Dicono che sono lo scemo del quartiere, che non faccio niente di male e mi lasciano fare.
Ogni giorno m'invento un mestiere nuovo: mezza giornata vigile, l'altra metà parcheggiatore e guadagno le mance. Vivo di pensione.
La piazza è la mia casa, la gente la mia famiglia. Conosco tutti, dal macellaio al farmacista, il bambino che va a scuola, il vecchio che si trascina con il bastone.
Una volta però non era così. Una volta, ero giovane e "gajardo" pure io.
Per anni ho fatto il tranviere e ne ho percorso di chilometri sulle rotaie. Sempre la stessa strada, che ogni giorno sembrava nuova.
Erano tempi in cui si era più poveri e quel poco che c'era bastava, ma si sapeva godere del panorama da sopra il tram. E non inquinava.
Non c'erano tutti quei "aggeggi" di oggi e si viveva meglio.
Le automobili erano cose da "ricchi", al massimo ci scappava una cinquecento per famiglia con lo stipendio fisso e sicuro.
La città respirava bene e la gente era più socievole. Si parlava.
Non si conosceva la fretta, che oggi la chiamano "stress". Tanto si arrivava lo stesso.
Il tram scorreva lento e sereno. Ogni giorno sembrava una festa, pure quando non era, perché i problemi c'erano anche allora, ma si affrontavano diversamente.
E c'era l'educazione, che oggi non vedo.
Il giovanotto cedeva il posto a sedere alla signora ed io parlavo con il passeggero della Roma.
Dal mio duro sedile ho visto la città gonfiarsi, sino a quasi scoppiare e la tecnologia soffocare lo spirito della natura, fino a quando è stato deciso, che io e il mio vecchio tram eravamo troppo lenti ed ingombranti per la corsa al futuro.
Hanno steso sulle rotaie una coperta d'asfalto e prima dell'addio ho salutato il mio "vecchio" con un'ultima scampanellata.
Dicono che sono lo "scemo" in pensione, senza sapere che scemi sono loro.
Carmen