Utente | Messaggio |
14:45 12 novembre 2009
| admin
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| Amministratore
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Nella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate. Isolotti a fior d'onda emergevano, ove raro un uccello sostava intento a prede, coperti d'alghe, scivolosi, al sole belli come smeraldi. Quando l'alta marea e la notte li annullava, vele sottovento sbandavano più al largo, per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno è quella terra di nessuno. Il porto accende ad altri i suoi lumi; me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore.
Umberto Saba
 
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14:55 12 novembre 2009
| Rose
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Proprio come l’Ulisse dantesco, che una volta tornato in patria viene spinto dalla sete di sapere ad intraprendere un nuovo viaggio, Saba approdato nella sua Itaca, trova se stesso, ma il suo “non domato spirito” guarda ancora lontano . Il porto simboleggia la vita tranquilla, ricca di certezze, ma il poeta preferisce continuare a vagare alla ricerca dei perché dell’esistenza e di risposte al dolore della vita.
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15:08 12 novembre 2009
| Carmen
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Mi associo al bellissimo commento di Rose.
Carmen :)
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21:29 12 novembre 2009
| francmec
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Suggestiva la poesia di Saba, ma a me piace forse ancora di più il sottostante quadro di Waterhouse, per me uno dei più belli di questo autore.
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21:52 12 novembre 2009
| admin
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| Amministratore
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Saba, in piena consapevolezza, vuol far tornare alla mente di chi legge l'immagine dell'eroe omerico. Il riferimento diretto nel titolo, d' altra parte, crea intorno all'intera opera una realtà che pian piano va concretizzandosi. La presenza continua di immagini “naturali”, quasi mitiche, non propongono una diversa chiave di interpretazione del testo, almeno fino agli ultimi tre versi, quando risulta più chiaro il riferimento autobiografico, che mette in risalto la difficoltà nel raggiungere la serenità, la quiete dello spirito.
Il testo diventa quindi una sorta di “mappa emotiva” attraverso la quale è possibile raggiungere e decifrare i sentimenti e le esperienze del poeta stesso. La poesia diventa un'unica grande metafora che, attraverso la figura dell'eroe mitico, concretizza in poche righe la vita triste e malinconica di Saba.
Francesco, concordo sul dipinto, anche se, per me, bellissima, del Waterhouse, è anche l' Ofelia
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09:55 13 novembre 2009
| Pietro
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Ulisse è un tema universale, molto trattato in letteratura e pittura.
I miei occhi da vecchio in un primo tempo non avevano notato le sirene nel quadro di Waterhouse, che ricordavo per le bellissime figure femminili, come ne sono state postate altrove, ho veduto.
Di Saba mi sovviene una poesia dedicata alla moglie, dove la paragona a vari animali da cortile, mi pare…Forse non troppo lusinghiero per una signora. 
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13:57 13 novembre 2009
| admin
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| Amministratore
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Proprio così, Pietro!
 
A mia moglie
Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l'occhio, se il giudizio mio
non m'inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun'altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se l'incontri e muggire
l'odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l'erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t'offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d'un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l'angusta
gabbia ritta al vederti
s'alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un'altra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l'accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun'altra donna.
U. Saba
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21:58 15 novembre 2009
| Rose
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A me piace solo l'ultima strofa. 
Tornando ad Ulisse, proviamo a vedere come l'episodio è stato reso da altri pittori?
 
Un pittore vittoriano: Herbert J. Draper
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22:07 15 novembre 2009
| admin
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| Amministratore
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Rose, ma non eravamo con Ulisse e le Sirene nel topic del Waterhouse?
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22:15 15 novembre 2009
| Rose
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Noi abbiamo il dono dell'ubiquità 
Sto pasticciando, Daniela? Volevo far vedere meglio a Pietro le sirene/arpie del quadro e sono finita dall'altra parte. Tuttavia, il tema di Ulisse è qui … Boh!
Questa immagine viene da un vaso greco:
 
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22:25 15 novembre 2009
| admin
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| Amministratore
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Abbiamo talmente il dono dell' ubiquità che ci siamo perse, Rose  !!!
Cerco di portare qui i miei post dal topic di pittura.
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22:35 15 novembre 2009
| admin
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| Amministratore
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Tutto un altro “incantamento”, senza alcun dubbio, quello del dipinto del Draper.
Guarda questo “Ulisse e le sirene”
 
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22:39 15 novembre 2009
| admin
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| Amministratore
| messaggi3520 | |
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Affresco "Ulisse e le Sirene", British Museum, 50 – 75 d.C.
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23:23 16 novembre 2009
| Rose
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| Ospite
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Il canto delle sirene
Attraverso le loro melodie incantatrici, le sirene attiravano i naviganti, portandoli a sicura rovina.
In Campania le troviamo scolpite nei capitelli delle colonne che sorreggono gli amboni delle maggiori cattedrali romaniche a ricordo del male e del peccato che sono sempre in agguato sotto forme seducenti.
Sculture, capitelli, statue, pitture, decorazioni in mosaico e vetrate davano corpo alle fantasie dell'immaginario collettivo del tempo, specialmente quella maschile, illustravano i possibili aspetti della vita quotidiana, ma testimoniavano anche la lotta tra il Bene e il Male.
 
Le sirene donne uccello
I Greci inizialmente conservarono l'immagine della Sirena come donna-uccello. Si vedano in proposito le numerose raffigurazioni tra le quali ricordiamo quella, assai bella, su un'anfora dipinta da Python e conservata nel museo di Paestum, la pittura vascolare del mito di Ulisse (British Museum), la Sirena sull'omonima porta di Paestum, le figurazioni sul vaso greco, detto delle Sirene, esposto nel Museo Correale di Sorrento. Quando venivano rappresentate come donne-uccello la prerogativa del canto come richiamo era più aderente alla leggenda: gli uccelli sono canori per antonomasia e col canto si richiamano e attraggono l'uomo
 
Le sirene pagane e cristiane
L'iconografia delle sirene è costantemente presente nell'arte pagana e nell'arte cristiana medievale fino al XII secolo. Nel tempo, però, le rappresentazioni di queste figure fantastiche si sono diversificate, per esempio col passaggio dalle sirene-uccelli alle sirene-pesci, alle sirene con due code e addirittura a sirene maschi risentendo profondamente delle mentalità e dell'immaginario collettivo espresso nei testi letterari. Il recupero da parte del cristianesimo di un tema così profondamente pagano come quello della sirena, testimonia la vivacità del passaggio di valori culturali dall'Antichità al Medioevo, un passaggio avvenuto con l'utilizzo di allegorie.
 
Le sirene nell'era moderna
Nel Medioevo, la sirena, affascinante e crudele, si confonde spesso con l'inquietante arpia, avvoltoio del mondo sotterraneo… Risale forse a questo periodo storico la trasformazione radicale della sirena da donna-uccello a donna-pesce. Nel secolo scorso le sirene sono riapparse sempre a fianco di Ulisse e nelle fiabe per bambini. Anche se le sirene hanno perso le ali, che potevano essere interpretate come un mezzo per alzarsi verso il cielo, hanno perso anche la caratteristica maligna del canto incantatore che portava gli uomini alla morte. La sirenetta della favola di Andersen è buona ed è innamorata di un essere umano. Forse per questo è diventata il simbolo della città di Copenaghen, per vederla basta fare una passeggiata per il "Kastellet", dove si trova una roccia con la statua in bronzo della sirena.
 
Le vere sirene
Due sono gli animali marini che, con le loro forme si prestano a supportare le leggende: il lamantino, un mammifero che vive alla foce dei grandi fiumi africani e americani, e il dugongo, un cetaceo erbivoro dell'Oceano Indiano. Entrambi, appartenente alla classe dei Sirenidi, hanno grandi seni rotondi privi di peli e quando allattano i loro piccoli emergono dall'acqua con il tronco.
 
  che delusione!
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23:36 16 novembre 2009
| Rose
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| Ospite
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Allarmi e silenzi
Il silenzio delle sirene (di Luciano de Fiore)
Con una certa dose di cinismo e di ambiguità, l'Occidente ha chiamato sirene prima le macchine urlanti che chiamavano gli operai alle manifatture, e poi gli allarmi acustici con cui in guerra si segnalavano alla popolazione le incursioni aeree nemiche. Le sirene quindi da un lato chiamano al proprio ufficio, dall'altro suscitano ansia e timore; segnalano l'inizio dell'attività, di quel che ci è più proprio, ed insieme allarmano, incitano alla fuga, a cercare un riparo. La macchina-sirena è capace di suscitare entrambi gli impulsi provati da Ulisse, correre verso e sfuggire da, attrazione e repulsa.
Accanto, la sirena ha continuato a svolgere la propria funzione di metafora. La si trova dovunque, dalle Metamorfosi ovidiane fino a Goethe, a Brecht, allo splendido grande Picasso del Palazzo Grimaldi di Antibes.
Agli inizi del Novecento due scrittori praghesi riscattano le Sirene al “sirenettismo” alla Andersen. Prima Rainer Maria Rilke nel 1907, poi Franz Kafka nel 1914 dedicano il primo una delle Nuove Poesie, l'altro un breve racconto alle figlie di Acheloo [1]. Cogliendo entrambi un punto. Sorprendentemente, muovono entrambi da un assunto: che ciò che è da valorizzare ormai, dopo duemila anni di ragione occidentale, non sia più tanto il canto delle Sirene, ma il loro tacere.
Il loro silenzio è l'arma estrema del loro fascino. Il punto da cui interpellano silenziosamente il pensiero maschile logocentrico.
Die Insel der Sirenen viene scritta da Rilke forse direttamente a Capri, oppure a Parigi, ma appena rientrato da un lungo soggiorno sull'isola, dove era stato ospitato con discrezione da tre distinte signore, in lunghi pomeriggi sonnolenti e taciturni.
Nel racconto, Kafka immagina che le Sirene – consapevoli dell'astuzia di Ulisse – decidano di restare in silenzio all'avvicinarsi della nave nera dell'eroe, spiazzandolo. Ma la virtù precipua dell'eroe greco è la preveggenza, l'astuzia calcolatrice e oppone una decisiva contromisura, contromossa ancor più sofisticata: al silenzio delle Sirene oppone il proprio (falso) compiacimento per il loro canto, fingendo di udirlo. In fondo, sceglie di far finta di aver bisogno ancora di desiderare, sforza la propria immaginazione, pur avendo ormai scelto la rinuncia. Non sa, Odisseo, che il desiderio ci desidera sempre.
Sia in Rilke che in Kafka, la coppia canto/silenzio lacera quindi l'opposizione in cui è stata confinata. Anzi, il canto non è che un frangersi del silenzio, producendosi dal silenzio che ne abbraccia la possibilità (Cacciari) [2]. Le Sirene esprimono ancora la non contraddittorietà di canto e mente, l'ancora non assoluta alterità del canto rispetto all'intelletto; anche se “davvero Altro è la musica del canto rispetto a quella della mente, e tuttavia davvero quest'ultime vi appartiene, oltre ogni speranza di potervisi districare”.
L'alternativa non è quindi tra il loro canto ed il nous, ma tra il puro nous ed uno contaminato dal canto. Al quale Ulisse, campione della razionalità occidentale, rinunzia. Perché il silenzio è un'arma ancor più pericolosa del canto? Scrive Kafka in una lettera a Milena: “Cerco sempre e ancora di comunicare qualcosa di non comunicabile, di spiegare qualcosa d'inspiegabile, di raccontare qualcosa che ho nelle ossa e di cui soltanto in queste ossa si può fare esperienza”.
Si tocca così il tema dell'irrapresentabile, dell'ineffabile, dell'inesprimibile. Quel che è dietro e oltre la rappresentazione. Un tema delicato e impervio, disseminato di trappole, per non cadere nelle quali mi fermo.
Kafka accenna dunque a qualcosa di silenzioso, che non può venir detto. Proprio per questo il silenzio è più forte del canto e del dire.
Lo scrivere è un tentativo di dar conto di quel qualcosa.
Rilke aveva compreso che una conoscenza tutta rimessa alla vista, eletta a strumento principe della nostra appropriazione del mondo, ci consegna ad un'illusione di dominio. Piuttosto, non guardare solo le cose, ma toccarle e viverle, e soprattutto ascoltarle; presupponendo una loro voce, un equivalente acustico della forma, attraverso cui i fenomeni si offrono ad un nostro senso minore. Che deve sforzarsi, per udirle, se e quando parlano.
Perché le cose, come le Sirene, spesso tacciono.Grazie a Rilke e a Kafka siamo di nuovo riconoscenti alle Sirene; anche se non risuona più il loro canto, riecheggia ancora – per chi sa udirlo – il loro silenzio.
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22:06 17 novembre 2009
| admin
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| Amministratore
| messaggi3520 | |
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Ti ringrazio, Rose, per questo percorso nell' immaginarip, dal mito al suo specchiarsi nel reale – priezione della mente: percorso esaustivo e del tutto coinvolgente.
…di quell'isole
la cui vista fa sì che muti volto
il pericolo, e non è più nel rombo,
non nel tumulto come sempre era;
ma senza suono assale i marinai
i quali sanno che là su quell'isole
dorate qualche volta s'ode un canto,
ed alla cieca premono sui remi,
come accerchiati
da quel silenzio che tutto lo spazio
immenso ha in sé e nelle orecchie spira
quasi fosse la faccia opposta del silenzio
il canto cui nessun uomo resiste…
da: L' Isola delle sirene in Nuove Poesie di R. M. Rilke
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22:17 17 novembre 2009
| Rose
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| Ospite
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Hai trovato il passaggio di Rilke! Molto bello. 
Ho pensato che questo brano di Luciano De Fiore fosse interessante e l'ho suddiviso ed evidenziato alcune cose, per renderlo più fruibile. Questi docenti universitari scrivono tutto fitto fitto. 
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23:00 17 novembre 2009
| sandra
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| Ospite
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Il silenzio, come il 'non detto' della poesia, può essere carico di significati.
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23:26 17 novembre 2009
| Manfredi
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| Ospite
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ho sempre pensato che il silenzio abbia una voce altissima.
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