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Lascia che i morti seppelliscano i morti

UtenteMessaggio

09:39
31 gennaio 2011


OmarBunfai

Ospite

 

 

 

Nel corso dei secoli, anche prima della riforma protestante, la chiesa cattolica ha permesso  la lettura delle Scritture solo in particolari condizioni: solo la versione Vulgata in latino o traduzioni di essa; solo con commenti di esponenti ecclesiastici; divieto di predicare o di leggere la Bibbia in gruppo in mancanza di un esponente ecclesiastico.

Considerando che una Bibbia doveva essere scritta a mano, ed aveva dei costi, solamente gli ecclesiastici o gli aristocratici potevano possederne una.
Con lo scoppio della riforma protestante, che anche grazie all'invenzione della stampa forniva Bibbie in svariate lingue, la chiesa si preoccupò e restrinse ulteriormente i parametri di utilizzo della Bibbia. Si arrivò a condannare qualunque forma di protestantesimo scritta, Bibbie o scritti vari; perfino le Bibbie cattoliche senza commenti vengono bruciate e messe all'indice.
Cercando del materiale, mi sono imbattuto in una cosa alquanto curiosa.

 

Riporto alcuni passi del catechismo di Pio X, emblematici:

883 D. È necessaria a tutti i cristiani la lettura della Bibbia?

R. La lettura della Bibbia non è necessaria a tutti i cristiani, ammaestrati come sono dalla Chiesa, ma però è molto utile e raccomandata a tutti.
884 D. Si può leggere qualunque traduzione volgare della Bibbia?

R. Si possono leggere quelle traduzioni volgari della Bibbia, che sono riconosciute fedeli dalla Chiesa cattolica, e sono accompagnate da spiegazioni approvate dalla Chiesa medesima
885 D. Perché si possono leggere le sole traduzioni della Bibbia, che sono approvate dalla Chiesa? R. Si possono leggere le sole traduzioni della Bibbia che sono approvate dalla Chiesa, perché essa sola è legittima custode della Bibbia.

886 D. Per mezzo di chi possiamo noi conoscere il vero senso delle Sacre Scritture? R. Il vero senso delle Sacre Scritture noi possiamo conoscerlo solo per mezzo della Chiesa, perché solo la Chiesa non può errare nell'interpretarle.

 

Quando cerco di capire come sia possibile il drammatico fatto che gli italiani amano tanto delegare le loro vite a pessimi idoli politici e amino tanto nascondersi vilmente dietro capri espiatori sociali, m’imbatto in queste pagine di catechismo.

Ricordo che durante la mia adolescenza, influenzata da una pressante educazione cattolica, rimasi molto colpito dall’atteggiamento dei vari parroci che incontravo, riguardo alla lettura personale dei Vangeli.

Tutti, nessuno escluso, la sconsigliavano .

C’erano già loro a pensarci, e pertanto non era il caso di preoccuparmi.

 

Naturalmente, con me ottennero l’opposto, e dedicai ai Vangeli lunghi studi per tre anni.

C’è un episodio ad esempio, in cui un giovane ammiratore di Gesù dichiara di volerlo seguire, ma per il momento è impedito perché deve andare ad assolver i suoi doveri di lutto per la morte del padre.

Gesù risponde con incredibile severità, almeno all’apparenza:

“ Lascia che i morti seppelliscano i morti.”

Perché tanta crudeltà?

Le risposte del parroco al mio quesito furono tra lo psichedelico e il grottesco, come al solito.

Per fortuna, a quei tempi, ero amico di un ragazzo ebreo, Elias, che mi fornì la chiave per quello strano episodio.

Per la legge ebraica toccava al figlio maschio, chiudere gli occhi al padre, subito dopo la morte, spogliarlo e stenderlo in terra, e avvolgerlo in un lenzuolo; toccava a lui essere presente e dirigere le preghiere che dovevano essere recitate per tutta una settimana in casa per il defunto, preghiere che non potevano avere luogo senza la sua presenza.

Doveva inoltre stracciarsi la parte superiore degli abiti, e non uscire di casa per una settimana.

Ora, la religione ebraica odierna temperava quell’antico costume con maggiore equilibrio e senso delle circostanze attenuanti, ma allora era prescritto rigorosamente dalla legge, e quel seguace di Gesù rischiava la lapidazione, o meglio, di essere consegnato ai Romani che avevano conquistato Israele, per una punizione senz’altro atroce.

 Questo approfondimento fu per me una rivelazione!

Infatti in diversi punti del Nuovo Testamento, Gesù ha parole durissime per i suoi famigliari e finge spesso di non conoscerli: “ Chi sono i miei fratelli?”.

 

Alla fine la risposta arriva illuminante: Gesù si rifiuta di riconoscere come rapporto d’amore il legame di sangue.

Mia madre e i miei fratelli sono coloro che fanno la volontà del Padre mio con opere concrete e fede sincera, e non degli sconosciuti ai quali sono unito da vincoli fittizi, come una circoncisione o una carta d’identità.

 

Le culture antiche, come quella ebraica, si fondavano sul sacrificio, sul legame di sangue appunto.

Gli uomini sono soggetti a Potenze Sacre che li divorano, e da sempre per blandirle e ingraziarsele  offrono loro un sostituto, un capro espiatorio, affinché lo uccidano e se lo divorino al posto loro.

Questo atto sacro – sacra facere – si fonda su un gioco psichico semplice ed efficace: io ti do, terrorizzante Potenza Sacra, della vita, tu dammi la possibilità di essere divorato dopo la vittima che ti porto. Sacrificare per procrastinare il proprio dileguarsi.

Chi non terrorizza viene trangugiato dal terrore.

Ora il sacrificio fonda la società.

“Noi, Sommi Sacerdoti, in base al legame ottenuto col sangue delle vittime sgozzate sui nostri altari, riusciamo a tenere a bada le Potenze Sacre, pertanto noi siamo i Potenti e guidiamo come Re voi sudditi.

Abbiamo il Potere di far tornate la primavera dopo l'inverno, e il Sole dopo la notte.

Inginocchiatevi e adorateci, i nostri altari sono d’oro e i nostri coltelli sacrificali d’argento, e grazie a noi tornerà la fertilità della vegetazione.”

 

Capite che trucchetti astuti? Una sottile trama di sostituzioni: Sacro, ti dò una vergine al posto mio e poi io Sacerdote mi sostituisco alle Potenze e track! Il gioco è fatto!

Risultato: schiavi in ginocchio.

 

Gesù, offrendosi sul Golgota, slega tutte le vittime innocenti dal palo del sacrificio.

E smaschera le magie nere dei Sommi Sacerdoti.

E dichiara, in nome dell'amore, che l'unica società buona è quella abolita.

 

Primo: un essere umano non si può sostituire al Sacro Eterno.

Tutti noi viviamo nell’irreversibile; col gesto del mangiare noi facciamo scomparire dell’esistente per assimilarlo, nutrirci e continuare a vivere.

In questo siamo tutti naturalmente colpevoli: non esiste una casta di Preti che possa abusare del Sacro, perché anche loro mangiano e sono nell’irreversibile come noi umani.

Siamo tutti soggetti al Tempo e tutti ci dileguiamo, solo che qualcuno ne approfitta per rendere servi i suoi simili, e Gesù li ha presi a scudisciate nel Tempio.

 

Secondo: uccidere un capro espiatorio non ci redime dall’irreversibile.

Siamo tutti colpevoli, tutti uccidiamo per mangiare, e nessuno può essere sacrificato per un clan di innocenti che non esistono.

Delegare ad una vittima la propria responsabilità di affrontare l’irreversibile è azione vile, criminale e come abbiamo visto, tesa a fare del male a chi non se lo merita per ottenere del Potere personale.

Chi crede di poter vivere in armonia col Sacro in virtù di una propria etica fatta di idee, azioni e ponderato propositi si offra in prima persona alle proprie convinzioni, ci metta la faccia e porti la sua croce, come ha insegnato Gesù.

 

Lasciate che i morti seppelliscano i morti.

L'unica società buona è quella che è finita.

 

Se avete avuto la pazienza di penetrare nelle profondità del Vangelo, avrete capito che grande riformatore è stato Gesù.

Dopo di lui tutte le vittime dei sacrifici sono state tolte dagli altari.

Dopo di lui non è più possibile sfiancare migliaia di schiavi per erigere piramidi.

Dopo di lui non si può più sparare in testa a chi produce poco, come fanno in Cina.

 

Dopo di lui, ci vorrebbe qualcuno che cominciasse finalmente a mettere in pratica il suo insegnamento.

14:29
31 gennaio 2011


admin

Amministratore

messaggi3520

Il brano evangelico della XIII Domenica del Tempo Ordinario riferisce tre incontri di Cristo nel corso dello stesso viaggio. In uno di questi incontri, accade che "A un altro [Gesù] disse: Seguimi. E costui rispose: Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre. Gesù replicò: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio"

Benedetto XVI, nel suo libro Gesù di Nazaret, commenta il tema qui sottinteso dei rapporti di parentela in dialogo con il rabbino ebreo americano Jacob Neusner. Neusner ha scritto un libro (A Rabbi Talks with Jesus; trad. ital. Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù) in cui immagina di essere uno degli ascoltatori presenti quando Gesù parlava alle folle e spiega perché, nonostante la sua grande ammirazione per il Rabbi di Nazareth, non avrebbe potuto farsi suo discepolo. Uno dei motivi è proprio la posizione di Gesù nei confronti dei vincoli familiari. In più occasioni, afferma il rabbino, egli sembra invitare a trasgredire il IV comandamento che dice di onorare il padre e la madre. Chiede, nell' esempio riportato, di rinunciare ad andare a seppellire il proprio padre e altrove dice che chi ama il padre e la madre più di lui non è degno di lui. 

A queste obiezioni si risponde di solito richiamando altre parole di Gesù che affermano con forza la permanente validità dei vincoli familiari: l'indissolubilità del matrimonio, il dovere di assistere il padre e la madre. Il papa, però, nel suo libro dà una risposta più profonda e illuminante a questa obiezione che non è solo del rabbino Neusner, ma anche di tanti lettori cristiani del vangelo. Egli parte da una parola di Gesù. A chi gli annunciava la visita dei suoi parenti, egli rispose un giorno: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?… Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre" (Mt 12, 49-50). 

Gesù non abolisce con ciò la famiglia naturale, rivela però una nuova famiglia in cui Dio è padre e gli uomini e le donne sono tutti fratelli e sorelle, grazie alla comune fede in lui, il Cristo. Aveva diritto di fare ciò?, si chiede il rabbino Neusner. Questa famiglia spirituale esisteva già: era il popolo d'Israele unito dall'osservanza della Torah, cioè della Legge mosaica. Solo per studiare la Torah era permesso a un figlio di lasciare la casa paterna. Ma Gesù non dice: "Chi ama il padre o la madre più della Torah, non è degno della Torah". Dice: "Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me". Pone se stesso al posto della Torah e questo può farlo solo uno che è superiore alla Torah e superiore a Mosè che l'ha promulgata. 

La discussione su Gesù e i vincoli di parentela ci riporta così, fa notare il papa, al vero nocciolo della questione che è di sapere chi è Gesù. Se un cristiano non crede che Gesù agisce con l'autorità stessa di Dio e che è egli stesso Dio, allora c'è più coerenza nella posizione del rabbino ebreo che rifiuta di seguirlo che nella sua. Non si può accettare l'insegnamento di Gesù, se non si accetta anche la sua persona. 

La figura di Gesù "è molto più logica e, dal punto di vista storico, anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che proprio questo Gesù – quello dei Vangeli – sia una figura storicamente sensata e convincente".

Da: La vita di Gesù di Benedetto XVI

Le considerazioni sopra riportate sono tratte da un' omelia di Fr. R. Cantalamessa

E ancora:

Seguire Gesù comporta non pochi tagli e distacchi. Ci viene spiegato attraverso i paradossi del funerale del padre e del saluto alla famiglia, vietati al discepolo. Gesù non vuole impedire atti di pietà e di umanità. Vuole affermare con chiarezza il primato assoluto del Vangelo sulla nostra vita. E non è una pretesa del più forte. Egli sa bene che non c'è libertà al di fuori di lui: o liberi con lui, o schiavi dei tanti padroni di questo mondo. Non c'è alternativa. Gesù ci vuole liberi. Di qui la ragione ultima della affermazione finale: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno dei cieli".

 Mons. V. Paglia

 


dmk

18:53
31 gennaio 2011


OmarBunfai

Ospite

Ottimo approfondimento, Daniela, complimenti davvero.

Penso che questo modo di ricercare sulle fonti sia un bellissimo modo per usare i Forum, in modo da scambiarsi concetti ed emozioni dai rispettivi percorsi intellettuali e spirituali.

C' è sempre da imparare.

Adoro molto la cultura quando sa tornare alle proprie radici, sai come la penso: questa fantomatica globalizzazione rischia di annientare tutta la nostra grande tradizione europea, greca e cristiana, e bisogna cercare di tenerla viva con la ricerca e lo studio.

C'è troppa superficialità in giro per la Rete, troppo quaquaraquà, come lo chiama Sciascia.

Parlare dell'antica cultura del sacrificio non è tema semplice: ma bisogna tentare se vogliamo alzare la qualità, e ti ringrazio per essere un'ottima dialogante.

Buona serata, carissima..

20:21
31 gennaio 2011


admin

Amministratore

messaggi3520

Il "sacrificio", quello prima di Cristo, é stato per me superato in toto e definitivamente dal "Sacrificio" di Cristo: un superamento che, se compreso, costituisce la svolta religiosa, mistica e "sociale" del corso umano. Cristo diviene il capro espiatorio "una tantum" – per sempre, delle deficienze tutte della natura umana. Il Suo sacrificio é' il Riscatto di tutti e per tutti. Permette il passaggio dall' idea del Dio crudele, vendicativo, sanguinario (come in certe culture), al Dio che é Padre, che capisce, perdona, ama, senza stancarsi mai, senza mai smettere di offrire all' uomo la possibilità di salvarsi. E il concetto di "salvazione" dal piano religioso si proietta sugli altri piani esistenziali, creando il presupposto imprescindibile di un Nuovo modo di pensare e di agire.

Mi tornano alla mente le parole di Manzoni, poste in bocca a Lucia che si rivolge all' Innominato: "Dio perdona tante cose per un' opera di misericordia…"

dmk

20:45
31 gennaio 2011


Manfredi

Ospite

come vi ho letto, mi é tornato in mente l' episodio del Vangelo in cui Gesù fanciullo si allontana da solo, lasciando nell' angoscia Maria e Giuseppe che non lo trovano più. E quando finalmente lo ritrovano, dopo tre giorni, sta discutendo con i Dottori del Tempio (Luca, 2, 41-50). bene, quando i genitori gli chiedono una spiegazione, Lui risponde che deve interessarsi alle cose del Padre suo. ecco, non è, a ben guardare, un comportamento impostato su un corretto rapporto famigliare, come noi lo intendiamo. ma é il comportamento di un fanciullo che é Figlio di Dio e che ha un Compito da portare a termine.

ad ogni modo:

… per capire che essere discepoli di Gesù è una decisione che richiede coraggio e che si paga a caro prezzo, bastano proprio le parole: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il Regno di Dio”.

Qui possiamo realmente valutare la radicalità delle condizioni necessarie per essere discepoli di Gesù, condizioni che impongono di subordinare tutto, gli stessi legami affettivi e familiari, alle esigenze del Regno. Non che qui Gesù voglia mettere in discussione i doveri della pietà filiale, ma ci pone di fronte ad una scelta radicale a partire da cui collocare tutto il resto al suo giusto posto. Un studioso spagnolo, Josè Antonio Pagola, nel suo magistrale libro, Gesù. Un approccio storico (Edizioni Borla 2009), superando certe letture spiritualistiche consolidatesi nel corso dei secoli, scrive che qui Gesù, a quell’uomo che gli propone di continuare ad accudire il padre fino agli ultimi giorni della sua vita (è questo il significato dell’andare a seppellire il padre), risponde con assoluta chiarezza: “La prima cosa è il progetto di Dio. Non continuare ad occuparti di questo mondo del padre, quella famiglia patriarcale autoritaria ed esclusiva che si riproduce per la morte. Tu va’ ad annunciare il regno di Dio, quella famiglia nuova che Dio vuole aperta ai più deboli e orfani. Lascia tuo padre e dedicati a coloro che non hanno un padre che possa difenderli”

Basta questo per cominciare a capire che essere discepoli di Gesù è radicalmente incompatibile con il nostro abituale modo di vivere, in cui siamo presi dalle nostre piccole preoccupazioni e non abbiamo mai il coraggio di andare controcorrente per testimoniare con la nostra vita i valori per i quali Gesù si è lasciato appendere al patibolo della Croce.  I cristiani dei primi secoli lo avevano capito molto bene e proprio per questo furono duramente perseguitati. Certo quando il carattere “sovversivo” della sequela di Gesù viene annacquato non si viene più perseguitati, anzi si finisce per essere riveriti dal potere che ha tremendamente bisogno di chi predichi la morale della rassegnazione e dell’obbedienza. Allora che cosa significa essere cristiani oggi? Molto semplicemente guardare a Gesù (è questa l’attitudine di fondo del vero orante) e continuare a rendere ancora udibile dentro questa società iniqua e violenta la buona notizia del Regno, perché la speranza in un futuro migliore possa continuare a vivere nel cuore dell’umanità.

A. Guerriere, Arca di Noé, 26 giugno 2010

07:46
1 febbraio 2011


OmarBunfai

Ospite

Cari Daniela e Manfredi,

ancora un sentito grazie per i vostri contributi a questa bella discussione che stiamo intraprendendo.

Oggi posto "L'ordalia dell'oro", che è la seconda parte di questo mio scritto, in cui parlo di come il mondo cerca di obliare l'autosacrificio di Gesù, per giustificare il nuovo schiavismo richiesto dalla globalizzazione.

Come cantavano gli U2, ho sentito che noi tre siamo uniti nell'urgenza di questi temi, ma ovviamente non siamo uguali.

Dio ha voluto che tutte le nostre anime avessero un quid di diverso, pur se siamo tutti suoi figli.

Credo abbia a vedere col mistero dell'incarnazione, ma comunque un vero piacere e una gioia del'anima poter dialogare con voi e incrociare le nostro profonde ricerche.

Statemi bene e grazie ancora.



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