Ho voluto mettere in relazione il vitalismo panico di Gabriele D’Annunzio e la pittura impressionista di Monet. Due vite, quella di D’Annunzio e quella di Monet, in realtà diversissime tra loro: il primo, interamente preso dalla costruzione del suo “personaggio”, un esteta trasgressivo e affascinante, che ama vivere nel lusso e nella notorietà, tra salotti mondani, avventure galanti, imprese militari eclatanti quanto inutili;
il secondo, Monet, è un artista francese, figlio della Parigi del suo tempo, una Parigi borghese e imprenditoriale, sospesa, dal punto di vista artistico, tra una produzione ancora di tipo accademico e le nuove tendenze.
Due mondi quindi diversissimi, in cui tuttavia è possibile isolare una volontà di rompere formalmente con il passato e un atteggiamento almeno in parte simile nei confronti dell’arte e della natura.
Prescindendo da tutto il contesto mondano ed esibizionistico di D’Annunzio, possiamo dire che la poesia, la sua poesia è ciò che ha resistito al tempo e lo riscatta. Specialmente la raccolta di “ALCYONE” è originalissima e segna proprio il confine tra vecchio e nuovo nella poesia italiana.
D’Annunzio scardina tutte le forme della poesia e usa il verso libero, un fluire libero e concitato, con rime ricorrenti, ma senza schemi prefissati, con molte assonanze e versi di una sola parola.
Inoltre c’è questa dimensione panica, questo concepire la vita come una sorta di fluido, di musica continua. La natura è vista come un fluire continuo, dove l’io si fonde con il tutto.
E’ una poesia fatta di sensazioni. Attraverso una sorta di esaltazione dei sensi, si percepiscono le voci della natura e dilatando queste percezioni, si diventa parte della natura stessa.
Come D’Annunzio rivoluziona tutte le forme della poesia, così Monet e gli Impressionisti si oppongono all’accademismo e alla cultura ufficiale.
Rifuggono gli atelier e dipingono “en plein air”, perché la realtà è un continuo divenire e bisogna cogliere le sensazioni, le impressioni appunto della luce, dell’acqua, dei colori e riprodurli velocemente, senza un disegno, senza bisogno di prospettiva.
In certi periodi Monet si isolava per dipingere completamente immerso nella natura e nelle sensazioni che essa gli suscitava. Dal suo battello, dipingeva il fluire dell'acqua.
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La luce è la vera protagonista dei suoi quadri, è la luce che determina l’immediatezza, l’attimo fuggente, la sensazione di un istante.
Proprio per il suo senso di mobilità, l’acqua è un soggetto ricorrente. Sono aboliti i forti contrasti. Le pennellate veloci creano contrasti simultanei che si fondono sulla nostra retina in modo più intenso e brillante.
L’arte di Monet non richiede interpretazioni filosofiche, ma appare immediata ai nostri occhi. I suoi quadri non vanno capiti, ma solo goduti.
Allo stesso modo certe poesie di D’Annunzio non hanno una struttura logica, non richiedono interpretazioni; sono solo molto piacevoli e musicali, da godere semplicemente nella lettura.
Monet si era fatto costruire nel suo giardino uno stagno di ninfee e un ponte giapponese. C’è un’atmosfera fiabesca in questo intrico di rami e in questa luce verdastra, punteggiata qua e là dai fiori. Possiamo facilmente immaginare D’Annunzio e la sua Ermione immersi in questo verde.
Fino alla fine della sua vita, quasi cieco e afflitto da un male incurabile, Monet continuò a dipingere le ninfee del suo giardino.
A proposito di queste, Monet ha scritto:
“Ho dipinto molte ninfee, cambiando sempre punto di osservazione, modificandole a seconda delle stagione dell’anno e adattandole ai diversi effetti di luce che il mutar delle stagioni crea. E naturalmente, l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi da essere l’intero spettacolo, in realtà sono solo il suo accompagnamento.
L’elemento base è lo specchio d’acqua, il cui aspetto muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettono, conferendogli vita e movimento.
Cogliere l’attimo fuggente, o almeno la sensazione che lascia, è già sufficientemente difficile quando il gioco di luce e colore si concentra su un punto fisso, ma l’acqua è un soggetto mobile e in continuo mutamento… Un uomo può dedicare una vita ad un’opera simile”.


“Io dipingo come un uccello canta” amava dire di sé Monet, sottolineando come per lui la pittura non fosse una semplice attività artistica, ma una vera e propria esigenza interiore.
Quello che fu il pennello per Monet è la parola per D’Annunzio, cioè uno strumento di grande virtuosismo.
Pur essendo come abbiamo visto due artisti molto diversi, in comune hanno la capacità di rendere l’immediatezza delle proprie emozioni e percezioni e questo calarsi nella natura e divenirne parte.