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Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa

UtenteMessaggio

22:25
19 maggio 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

Pessoa appoggiò una guancia sul cuscino e fece un sorriso stanco.

Caro António Mora, disse, Proserpina mi vuole nel suo regno, è ora di partire, è ora di lasciare questo teatro d'immagini che chiamiamo la nostra vita, sapesse le cose che ho visto con gli occhiali dell'anima, ho visto i contrafforti di Orione, lassù nello spazio infinito, ho camminato con questi piedi terrestri sulla Croce del Sud, ho attraversato notti infinite come una cometa lucente, gli spazi interstellari dell'immaginazione, la voluttà e la paura, e sono stato uomo, donna, vecchio, bambina, sono stato la folla dei grandi boulevards delle capitali dell'Occidente, sono stato il placido Buddha dell'Oriente del quale invidiamo la calma e la saggezza, sono stato me stesso e gli altri, tutti gli altri che potevo essere, ho conosciuto onori e disonori, entusiasmi e sfinimenti, ho attraversato fiumi e impervie montagne, ho guardato placide greggi e ho ricevuto sul capo il sole e la pioggia, sono stato femmina in calore, sono stato il gatto che gioca per strada, sono stato sole e luna, e tutto perché la vita non basta. Ma ora basta, mio caro António Mora, vivere la mia vita è stato vivere mille vite, sono stanco, la mia candela si è consumata, la prego, mi dia i miei occhiali.

 

Antonio Tabucchi, Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa

dmk

22:42
21 maggio 2009


Manfredi

Ospite

Novembre 1935. Fernando Pessoa si trova nel suo letto di morte all'ospedale di Sao Luìs dos Franceses. Tre giorni di agonia durante i quali, come in delirio, il grande poeta portoghese riceve i suoi eteronimi, parla con loro, detta le sue ultime volontà, dialoga con i fantasmi che l'hanno accompagnato per tutta la vita.

Pessoa alzò la mano e fece un gesto esoterico. Disse: ti assolvo, Alvaro, vai con gli dèi sempiterni, se tu hai avuto degli amori, se hai avuto un solo amore, tu sei assolto, perché sei una persona umana, è la tua umanità che ti assolve.

Posso fumare?, chiese Campos.

Pessoa fece un gesto affermativo con la testa. Campos tirò fuori dalla tasca un astuccio d'argento e prese una sigaretta, la infilò in un lungo bocchino d'avorío e l'accese. Sai, Fernando, disse, ho nostalgia di quando ero un poeta decadente, dell'epoca in cui feci quel viaggio in transatlantico nei mari d'Oriente, ah, allora sarei stato capace di scrivere versi alla luna, e ti assicuro, la sera, sul ponte, quando c'erano i balli a bordo, la luna era talmente scenografica, era talmente mia. Ma a quel tempo io ero stupido, facevo dell'ironia sulla vita, non sapevo godere la vita che mi era data, e così ho perso l'occasione, e la vita mi è sfuggita.

E poi?, chiese Pessoa.

E poi ho cominciato a voler decifrare la realtà, come se la realtà fosse decifrabile, ed è venuto lo sconforto. E con lo sconforto, il nichilismo, poi non ho più creduto a niente, neppure a me stesso. E oggi sono qui al tuo capezzale, come uno straccio inutile, ho fatto le valigie per nessun luogo, e il mio cuore è un secchio svuotato. Campos andò verso il tavolino e schiacciò il mozzicone di sigaretta in un piattino di porcellana. Bene, caro Fernando, disse, avevo bisogno di dirti queste cose ora che forse stiamo per lasciarci, devo andarmene, verranno anche gli altri a trovarti, lo so, e a te non resta più tanto tempo, addio.

Campos mise il mantello sulle spalle, infilò il monocolo all'occhio destro, fece un rapido gesto di saluto con la mano, aprì la porta, si soffermò un attimo e ripete: addio, Fernando. E poi sussurrò: forse non tutte le lettere d'amore sono ridicole. E chiuse la porta.

07:37
22 maggio 2009


franco

Ospite

…E poi sussurrò: forse non tutte le lettere d'amore sono ridicole. E chiuse la porta…

Una riflessione incontestabile, resa ancor più condivisibile da quel "forse".

f

07:53
22 maggio 2009


Rose

Ospite

Questa capacità, di cui Pessoa fu massimo maestro, di creare personaggi, di calarsi completamente in essi, facendoli vivere di vita propria, al punto di dialogare con loro, in punto di morte, suscita in me la perenne curiosità sull'ispirazione come possessione … in senso letterario, naturalmente … anche se, sono convinta che gli 'esperti dell'inconscio' avrebbero molto da dire in proposito.

14:25
22 maggio 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

grazie, Manfredi, per il contributoSmile

la frase che Franco ha evidenziato, forse non tutte le lettere d'amore sono ridicole,

è una di quelle che, nel tempo, mi sono segnata nelle mie note. Come la chiusa di un percorso, una constatazione rassegnata, una presa di coscienza tardiva. Ma non é mai troppo tardi, … forse.

dmk

18:26
22 maggio 2009


Manfredi

Ospite

Tutte le lettere d'amore

Tutte le lettere d'amore sono 
ridicole. 
Non sarebbero lettere d'amore se non fossero 
ridicole.

Anch'io ho scritto ai miei tempi lettere d'amore, 
come le altre, 
ridicole.

Le lettere d'amore, se c'è l'amore, 
devono essere
ridicole.

Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto 
lettere d'amore
sono
ridicoli.

Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo 
senza accorgermene
lettere d'amore 
ridicole.

La verità è che oggi 
sono i miei ricordi 
di quelle lettere 
a essere ridicoli.

(Tutte le parole sdrucciole,
come tutti i sentimenti sdruccioli,
sono naturalmente
ridicole).

Fernando Pessoa

21:56
22 maggio 2009


Rose

Ospite

L'amore è un affare serio soprattutto per chi ne è 'affetto' Wink e le lettere d'amore è meglio non divulgarle … probabilmente suonerebbero ridicole e banali agli altri.

Però, che gran cosa l'amore! Come dice Pessoa:

“Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo 
senza accorgermene
lettere d'amore 
ridicole”

10:02
23 maggio 2009


franco

Ospite

"…Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto 
lettere d'amore
sono
ridicoli…"

l'importante in alcuni casi è che non siano…troppo lungheCry

fWink

10:09
23 maggio 2009


Rose

Ospite

Vuoi dire come nel caso del tizio dell'immagine? Surprised

"scritte col sangue", come si dice, anche se mi chiedo quanta percentuale di 'spirito' ci sarà in quella lettera … Wink

15:11
28 maggio 2009


fernirosso

Ospite

Le Lettere alla fidanzata, di Pessoa, le ho lette con piacere, con la gioia di trovare ogni volta il desiderio dell'altro e con la consapevolezza che l'altro non sa nulla delle nostre fantasie su di lei/lui. Eppure questo scrivere, questo mettere sulla carta, quei segni, indicano un amore prossimo verso noi stessi, in cerca di altro di noi, del nostro corpo d'amore, più nostro nel momento in cui è solo e solo nostro e prende corpo nella prossimità dell'altro/a.

Un bel libro,quello, e anche tutti gli altri, segno profondo di amore, di umanità dell'amore, persino con le sue idozie, il suo rimbecillirci, a qualunque età. ferni

22:46
28 maggio 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

“Risposi a un annuncio del 'Diario de Noticias'. Avevo diciannove anni, ero allegra, sveglia, indipendente e, contro la volontà dei miei familiari, decisi di trovare un impiego.”

Così Ophélia Queiroz si trovò a lavorare nello stesso ufficio di Fernando Pessoa. 

“Tutto cominciò con sguardi, bigliettini, messaggi che mi lasciava di soppiatto sulla scrivania”.

Ed era già il 'namoro', come si chiama in portoghese quel vago periodo che precede il fidanzamento ufficiale. Queste lettere testimonieranno la profonda, irriducibile irrealà in cui Pessoa sapeva lasciar precipitare ogni evento della sua vita personale, come se già questa locuzione fosse per lui un'incongruità. E tale era. Tanto più preziose, tanto più insostituibili queste sue lettere alla fidanzata, che accettano subito di partecipare 

“proprio come i veri grandi amori, del ridicolo e del sublime”. (Antonio Tabucchi)

dmk



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