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Il Natale della mia infanzia

UtenteMessaggio

18:27
14 dicembre 2009


Carmen

Ospite

Nel mio paese si usava (e si usa ancora) accendere le candele durante il periodo dell’avvento e ogni domenica se ne accendeva una fino ad arrivare a Natale con tutte le quattro candele consumate.
L’atmosfera natalizia iniziava così nell’intrepida e silenziosa attesa e la sua atmosfera esercitava un fascino particolare sui bambini, se di fascino si può parlare quando i negozianti espongono i desideri alle vetrine.
Da bambina mi piaceva molto il Natale, anche se il mio piacere era differente dagli altri. Per me i giocattoli non erano una novità, a parte il trenino elettrico che i miei non vendevano, e, mentre gli altri bambini aspettavano alla vigilia il Babbo Natale, io sapevo che Babbo Natale altro non era che mia madre e gli zii. Essi vendevano giocattoli per i mercatini natalizi travestiti.
In quel periodo dell’anno la casa di mia nonna si riempiva di ogni genere di giocattolo. Per me non era una novità, dato che ero cresciuta in mezzo ai giocattoli, a parte il trenino elettrico, quindi la mia attrazione era l’atmosfera natalizia in sé e di come la città si trasformava sotto la candida neve con tutti i festoni le luci i colori e le candele.
Faceva molto freddo, ma la neve contribuiva ad addolcire l’aria insieme al sole, quando c’era, l’importante era vestirsi bene prima di varcare la soglia di casa. Fuori, con il freddo le guance assumevano il colore della mela rossa e si poteva vedere il respiro uscire dal naso o dalla bocca. Mia madre mi diceva di respirare a bocca chiusa, in modo tale che l’aria si riscaldava prima di arrivare alla gola, visto che sovente mi ammalavo di tonsillite.  
Il deposito dei giocattoli era la cantina di mia nonna. Per arrivare alla cantina si doveva scendere un piano di scale sotto terra. La luce fioca emanata dalle lampadine attaccate alle pareti illuminava a stento la grande stanza. C’era puzza di muffa lì sotto, perché nonna abitava nella parte vecchia della città Gamla Stan e si sa che quella parte di Stoccolma si erge su dei grandi e numerosi tronchi di legno sotto l’acqua.
Ora il cuore della città è residenza per gli uffici e per i ricchi.
I miei familiari sembravano tanti gnomi che facevano pacchetti e pacchettini e sceglievano i giocattoli da vendere. In cantina c’erano pure dei tubi di gas ad helio, che servivano per tenere i palloncini in aria. I palloncini erano di tutte le forme e colori, portavano allegria ai bambini e ai grandi.
Io, a quell’epoca, ero uno scricciolo di bambina tutta pelle ed ossa, ma con una energia incredibile, sembrava che scorresse l’argento vivo nelle mie vene e la fantasia certo non mancava. I miei compagni di giochi erano perlopiù maschi della mia stessa età. Loro mi accettavano nel gruppo perché non mi lamentavo mai e accettavo la parte che mi veniva assegnata, come quella di stare in porta quando giocavamo a pallone, o fare il morto o il prigioniero nella lotta tra i cowboys ed indiani, oppure quando ci arrampicavamo sui rami degli alberi per vedere chi arrivava più in alto. Ma c’erano pure momenti di solitudine e, allora, diventavo il regista di me stessa e mi inventavo tanti personaggi. Spesso andavo giù al cortile a fare il pupazzo di neve con una carota per naso e il mio cappello di lana sulla testa del pupazzo. Mi ricordo ancora dei guanti di lana che si infeltrivano a contatto con la neve. Arrivavano a metà delle mie mani e i polsi erano rossi dal freddo.
Avevo una bella slitta, dono di mio zio, con un volante rosso che con una corda trascinavo con fatica su per la collina e poi mi sedevo sopra e scendevo a valle per sentire il brivido della velocità. C’era un attrezzo che in Italia non ho mai visto. Si chiamava (e si chiama ancora) lo “spark”: era un seggiolino di legno con due maniche sopra e questo seggiolino di legno si posava su due lunghe aste di ferro che servivano a far scivolare il seggiolino sulla neve. La parola “spark” significa calcio, perché dietro al seggiolino c’era un’altra persona che stava dritta in piedi e dava la velocità allo spark con un calcio col piede per terra e poi si poggiava sulle aste e via. Ai miei tempi si usava per andare a fare la spesa quando c’era la neve, oppure si andava a fare una passeggiata con il bambino seduto sulla parte anteriore.

Non mi ricordo della malinconia, né mi pesava la solitudine di allora. Mi piaceva guardare le finestre delle case degli altri dal di fuori, perché erano sempre belle addobbate con la stella di natale illuminata (come questa che vedete all'immagine che ho postato). Mi sarebbe piaciuto che pure a casa mia ci fosse stata quella calda atmosfera dell’attesa, invece di tutti i Babbo Natali in procinto di vendere giocattoli ai bambini.
Non si usava il Presepio a Stoccolma, a parte nell’unica chiesa cattolica di allora la Sankt Erik e nelle case dei cattolici ed emigranti italiani. Era l’Albero di Natale il protagonista assoluto dell’inverno. Si usavano alberi veri.
A casa mia non avevano tempo per queste cose. A casa mia ad ogni festa comandata si lavorava il doppio. Poche volte ho partecipato ad una vera festa di Natale e il trenino con cui in fine ho giocato era di un mio amico.

Adesso che sono quasi vecchia e ho cambiato casa e vita, ci tengo moltissimo alla festa di Natale. Ci tengo ad evocare l’atmosfera calda che da piccola mi è mancata. Ci tengo a credere che ci sia davvero un Babbo Natale che possa esaudire un mio desiderio, che  mi racconti la bella favola della vita. Penso che il credere in qualcosa serve, perché appartiene al sogno di essere stata, forse, una bambina nel passato.

Carmen  

22:57
14 dicembre 2009


admin

Amministratore

messaggi3520

Tenerissime memorie, CarmenSmile con l' augurio di una caldo, intenso nataleSmile

dmk

12:27
15 dicembre 2009


Carmen

Ospite

Grazie Daniela, anche a te e ai tuoi cari. In svedese si dice God Jul!

13:18
15 dicembre 2009


fernirosso

Ospite

Penso che quelli di una certa età, e qui restano fuori in pochi, abbiano ciascuno dei ricordi simili a questi. il Natale, per tutti, non era un tempo di abbondanza commerciale, di vendite sfrenate o di passerelle di moda. Le differenze sociali c'erano anche allora, ma c'era anche un po' di quel rispetto recicproco che oggi manca dall'uno e dall'altro versante.Almeno così mi pare. Non si è aggiustato gran che, nella storia, quella da scrivere nei libri, la guerra la fame le carestie,le malattie, la violenza la sopraffazione, gli abusi, le speculazioni, i raggiri,..insomma il catalogo resta il medesimo e si canta a Natale in chiesa e si giura fedeltà e si fanno promesse per disfarle subito dopo averle dette.Eppure la terra continua a scarrozzarci in mezzo alla galassia, in una continua rinascita di stelle, ampliandosi, il cosmo, per una misura che difficilmente ciascuno di noi potrà pensare, non dico attraversare. Ma serve? Serve questo per farci riflettere sulla nostra infinitezza? Serve per farci nascere nuovi…di tanto in tanto? Grazie Carmen per il racconto e la pacatezza del ricordo.ferni

13:54
15 dicembre 2009


Carmen

Ospite

Grazie Ferni per la bellissima riflessione. Stamattina stavo pensando: a Natale si dovrebbe essere contenti, o per lo meno, sereni, invece mi accorgo, specialmente in chi è solo o ha qualche problema, che si accentua la tristezza e la solitudine. E' difficile continuare a guardare il mondo con gli occhi di bambini, eppure, a mio modesto avviso, sta lì l'inizio della via principale.

Con stima ed affetto!

Carmen



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