scale con il suo fagotto fra le braccia. Con espressione desolata e decisa insieme, il viso segnato dalla fatica, giovane eppure vecchia, affamata e senza un soldo nella tasca del grembiule di cotone grigio, s' incamminò reggendo fra le braccia il suo fagotto, per le viuzze laterali del centro. E le nuvole minacciavano pioggia, un altro inverno gelido per lei. Camminò a testa vuota, i capelli che sfuggivano dalla crocchia allentata sulla nuca, debole, si sentiva debole e non avrebbe mai scordato quel senso di vuoto in testa e quei passi incerti. Era sera ormai quando raggiunse la chiesa, girò l' angolo, raggiunse una porta, si fermò, si scrollò, posò il fagotto su uno scalino, e picchiò alla porta, forte, due volte, si girò e fuggì.

Due colpi battuti nel buio, due colpi soli, alti nel buio, grevi di pioggia, per dire addio e ti voglio.

Addio.

Ti voglio.

Bene.

Non c' è speranza. Non c' è futuro. Sono sola. Niente, più niente. Una soffitta che gela d' inverno e brucia d' estate. Ne muoiono tanti così. Per una possibilità. Solo una piccola possibilità. Qualcuno mi ha detto che quando i cuori si spezzano, non si riesce più a rimetterli insieme, a farli funzionare  come erano stati prima. Non avrò mai più indietro il mio cuore. E' il prezzo di questa miseria. Di questa infamia. Perché questa è infamia. Lo so. E allora cresci dall' infamia e trionfa sull' infamia e fatti grande e forte, stroncala l' infamia. E dolce ti sia la vita.

Un prato verde. Pieno di margherite.

Un camino acceso che sprigiona calore.

Una donna che ti ami.

Dei figli.

Figlio di nessuno


 1

Stivali e scarpe, da uomo e per signora, da passeggio, da ballo, in pelle leggera, morbida come seta, con ricchi ricami in arabeschi,  stivali da cavallerizzo, scarpe di pelle fine, nere, grigie, marroni, in fila, le une accanto alle altre, armoniosamente alternate, posate con mano d' artista e solo due o tre modelli rinchiusi in vetrinette luminose, come tesori in un museo, da mostrare senza che nessuno potesse toccarli.

Nel laboratorio uomini e donne preparavano le tomaie, le tendevano, davano loro forma, le arricchivano di occhielli, lacci setosi, ricami lucenti, li montavano sulle suole, li riponevano con cura in scatole, avvolti in carte leggere, color dell' avorio. Qualcuno le portava poi, attraverso la botola, nel mondo di sopra dove venivano sistemate ed esposte all' approvazione e all' ammirazione dei compratori.

Nel laboratorio l' aria era spessa dell' odore del cuoio e  dei vitelli conciati, impregnava gli abiti, la pelle degli operai, diventava parte di loro. Il loro profumo.

 Duke ci aveva passato la giovinezza nel laboratorio. Aveva imparato ad amare quel luogo, ad amarne l'odore e le ombre, aveva imparato a lavorare i pellami, a creare modelli nuovi, quasi stravaganti e alla fine ne era diventato il padrone, nessuno sapeva bene come. Era uscito dal laboratorio un giorno attraverso la botola ed era entrato nel luogo di legni dorati e di specchi e cristalli che riflettevano i modelli che lui aveva creato. Non era più disceso  nel laboratorio. Finché un giorno era giunta notizia che Duke era diventato il signor Duke e tutto era andato avanti come prima, con un ‘ unica eccezione: i modelli arrivavano  dal piano superiore, ed erano sempre tutti creati da lui, uno più bello dell' altro. Si disse che il giovane se l' era meritato. Si disse che era giusto che la sua bravura fosse stata riconosciuta, che venisse apprezzata, premiata e poiché era anche un buon padrone, nessuno trovò da ridire sulla sua fortuna.  

Con il trascorrere degli anni il signor Duke divenne conosciuto, quasi famoso ben al di fuori dei confini della città in cui viveva. Carrozze portavano al suo negozio, all' atelier, i signori e le signore del bel mondo che volevano calzature su misura uniche, fatte per loro, solo per loro, con il nome Duke inciso all' interno in sottili eleganti lettere argentee. Lui riceveva tutti nel suo mondo ricco di velluti e damaschi, di piume e drappeggi, odoroso di essenze venute da lontano e presentava le sue creazioni, offrendole come in un rituale.

Quando riceveva un' ordinazione, voleva conoscere la persona che avrebbe indossato le sue calzature, quasi a comprendere il tipo di vita che conduceva, il temperamento che aveva, l' occupazione che svolgeva e solo dopo incominciava a fare il modello. Nascevano così calzature bellissime per donne bellissime, morbide  sensuali, altre dolci e quasi timide per fanciulle all' epoca dell' ingresso in società, altre ancora forti ed aggressive per uomini potenti, per abili cavalieri.  Tutte avevano il loro carattere, quello  che Duke dava loro, un particolare carattere per dei clienti che, ognuno a suo modo, era unico e particolare. La fortuna di Duke crebbe, la sua fama si estese, il laboratorio si ingrandì.

Nella sala che era lo studio ed il luogo dove i clienti venivano ricevuti, Duke lavorava con mani abili e pensava e sognava. Perchè aveva ancora sogni da realizzare. Come se davanti gli si aprisse una strada che aveva solo incominciato a percorrere. Chi l' avesse tracciata per lui, non sapeva. Solo sentiva che c' era e che lui doveva percorrerla. La strada dei sogni è infinita. Lastricata di stelle, impreziosita di quarzo, conduce lontano nella corsa dei giorni, giorno dopo giorno  e continua a perdita d' occhio e chiama come  una voce incantatrice.

Duke sapeva che, se si perdono i sogni per via, se si smarrisce la capacità di sognare, si perde un po' d' anima, un pezzetto di cuore, il guizzo della fantasia, la briciola di meraviglioso che colora appena il grigio degli inverni. Così.

……………………

dmk

17:35
16 novembre 2009


sandra

Ospite

Ehi!!! cosa abbiamo qui, l'inizio di un ROMANZO! Strawow! Surprised

A puntate, dai! bellissimo, mi piace già. Smile

Da chi verrà adottata la bimba?

Che fine farà la madre?

E che parte avrà Duke nella storia?

Non vedo l'ora di leggere il seguito. Kiss

19:13
16 novembre 2009


Elina

Ospite

una prosa ricca e profonda

la parte finale è meravigliosa

quando parli della strada dei sogni "infinita" sembra quasi di dimenticare la donna dell'inizio

un sogno conduce lontano

molto piaciuto

20:18
16 novembre 2009


Rose

Ospite

Due personaggi delineati molto bene. Il secondo si è già riscattato da una vita di povertà, ma ha ancora dei sogni … non sappiamo come questi si intrecceranno con la donna costretta a compiere quel passo così doloroso …

Sarà gioco-forza leggere il seguito, cara Daniela. Smile

La tua prosa è impeccabile, come sempre. Bella tutta quella descrizione delle scarpe Wink

22:31
16 novembre 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

Laugh

2

” Non correre! “

Un velo leggero di traspirazione profumata le copriva la fronte, le faceva umidi i palmi delle mani, così bianche. Ma il gioco s' era interrotto. Era caduto a terra sbriciolandosi in mille pezzetti di gesso colorato.

” Non correre! “

Il cavallo bianco su cui cavalcava nel bosco addormentato all' alba, era svanito con un nitrito cristallino e il bosco stesso in un lampo era scomparso, una luce che si spegne d' improvviso.

S' era fermata. ” Non correre! “

Ferma. Immobile. Quieta. Un libro da leggere. Disegni da colorare. Una tastiera su cui  suonare. Ferma.   Perchè per lei la vita era fatta di quelle due parole. Non correre! Di un quieto avanzare, di un muoversi senza ansia, affanno, entusiasmo. A mani vuote, ancora.

Aveva lasciato cadere le briglie e il cavallo era volato via. Aveva messo le ali ed era volato lontano da lei. Era stato meraviglioso cavalcarlo.

Un velo di sudore. Il viso arrossato.

” Non correre. “

Per mano la conducevano in casa, fra tende leggere, bianche, erano ali di farfalle, nella sua camera, fino al suo letto.

” Riposati, cara. “. Tolto l' abitino bianco, la  pezzuola sulla fronte sudata, penombra nella stanza. ” Riposati, ora. “

 Ma poteva sognare. Sogni. Sognava sogni di continuo. Li creava, li costruiva. Le venivano bene. Nei sogni sudava e correva, correva e sudava, cavalcava nel vento, l' aria non la faceva ammalare, il suo cuore poteva battere all' impazzata e lei non ne moriva, ansava e il fiato non le veniva meno. Nei sogni. I suoi sogni. Cercava i sogni.

Occhi socchiusi nella penombra tiepida della primavera, Clara sognava. Vedeva sul muro, fra i fiori pallidi della tappezzeria, figure, persone, bambini, cani su una spiaggia in riva, proprio in riva al mare. E lei era lì. I piedi nudi affondavano piano piano nella sabbia che l' onda infradiciava e ammorbidiva e gli spruzzi – freddi – dell' acqua le arrivavano fino alle ginocchia, l' odore di sale le entrava in gola. Cercava onde sempre più alte e spumose. Avanzava nell' acqua fino alla vita, l' abito bianco le galleggiava intorno, una corolla aperta mentre gli schizzi le arrivavano sul viso, le bagnavano i capelli. E lei rideva. Perchè era felice. E tante altre persone, smarrite fra i fiori pallidi della tappezzeria, le erano intorno, signore con scialli e parasoli, bambini biondi, tutti con lei, nel mare che si stendeva a perdersi nell' infinito. Pareva senza fine.

A Clara un giorno era stato detto che era cagionevole di salute, non era una colpa, non era grave, ma avrebbe dovuto aver cura di sè. Allora aveva incominciato ad aprirsi la porta su quel mondo dove tutto le era possibile. Clara aveva imparato a sognare.

Nulla si poteva fare per lei, se non tenerla al riparo dalle correnti d' aria, se non tenerla al riparo da se stessa.

“Che si interessi ad altro. Insegnatele a disegnare.” disse il medico. Venne l' insegnante di disegno. Clara imparò a disegnare e trascorse ore a lavorare con pastelli e colori e subito dimostrò un particolare gusto e capacità inusuali per una fanciullina così giovane. Ma non poteva disegnare tutto il giorno, tutti i giorni.

“Bisogna variare. Non le fa bene star a tavolino tanto tempo.” disse il medico. “Che impari a suonare.” Venne l' insegnante di piano. E Clara imparò a suonare e ben presto le dita agili, bianche e perfette della bambina s' impadronirono dello strumento.

“Eccezionalmente dotata.” disse l' insegnante.

Sua madre le insegnò a ricamare sotto la pergola del giardino, punti brevi, precisi, filanti. Clara ricamava castelli in aria. E intanto sognava. I suoi acquerelli, la sua musica, i suoi ricami erano impregnati della materia dei suoi sogni e parevano stare sospesi in una specie di limbo fatato dove l' impossibile diventa così, per magia, realtà.

Crebbe Clara e divenne una giovane snella e flessuosa, con profondi occhi che sondavano il mondo dietro le cose e mani lievi che si muovevano in cadenze sconosciute. Le stagioni erano passate su di lei regolarmente, come si addice alle stagioni, una dopo l' altra, in fila, tenendosi per mano e quietamente Clara era cresciuta. Al riparo da tutto. Da tutti. Tranne che dai suoi sogni. Sognava l' amore Clara. 

” Dovrà pur maritarsi. ” disse il padre  un giorno.

” Dovrà pur maritarsi. ” replicò la madre.

” Chi? ” fece il padre ” Chi mai ne avrà cura? chi le starà accanto…”

” … a proteggerla dall' aria della notte, dal calore del sole?” chiese la madre

” …dalle parole che fanno male, dai pensieri che fanno paura?” continuò il padre. Si guardarono, moglie e marito, smarriti, disarmati. Non conoscevano nessuno così.

Una bambina fra le foglie di un albero di magnolia, come un fiore su un ramo, guardava tra le sbarre, altissime, che circondavano il giardino: fuori passava gente, perchè fuori c' era una strada, anzi un viale fiancheggiato da pioppi antichi. Guardava fra le foglie profumate dell' albero e tendeva la mano fra le lance di ferro scuro con le punte dorate a sfiorare l' aria fuori dal giardino. Gente passava nel viale. Madri con bambini, piccoli in carrozzine condotte da balie rosee e poi, ecco la fila dei ragazzini accompagnati dalle monache dalle lunghe vesti svolazzanti e i pettorali bianchi.

“Poveri cari!, aveva una volta sospirato la madre, Non hanno nessuno che si prenda cura di loro. Poveri trovatelli, lasciati così, soli al mondo. Abbandonati.”

Trovatelli, abbandonati. Solo le monache se ne prendevano cura. Camminavano in fila due a due, con i loro mantelli scuri, da cui spuntavano gli orli delle camiciole bianche, i berretti neri in testa, senza parlare, composti e dritti.

La bambina li guardava passare. Ogni giorno, alla stessa ora. Passavano. Lei li vedeva. Non sapeva se anche loro la vedevano. Ognuno di loro guardava fisso innanzi a sè. Ma un giorno, uno di loro girò un poco il capo e la VIDE.

Si guardarono, la bimba profumata di magnolia, dietro le lance, altissime, del gran cancello con il monogramma dorato e luccicante, e il ragazzino con gli occhi azzurri e i capelli biondi sotto il berretto nero. Si rividero nei giorni successivi. Lei alzò la mano piccola e pallida e la mosse appena, salutando. Lui chinò gli occhi a terra, li rialzò d' un tratto e le sorrise. Divennero amici. Da lontano, senza che neppure una parola venisse scambiata fra di loro.

Ma Duke  decise che l' avrebbe amata per tutta la vita.

Perchè grandi sentimenti possono sbocciare fragranti in piccoli cuori  e trovare terreno fertile per attecchire e crescere. Custoditi con cura e devozione nella mente, quando si apre la porta che ai sogni conduce e alla speranza del futuro. Ecco, semplicemente. Come per un incantasimo.

Nel futuro l' incontro attendeva, spiando il trascorrer del tempo, la sabbia fine nella clessidra che scende in un filo continuo ed ininterrotto a legare le ore fra loro in giorni e tutte le creature a stringere in un  unico abbraccio.  

…………………………

dmk

22:51
16 novembre 2009


Rose

Ospite

Aaaahhh! quindi era Duke il trovatello e Clara la bimba cresciuta sotto una campana di vetro! (bella atmosfera lì sotto, comunque, proprio ben descritta). Kiss

10:06
17 novembre 2009


Pietro

Ospite

Fuori dal coro, temo. Questo genere di racconti al femminile, scritti per un pubblico femminile, ha sempre avuto un grande successo popolare, ma, se posso essere completamente sincero, cara signora Daniela, la sua bella scrittura è un po' sprecata in questa trama da romanzo d'appendice o, come si direbbe oggi, da telenovela.

Mi auguro di non aver urtato la sua sensibilità. Probabilmente il mio è un parere troppo maschile. Frown

10:49
17 novembre 2009


sandra

Ospite

E vabbèh, Pietrooooooooo!!! Confused Lasciaci sognare, no? Adesso dobbiamo sapere come va a finire la storia. Kiss

19:29
17 novembre 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

Mi auguro di non aver urtato la sua sensibilità

Mio caro Pietro (posso permettermi di rivolgermi a te in questo modo?Smile), la mia sensibilità è coriacea tanto che di più non si potrebbe. E questo significa che è praticamente impossibile non solo "urtarla", ma anche solo scalfirla.Smile

Sono inoltre una strenua sostenitrice dell' antico: de gustibus non disputandum est, il che taglia la testa al toro, mi pare. Ognuno ha legittimamente i suoi gusti, le proprie opinioni e fa bene ad esprimerle motivandole. Ritengo che questo sia un approccio di grande validità alla lettura e che, inoltre, potrebbe essere propedeutico a discussioni - non scontri, si badi bene! – di estremo interesse letterario, capaci anche di promuovere consapevolezza e crescita negli autori.

dmk

22:07
17 novembre 2009


Rose

Ospite

Penso che si possa esprimere qualunque parere, se l'intento non è quello di abbattere o di umiliare l'altro. Io ho tratto molto giovamento dalle critiche costruttive.

D'altra parte, è anche vero che frequentandosi si stabiliscono rapporti di amicizia e diventa difficile dire proprio TUTTO quello che pensiamo … o no?

22:48
17 novembre 2009


Manfredi

Ospite

no doubt, Rose, è verissimo quanto dici. ma non dobbiamo dimenticare che nessuno si può aspettare sempre e solo applausi, o, per meglio dire, nessuno può aspettarsi di piacere a TUTTI. io, per esempio, non sopporto Bevilacqua, che pure è , a detta di tantissimi, un grande autore. che devo farci?Wink

ma il discorso di Pietro mi intriga, perché apre la porta a un felice (per me) scambio di idee.

Pietro scrive:

Questo genere di racconti al femminile, scritti per un pubblico femminile, ha sempre avuto un grande successo popolare

qui, mi pare, ci si riferisce ai cosiddetti romanzi rosa: da Delly, a Liala, alla Cartland fino alla migliore Sveva Casati Modigliani (scusate l' elenco, ma ho fatto, qualche tempo fa un saggio proprio sull' argomento). Sono questi, romanzi di sacrificio al femminile, spesso di morte, di incomprensioni, ma di amore soprattutto, amori contrastati, amori traditi, amori riscattati… con viaggi, fughe, figli illeggittimi, ingiustizie riparate in the end…

Di tutto il mazzo forse i meglio sono quelli del Delly perché mettono nel crogiuolo l' elemento “avventura” che manca negli altri (basti pensare a quelli della Cartland con la sempre presente ambientazione nel pur affascinante paesaggio della Cornovaglia, ma che, al decimo romanzo che ti leggi, incomincia a sapere di stantio). Il linguaggio di questi romanzi è piano, scorrevole, semplice, senza spinta, senza grinta, senza fascino. 

bisogna anche andar cauti con i romanzi d' appendice. ricordiamo che Eugene Sue pubblicò come feuilleton I misteri di Parigi, Dumas I tre moschettieri, Hugo I miserabili, Poe il Manoscritto trovato in una bottiglia, Flaubert Madame Bovary, il nostro Collodi Le avventure di Pinocchio, Dostoveskij I fratelli Karamazov e Delitto e castigo, Tolstoi Guerra e pace ecc.

questo per dire che il romanzo d' appendice non ebbe solo una sua sua limitata tipologia di romanzo popolare. 

ok, non volevo far lezione a nessuno. ma, come dicevo, il discorso mi intriga.

i brani di dmk appartengono a quella scrittura che oggi viene chiamata” prosia” e il nome è già un programma. Ho letto belle prosie di Carmen (me le ha passate dmkSmile). bene, c' è in questa scrittura una ricerca di effetti poetici che può non piacere, si può preferire una scrittura asciutta e robusta. Ma la prosia, in quanto tale, non è assimilabile, a mio parere, al romanzo rosa, nè alla telenovela (occorre prima analizzarne i contenuti: se essi si sviluppano a mo' del Beautiful che ci perseguita da 25 anni o giù di lì, per esempio) Ed è per questo motivo che non concordo con Pietro. nel pieno rispetto della sua opinione, ovviamente.Smile

23:09
17 novembre 2009


sandra

Ospite

Hai dimenticato la Rosamunde Pilcher (non sono sicura dello spelling), da cui sono stati tratti una mirade di film tutti uguali, persino nei panorami, peraltro bellissimi. Surprised

Io trovo che questo genere vada bene, ogni tanto, per una domenica pomeriggio piovosa.

23:25
17 novembre 2009


Manfredi

Ospite

oh, certo, la Pilcher!  non l' ho trattata nel saggio, solo nominata di passaggio. c' è un limite a tutto. C' è anche Hull, allora. ce ne è una marea.

certo che son romanzi che van bene se si vuol distrarsi senza impegnarsi, rilassarsi, insomma. e guarda che ce ne sono alcuni di veramente carini. hanno un loro spazio nel quadro generale della letteratura, uno spazio riferito al pianeta – donna, così come la gazzetta dello sport è riferibile, più che altro, al pianeta – uomo.Wink

non appartengono alla grande letteratura, ma hanno una loro collocazione e una loro funzione. e l' hanno avuta sempre. ma, sempre a mio parere, vivono al di fuori della dimensione telenovela. mi viene in mente Magalì di Delly, lo Sceicco di Hull e proprio non ce li vedo come tali. li vedo di più come un Jane Eyre formato ridottoSmile, sia per doti letterarie che per evoluzione del contenuto.

tutto 'sto discorso esce naturalmente da considerazioni sul lavoro di dmkWink

11:36
18 novembre 2009


Pietro

Ospite

Il mio parere era riferito al genere molto sentimentale che non prediligo e, ad essere sinceri, non posso dire di conoscere. Nessun dubbio sulla validità della scrittura della signora Daniela che ha proprio le caratteristiche poetiche evidenziate da Manfredi.

Mi scuso per l'eccesso di schiettezza. Anche verso le signore Carmen ed Elina. Mi rendo conto di aver commentato anche loro con uno spirito ipercritico…un difetto che mia moglie mi fa spesso notare. Cordiali saluti. Pietro

12:38
18 novembre 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

Nessun problema, Pietro: personalmente preferisco la schiettezza alla piaggeriaSmile

Anzi, sono dello stesso avviso di Manfred: considerazioni personali possono e "dovrebbero" dar luogo a salutari scambi di idee, di analisi e di approfondimento. Quindi, ben venga la tua "criticità"Laugh

Manfred, con Delly e Hull mi hai fatto fare un salto temporale… enorme!Wink

A me non piaceva Liala (che pure andava per la maggiore tanto tempo fa), ma Delly e Hull avevano setting particolari (anche storiche e esotiche, oltre che moderne) e riuscivano a "dare" qualcosa, oltre gli elementi della solita trama d' amore, con i suoi alti e bassi (ripetitivi).

dmk

14:24
18 novembre 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

3

    La carrozza nera e lucida, con i suoi due cavalli dalla testa elegante ed i finimenti ornati d' argento, avanzava sui quadretti di porfido della strada. Il cocchiere in livrea la conduceva senza fretta e con sicurezza fra le altre lungo la strada centrale della città, di modo che gli occupanti non sentissero scosse nè sobbalzi. Un movimento troppo ardito, uno scartar dei cavalli  sarebbero bastati a farlo redarguire, ma lui aveva una mano sicura e un polso fermo.

Quando giunsero di fronte al palazzo antico che ospitava il Duke' s, tirò gentilmente le redini, fermò gli animali, giusto in tempo perchè il valletto si precipitasse ad aprire la portiera, a calare il predellino, ad aiutare le signore a scendere per poi scortarle all' interno. Così Clara entrò.

“E' per mia figlia…per la festa del debutto. Ha piedi delicati e pelle fragile che si arrossa per un niente. ” disse la signora Nevy.

“Scarpe per un ballo, dunque. Anzi, per il primo ballo. Devono essere importanti. E morbide. E leggere. E belle. Certo.” Duke parlò con voce sommessa, a se stesso.

Guardava Clara, guardava il viso di Clara appena velato dall' ombra che la falda del cappello le faceva scendere sugli occhi chiari. Sapeva che aveva occhi chiari, non azzurri come i suoi, non verdi, CHIARI, di un castano dorato che sprigionava scintille di luce anche se le palpebre erano abbassate. CHIARI.

E aveva mani fini e perfette. E l' ovale del viso luceva. Quando Clara sollevò un poco il capo e lo fissò, egli sentì un dolore sordo, forte, che gli tolse il respiro e gli portò l' anima a sfarfallare lungo i muri dipinti in giallo oro pallido, intorno alle gocce di cristallo dei lumi che rimandavano in mille sfaccettature il volto di lei, particolare per particolare.

Clara sorrise. “Le può fare per me?”

” ….per lei, per lei…” s' incantò la voce senza trovar più la forza di legare pensiero a parole. Annuì.

Quando le donne lo lasciarono, egli si fermò davanti ad una specchiera fissata al muro e si guardò:  un uomo nel pieno del vigore, dalle spalle larghe, il portamento sicuro, capelli biondi, occhi d' un azzurro cinerino, si guardava Duke nella specchiera del suo regno mentre intorno ancora stava sospeso nell' aria il profumo di lei.

“Voglio della pelle color madreperla, leggera come un velo, morbida come un petalo, che risplenda nel buio, che brilli nella luce, che sia cristallo pieno di calore… una pelle così… per lei. Perché il suo viso è la luna, le sue mani son ali che la porteranno via. Lontano. Fuori dal giardino. “

Scrisse ai suoi fornitori, ordinò campioni di pellami e li scartò uno ad uno.

Ogni settimana Clara passava da lui a chiedere, perchè la data del ballo si avvicinava.

“Ancora nulla? Non andrò dunque… o andrò scalza!”

“Clara! Ma come puoi dire ….”

“Scusami, mamma. Era uno scherzo. Solo uno scherzo.”

“Suvvia, bambina! Ti è stato insegnato a comportarti!”

China il capo rispettosa, Clara, poi, d' un subito lo rialza e posa gli occhi sull' uomo e le mani intrecciate in grembo prendono vita, si aprono, le dita si sciolgono, si allargano, creano ombre sull' oro dei muri, lo toccano, lo accarezzano, gli parlano le labbra rosee, sì, sì, vedi che ho atteso ed ora sono qui, son venuta qui, sì, sì, voglio perdermi nelle onde che lavano i massi bruni, correre fra gli alberi del viale, nascondermi dietro un tronco e uscir fuori d' improvviso a sorprenderti, sì sì, mi hai aspettata ed io lo sapevo e sono venuta, sì.

Portami via.

Perchè il nido è diventato stretto, le lance del cancello sono sempre più alte ed io non riesco a volar al di sopra, e tu puoi aiutarmi, perchè vogliono che lasci il nido, ma come è giusto, dandomi in sposa, a chi non so, neppure loro lo sanno, e tu sei forte e hai coraggio e i nostri cuori battono insieme, ascolta, li senti? Il tuo ed il mio: insieme. Ci guardavamo attraverso le lance , ci parlavamo in silenzio, siamo stati amici per tanto e poi non ti ho più visto passare con gli altri.

Notte fonda e la luna come un lampione acceso nel cielo. C' è luce nello studio dove Duke lavora al disegno d' una magia: file di piccole perle formano corolle, petali, gambi, foglie. Saranno ricamati su una tela trasparente così che i piedi di lei parranno  posare su un prato in primavera, fiori fra fiori.

” Sono lieta di vederla. Si accomodi, prego, signor Duke. gradisce una tazza di té? stavo proprio raccontando a mio marito, quanto lei sia stato meraviglioso a creare il paio di scarpette da ballo per la nostra Clara. Di più belle non se ne erano mai viste! Nè di più leggere e…Clara non ha danzato, ha volato. Davvero. Una gioia per gli occhi! “

” Sì, le siamo grati. La bambina è stata felice e questo per noi è tutto. “

 

Rose gialle e bianche in un vaso di porcellana spandono un profumo leggero nella stanza, impregna i tendaggi, gli abiti, gli oggetti, si dilata su per la scala dalle curve armoniose raggiunge le camere al piano superiore, entra in un alito nella stanza di Clara, che, seduta alla scrivania, scrive con aria assente e cuore che batte piano. Sul foglio solo segni vaghi sono tracciati, linee a congiungersi e ad irradiarsi, raggi di sole o di luna, divagazioni di forme. Il profumo le si addensa intorno, le sfiora il collo bianco, lo bacia. Lei alza il capo, si scuote come appena uscita da un dormiveglia, guarda dalla finestra, scorge il verde del giardino. E' a casa, dunque, dovunque la mente fosse andata viaggiando.

” Vi ringrazio. Siete gentili. Ho fatto il mio lavoro. Al meglio. Ma non è esattamente questo il motivo per cui sono qui. “

Interrogativi si fanno i visi del signore e della signora Nevy. Ma davvero? Dica, dunque, che si può fare per lui?

” E' per la signorina Nevy. Per vostra figlia. Desidero sposarla. Vi chiedo di considerare la mia proposta. “

Immobili son rimasti i signori Nevy, con le tazze di té strette fra le mani.

Chi è costui che ci chiede Clara, dicono i loro occhi.

Nessuno, rispondono gli occhi di lui. Non ho neppure un nome mio. Ma ho un amore grande chiuso nel petto fin dalla fanciullezza ed è per Clara.

“Ma Clara…”

“Ma Clara… è sì pronta per uno sposo, che ancora non abbiamo trovato, ma che le dia un nome, uno stile di vita…” fece per dire il signor Nevy

“Ma Clara è …non malata, ma… fragile…” disse la signora Nevy

“Per questo le scarpette erano così leggere.”

“Ma Clara è… delicata, come un fiore”

“Costruirò una serra per custodirla.”

“Clara deve venir tenuta al riparo

dalla pioggia

dalle lacrime

dai tuoni

dalle grida

dalla paura

dal dolore

noi lo sappiamo, perchè l' amiamo. “

” Ed io la terrò stretta, al riparo dalla pioggia e dai tuoni, dal dolore e dalle grida. Ne avrò cura.

Perchè l' amo.

E questa è l' unica cosa da cui non potrò proteggerla: dal mio amore.

Datemi Clara in sposa se lei mi vorrà.”

……………………..

dmk

16:07
18 novembre 2009


Carmen

Ospite

Ho letto fino al primo cenno di saluto tra Duke e Clara, per ora, ma devo continuare per avere un quadro completo della storia. La mia prima impressione è che si avverte l'influenza della “poesia” nel modo di raccontare. O per lo meno a me sembra, per la delicatezza con cui si narra e anche per alcuni descrizioni riguardo a Clara, che “profuma di magnolia”.

Lodevole è anche la minuziosa descrizione del ciabattino.

Daniela, provieni dalla poesia o dalla prosa, voglio dire hai coltivato di più la poesia o la narrativa?

Grazie!

Carmen

18:10
18 novembre 2009


Elina

Ospite

un percorso poetico, minuzioso, dettagliato, fatto di immagini pertinenti

l'ultima parte mi ha colpito particolarmente poichè la vedo così reale e concreta

ci racconta dell'amore filiale e poi di quello coniugale

un prendersi cura dell'altro, riparandolo dalle difficoltà, dagli ostacoli della vita

Clara è l'amore, un fiore fragile e profumato da non lasciar seccare

stupenda prosa Daniela, molto piaciuta

18:51
18 novembre 2009


Manfredi

Ospite

l'eccesso di schiettezza

credo proprio che la schiettezza sia un dono di cui si sente la necessità.

se ne è perso il gusto, temo. è andato smarrito il senso di quanto di positivo ci sia nell' esser schietti, e questo è accaduto per dar luogo – spesso – a una forma di velata ipocrisia compiacente – e a volte anche utilitaristicaFrown e d' interesse -, quella che dmk ha chiamato piaggeria. 

l' esporre schiettamente un' opinione contrastante, con quel minimo di cordialità che i rapporti umani richiedono, è un vantaggio per tutti.Smile

19:27
18 novembre 2009


Rose

Ospite

E' una bellissima favola, ben scritta  e anche la scelta delle immagini è molto felice. Smile



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