Lo so,
ma adesso ascolta con me
il silenzio di questa notte
ove nemmeno i gechi
squittiscono piano
nei recessi più oscuri.
Lascia che le tue giovani
palme,
dolcemente sfiorando le mie,
tentino sillabe nuove,
oltre i reciproci silenzi
di un oggi
lentamente scivolato
in un muto vortice oscuro
mai conosciuto.
Sotto il sole
alto su quest’isola
così piena di fiori,
avevo colto oggi
un candido ibisco
grande quanto mai
ne avevo visto uno.
Il suo candore assoluto,
abbacinante,
lievi vibrazioni tentava
come muti messaggi
a me
che troppo tardi capivo.
L’ho sacralmente deposto,
come simbolo,
su una grande pietra
nera
di lava ruvida e dura
come il mio già sapere.
Come il tempo ormai scaduto
per questo fragile amore.
Chinato su di lui,
quasi adorante,
l’ho guardato a lungo
appassire
perché tutto, ormai, fosse concluso.
Ora capisci perché
non ci sono più sillabe
nemmeno
fra le nostre palme
pur aderenti,
ora che le nostre labbra
sono aride
come la tristezza infinita
dei tuoi occhi
quando a lungo mi guardavi,
oggi,
e non è stato nemmeno
necessario
che mi dicessi
addio.