Lo chiamavano Tarzanetto,
ma nessuno ricordava più il perchè di quel buffo soprannome.
Quando lo conobbi aveva già più di ottant'anni e viveva ormai solo, in una casuccia in pietra, tra le poche abitazioni che formavano il nucleo di Acquapagana, frazioncina rurale presso Cesi.
Mi colpì subito, sin dal primo incontro, la sua estrema, innaturale lentezza nei movimenti. Alternava nel passo quelle corte gambe ad apostrofo, con una cadenza d'una tale misurata e diradata frequenza che mi incantavo spesso a vederlo aggirarsi per quegli ampi spazi, chiedendomi quanto ci avrebbe messo ad attraversare il prato, o, impresa che a quel punto mi appariva impossibile, ad arrivare al poco lontano spaccio per comprarsi le pochissime cose di cui sembrava aver bisogno.
Ogni altro suo movimento si uniformava a questo ritmo che lo faceva sembrare un bradipo, specialmente se accostato al travolgente correre e giocare dei bambini.
Ma lui arrivava sempre a fare quel che c'era da fare, perchè quel suo lento incedere non conosceva sosta. Dall'alba a quando rientrava poi nella sua casa, era in perenne, infaticabile movimento, come un vecchio ma efficiente motore diesel di quegli antichi trattori che si mettevano in moto accendendo un fuoco sotto la loro pancia, ma che una volta partiti non si arrestavano più.
Un giorno mi colpì un suo gesto:.
lo vidi chinarsi, raccogliere un pezzetto di fil di ferro rugginoso, avvolgerselo intorno alla mano e poi, trovato un chiodo sporgente da un trave, appenderlo con cura.
Tutto con lo stesso ritmo, con gesti misurati, come il Sacerdote di un antichissimo rito, fatto di immenso rispetto per le cose.
Era riuscito a dar valore a quel pezzetto di ferro, che ora era altro, era fatica cristallizzata.
In cuor mio cominciai ad amare quel vecchietto, anzi quell'uomo che mi appariva giungere da un tempo remoto di cui rimpiangere un più vero rapporto con le cose e con le priorità dell'esistenza.
Poi ci fu il terremoto.
Cesi ne fu l'epicentro, Acquapagana subì danni terribili, la splendida basilica romanica ne risultò danneggiata, e anche la casa di Tarzanetto subì la stessa terribile sorte e dovette essere demolita.
Lui fu quindi alloggiato in un conteiner, adibito ad abitazione, ma nel suo sguardo non si riaccese mai più nessuna luce, non lo attraversò più nessun sogno di possibile futuro, non lo interessò più nulla e più nulla innescò quel suo lento, vitale, creativo movimento.
O meglio si, fece ancora una cosa: prese quel fil di ferro, quell'oggetto prezioso che a suo tempo aveva salvato quasi per un presagio inspiegabile e con quei suoi lentissimi ma così esatti gesti lo passò attraverso un occhiello del soffitto, salì su uno sgabello e pose fine alla sua lunga esistenza.
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Ho riesumato questo scritto, perchè, purtroppo, mi è parso tornato tragicamente d'attualità.
Mi scuso ovviamente con quanti l'avessero a suo tempo già letto,
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