Vorrei proporre una riflessione su un argomento che mi stuzzica e, in certo modo, mi lascia perplessa. Mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni in proposito.
Si può parlare di Poesia politica? Esiste una Poesia politica?
Vi posto una riflessione tratta da un testo diverso tempo fa:
“L’assunzione da parte della poesia di un compito direttamente “politico”, appare subito un fatto stridente e problematico. Infatti, la concezione tradizionale della poesia vede in essa il regno della pace, non del conflitto; la ritiene disinteressata, quindi non coinvolta in mosse tattiche e strategiche; le affida l’interiorità dell’io, e questo dovrebbe escludere dall’espressione i soggetti “collettivi”.
Perciò parlare di “poesia politica” è come pronunciare un ossimoro, una palese contraddizione.
Ciò non toglie che la poesia, proprio in quanto il suo autore era pur sempre un uomo “intero” ha sempre costeggiato gli argomenti della politica, spesso inclinandovi molto. Se però, come qui, affrontiamo la definizione di una “poesia politica” tout court, dobbiamo affrontare il problema di un uso politico che rovescia tutti e tre quegli assunti tradizionali: e dispone il testo, allora, secondo il conflitto, la parzialità, le tematiche comuni.
La “poesia politica” è una poesia di agitazione.
E, per agitare, deve essere essa stessa agitata, dinamica, costituita da forme mobili, da ritmi incalzanti, da cariche espressive. È sbagliato pensare che, per convincere all’azione, occorra indulgere alla commozione, al patetico o all’esortazione morale; questi effetti, invece, tendono ad esaurirsi in se stessi, finiscono per scaricare il fruitore (che si sente più buono perché si è commosso al dramma delle vittime) e per lasciare le cose come stanno.
L’impatto sarà maggiore se si indica una situazione disperatamente contraddittoria, uno stato di crisi, una strada senza uscite: spetta allora a noi lettori trovare le soluzioni che il testo poetico non deve fornirci già belle e pronte.
La “poesia politica”, così come si configura nell’area della poesia “di ricerca”, ha qualcosa in comune con l’ invettiva.
È, infatti, un discorso scagliato verso l’esterno, una parola che vorrebbe farsi oggetto contundente, per agire direttamente sul proprio destinatario, non tanto attraverso la mediazione del senso, quanto attraverso l’impatto immediato.
Questo impatto non è dato assolutamente per certo (anzi può darsi benissimo che il messaggio cada nel vuoto…); ma, intanto, una parola che si vuole “gettata contro” infrange le idee tradizionali del fatto estetico, anche quelle più resistenti, compreso il mito della “bellezza pura”.”