In risposta alle accuse che gli sono state mosse:
da: http://zambardino.blogautore.r…..e-censura/
Lettera del senatore D’Alia
Macché Cina o Birmania! Il mio emendamento sulla rete, definito impropriamente in questi giorni “carogna”, “bavaglio”, “oscura Rete” e “ammazzaFacebook” (ne dimentico certamente qualcuno) non oscura nulla e non ha niente a che fare con la censura. Si tratta di uno strumento operativo non generalizzato, che vuole colpire le singole condotte illecite e non certo cancellare dalla rete Facebook o YouTube.
Il processo con cui ciò avviene è scritto chiaramente nel testo: solo su segnalazione dell’autorità giudiziaria, il ministro dell’Interno può intervenire e diffidare i gestori per impedire la prosecuzione dell’atto incriminato, chiedendo di attivare gli strumenti necessari a interrompere la singola attività illecita: se il sito ha sede legale in Italia, il ministro dell’Interno, su segnalazione della magistratura, si rivolgerà prima al gestore dello stesso e poi a chi dà la connettività, se invece ha sede legale in uno stato estero con cui non c’è un accordo di collaborazione, lo Stato dovrà rivolgersi preliminarmente al provider in Italia.
Le modalità tecniche per il filtraggio sono stabilite dal ministero dello Sviluppo economico, d’intesa con quello dell’Interno e dell’Innovazione attraverso un regolamento: è in quella sede che si deve aprire un confronto tra i gestori e lo Stato alla ricerca delle soluzioni più praticabili. La sanzione finale, ricordo, è una multa da 50 a 250 mila euro, sempre ricorribile davanti all’autorità giudiziaria.
Questo strumento, insomma, vuole solo dare maggiori poteri di azione alle forze di polizia, ancor più necessari nel caso in cui la rete non collabori nell’illuminare le sue aree d’ombra o i ’social network’ non abbiano regole chiare per espellere dalla loro comunità chi commette reati di apologia o istigazione a delinquere, spesso trincerandosi dietro l’anonimato.
Non mi sottraggo al confronto nel merito delle soluzioni proposte: credo tuttavia le letture di comodo date in questi giorni al mio emendamento servano solo a mettere la testa sotto la sabbia e a far finta di non vedere i misfatti che vengono perpetrati nelle zone franche di Internet: salvo che non valga il principio, largamente diffuso in questi giorni, di una certa intangibilità della rete. Come se, in nome di una libertà di espressione tutta da dimostrare, si potessero legittimare gli insulti, le nefandezze di cui è già piena la nostra società reale, lo stesso diritto di parola di chi incita alla mafia, al terrorismo, alla violenza, alla pedofilia, agli stupri di gruppo. In questa chiave di lettura devono intendersi le mie dichiarazioni rese al sito dell’Espresso, non certo come affermazione di una volontà di censura nei confronti di Internet, la cui importanza informativa, educativa e aggregativa è evidente a tutti noi.
Abbiamo letto e condannato la storia del disabile picchiato da una baby gang e il cui filmato è stato poi messo orgogliosamente in rete, come dei due ragazzi che per finire su YouTube si sono provocati ustioni sul 60% del corpo. Siamo di fronte a due problemi diversi, ma ugualmente gravi: nel primo caso parliamo di un vero e proprio reato, da trattare come tale sia nel reale che nel virtuale. Il secondo, invece, rientra più nell’ambito culturale: se due ragazzi rischiano la vita per poter finire su YouTube, significa che ci si deve interrogare a lungo sul rapporto che lega le giovani generazioni a internet e su quanto incidano certi modelli appresi nella rete sullo sviluppo della loro coscienza e personalità. Mi immagino con preoccupazione che giovani senza valori né punti di riferimento possano accedere a siti che inneggiano alla mafia o al terrorismo e togliersi definitivamente ogni dubbio.
Infine, ho notato che su Facebook sono comparsi gruppi contro di me: alcuni si limitano a criticare il mio emendamento, legittimamente, altri mi apostrofano in modo pesante, anche auspicando una mia rapida dipartita. Pur non accettando gli insulti personali, e al netto delle minacce, mi sento di dire che tutto ciò rientra nella libertà di opinione, e che quindi quei gruppi possano rimanere lì dove sono. Diverso discorso per chi insulta le vittime di Mafia, si mette a disposizione di Cutolo, inneggia alla Jihad o alle Brigate rosse, spiega come fabbricare un esplosivo, incita a picchiare i romeni (l’ultima novità di Facebook) o considera filantropi gli stupratori di Guidonia o i pedofili. Preferisco farmi insultare e affrontare il problema, che fare finta di nulla e pensare che un giorno mio figlio possa andare sulla rete e sentirsi dire che Riina non sia stato poi cosi cattivo. Se ci sono altre proposte per contrastare questo fenomeno, ben vengano. Per ora mi limito a segnalare di essere in buona compagnia, visto che al Senato il mio emendamento ha ottenuto una larga maggioranza bipartisan.
Sen. Gianpiero D’Alia
Presidente dei Senatori dell’Udc