Il collegio Pio IX era situato in un grande edificio tra la via San Giovanni in Laterano e la parallela via Labicana, recintato da mura alte, che sembravano proteggere un mondo a parte, e da dove spuntavano il campanile della chiesa interna e i rami dei pini del giardino.
Era a due passi dal Colosseo e da piazza San Giovanni. Ci si poteva andare a piedi.
Quando Patrizia io e mamma varcammo la soglia del grande portone, ci venne incontro la suora “portinaia” che ci fece accomodare nel “parlatorio”, dove ci raggiunse la madre superiora. Dopo le presentazioni e i primi approcci con la suora, la suora ci portò a visitare il collegio.
Al pian terreno c’era un enorme salone che veniva aperto per le grandi occasioni. Aveva un pavimento di marmo così lucido che sembrava uno specchio e con un arredamento piuttosto austero, di stile antico.
Attraversammo il cortile ed entrammo in una sala adibita al cinema e al teatro con il palco chiuso da lunghe tende di velluto rosso. La madre superiora ci spiegò che la domenica si proiettavano dei film e che le ragazze, che studiavano anche recitazione, si esibivano alla fine dei trimestri.
Lo trovavo fantastico.
Passammo poi al “refettorio” dove erano disposti due lunghi tavoli con quaranta sedie, in fondo c’era la cucina. Poi, uscimmo nel giardino pieno di alberi di limone e di aranci, di Pini e di fiori, divisi da un vialone. Da una parte c’era pure un pollaio recintato. Noi ci meravigliammo tutte e tre, perché non ci si aspetta un giardino del genere nel centro della città. La suora poi ci condusse alla chiesetta, che aveva anche un’uscita che dava sulla strada. Poi salimmo due rampe di scale, anch’esse con scalini di marmo, e arrivammo al pianerottolo del primo piano, dove da un lato c'era l'accesso al “dormitorio”. Quaranta letti con relativi comodini ed armadietti. I bagni stavano in fondo, accanto la stanza dell’infermeria che ospitava le ragazze quando erano malate.
Notai che tutte le grandi finestre del palazzo erano talmente in alto che non ci si poteva affacciare, senza salire su una sedia.
Dall’altro lato del pianerottolo, si arrivava allo studio con quaranta banchi e una cattedra rialzata da un piano di legno. Era il posto della suora che sorvegliava sulle ragazze, mentre studiavano. Accanto allo studio c’erano i bagni, erano tre.
Quasi mi perdevo in mezzo a tale vastità e presi la cosa in modo positivo, perché ero curiosa., quando mamma ci salutò con la promessa che sarebbe ritornata l’indomani.
Patrizia ed io salimmo al piano superiore accompagnate dalla suora. Ci assegnò i posti letto, uno accanto all’altro, e dopo aver sistemato gli indumenti negli armadi indossammo il grembiule nero con il colletto bianco, “l’investitura del collegio”, pensai. Avevamo anche una divisa per le occasioni speciali che consisteva in un vestito a pieghe larghe lungo fin sotto le ginocchia di colore blu e un cappotto, che a me parveva simile a quello che portano i militare, solo che il nostro era sempre di colore blu.
Avevo capito che i colori dominanti in questo ambiente era il nero e il blu, a parte il meraviglioso drappo di velluto rosso della sala del cinema e del teatro.
E mentre Patrizia ed io stavamo lì ancora un po’ confuse, il silenzio del luogo fu interrotto dallo schiamazzo delle ragazze che uscivano dalle classi.
Le classe delle elementari e delle medie erano situate al pianterreno, mentre la scuola magistrale era esterna. Un pulman privato portava le ragazze più grandi in via Gallia, sempre in compagnia di una suora, dove c’era un’altra sede delle monache.
In questo luogo, che doveva essere una breve permanenza, vissi per otto anni.
(continua)