Ana Kapor, Finis terrae
riscopro pian
piano l’ andare sotterraneo
il respiro cieco dell’ occhio
aperto al buio quando le cose
si fanno estranee
quiete si lasciano sfiorare da dita
incerte
è un esplorare terreni incolti
un riconoscere per frammenti
in assenza di luce
è un ricercare a tasto
forme indistinte
un orientarsi per non
perdersi
lungo la costola dolce
che al porto conduce
dove la nebbia vela
il mormorio dell’ onda.
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attendi il ritorno della rondine
nel tepore che
il sangue formicola
vuoi appendere la voce
al ramo alto
e suonare parole pizzicando
le corde del vento
la lontananza incanti in note di
primule nel canestro della mente
in fiore
di flebili vagiti dal folto dove la carne
s’ allenta e rinasce
Un passo poi l’ altro, una nota
poi l’ altra,
musicante del risveglio,
sospeso a correnti aeree,
a brevi respiri teso, sconfini
oltre l’ oggi,
il momentaneo
ignori e spazi dove
l’ estremo limite si innalza,
il frangersi della risacca che
smuore in polvere di nebbia.