

L'ultimo film di Roman Polanski è un susseguirsi di scene forti ed eleganti, di fine lavoro di regia, sceneggiatura, recitazione.
Delizioso, verso l'epilogo, anche il piano sequenza in cui un foglietto passa di mano in mano fino a giungere in quelle della principale interessata alle parole che vi sono scritte.
Intenso, manipolatore, enigmatico, il thriller che a Berlino ha vinto l'Orso d'argento è un vero capolavoro che si allinea ai campioni di maestria degli anni Settanta di Polanski, da Chinatown a Tess. Lo spettatore viene accompagnato con fascino nero in una storia scivolosa dove mai può anticipare le mosse del regista e sentirsi al sicuro. Il maestro polacco sembra subito a suo agio, sin dalle prime scene di questo sottile duello tra un ex primo ministro britannico (l'impeccabile Pierce Brosnan e il suo biografo nell'ombra, il ghost writer interpretato da un brillante Ewan Mc Gregor.Le battute acute del ghost writer, in stile tipicamente british, stemperano o cesellano il clima inquietante a cui contribuiscono la fotografia di Pawel Edelman e le musiche di Alexandre Desplat.
Il ghost writer è finito in intrighi di potere e misteri molto più grandi di lui. Entra in contatto con la moglie del Premier, con la sua segretaria amante, senza mai sapere chi sia amico e chi sia nemico, figure che si confondono l'una con l'altra. E intanto vibrano i segreti e le menzogne che sono dietro ai rapporti politici americano-britannici, con richiamo all'attualità che è carne viva.
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