
Londra, National Gallery
Nei fregi del Partenone le vediamo nei loro morbidi chitoni, maneggiando piccole spade e giavellotti come atleti olimpionici. In fregi ellenistici più recenti, come in quelli dei sarcofagi di Tessalonica, vengono rappresentate in pose seducenti, come donne guerriere con curve da cortigiane.
Secondo Erodoto, i soldati greci le hanno combattute nella battaglia di Thermodon nel Mar Nero. Gli Sciiti le chiamavano Oriopata o "assassine di uomini". Ma quando Achille uccise la loro regina Penthesilea, nell'assedio di Troia, si innamorò del suo viso morente.
Quello delle Amazzoni è uno dei nostri miti più antichi e potentemente ambigui. La persistenza della sua influenza sulla psiche occidentale è tale che, quando gli spagnoli, nel 1542, navigarono un immenso fiume in Sud America riportarono avvistamenti di Amazzoni e il fiume, infine, acquisì il loro nome. Poi, per circa 500 anni, niente. Le Amazzoni scivolarono silenziosamente nel regno della mitologia, dove sembrava dovessero rimanere.
Così fu finché un gruppo di archeologi, durante un lavoro di scavi nelle steppe euroasiatiche, fece una scoperta inaspettata. Tra il 1992 e il 1995, un gruppo condotto da Jeannine Davis-Kimball, direttrice del Centro di Studi delle Civiltà Nomade Euroasiatiche a Berkley in California, scavò un sito Neolitico di kurgans (tumuli sepolcrali) nei pressi di Pokrovka, al confine della Russia con il Kazakistan. Nello scorso gennaio, Davis-Kimball pubblicò sulla rivista Archeology un resoconto degli scavi in quella zona: un saggio documentato da mappe e fotografie descrivendo la sua testimonianza del passaggio nelle steppe di femmine guerriere circa 2500 anni fa.
Dentro ai kurgan, gli archeologi trovarono resti di entrambi i sessi, ma fu un gruppo di scheletri femminili che catturò la loro attenzione: donne straordinariamente alte per la loro epoca seppellite con pugnali e spade. Disposta accanto a una giovane femmina c'era una faretra contenente quaranta frecce dal puntale di bronzo; lo stesso scheletro presentava le ossa delle gambe arcuate probabilmente dovute, congetturò Davis-Kimball, a tutta una vita passata in sella. Alloggiato sotto la gabbia toracica di un'altra c'era una punta di freccia piegata; testimonianza, forse, di una morte violenta in battaglia.


"Antiche tombe di donne armate che alludono alle Amazzoni", proclamò il The New York Times. In realtà, Davis-Kimball ebbe la cura di dire al Times che queste donne non erano, probabilmente, le donne guerriere dell'antica legenda; inoltre, furono scoperte a più di mille miglia a est dal luogo in cui, presumibilmente, i greci hanno combattuto le Amazzoni. Effettivamente, è più probabile che il loro significato riguardi una questione di una portata più vasta, rivitalizzando un vecchio dibattito sull'origine del patriarcato e ripristina, forse, una lunga e screditata ricerca dell'Atlantide femminista, una civilizzazione preistorica in cui le donne detenevano tanto o più potere degli uomini. "Questi kurgan non sono, in nessun modo, una prova del matriarcato", dice Davis-Kimball, "ma i matriarcati possono essere tuttavia esistiti".

La scoperta di J. Davis-Kimball delle Tombe delle Amazzoni è una delle più grosse sorprese dell'archeologia della fine del XX secolo. Grazie alle sue ricerche sul campo, vengono fornite le prove materiali dell'esistenza di donne a lungo favoleggiate. Le loro tracce, disseminate da un capo all'altro le vie della seta, dal nord del Mar Nero al bacino del Tarim, da Pazyryk allo Xinjiang, rivelano i legami poco conosciuti tra i nomadi dell'Eurasia e le civiltà dell'Europa Antica, in particolare quelle greco-romane, celtiche e vichinghe.