A due mesi mi ritorna in mente un elenco di cose, perché faceva un caldo eccezionale alla feste di San Paolo a Roma. Le bancarelle, di sera, illuminavano la festa a sogno e sopra il palcoscenico ballavano i gatti travestiti, c'era musica e allegria. Sentì il telefonino vibrare, mi allontanai dal chiasso assordante della gente per rispondere, poi di colpo fu vuoto e abbandono, fu rispetto ed inchino di becchini. Noi , che parlavamo con la coscienza , avevamo le braccia a penzoloni, come pendoli degli orologi, facevamo tictac e tic e tac, e il tempo non si fermava. C'era l'unico prete reperibile, il polacco, per l'ultimo saluto. Due dita di polvere a ricordare cosa siamo. E i parenti sempre più anziani, che parlavano la lingua dell'infanzia; c'era il silenzio e il tradimento di mia sorella e il vaffa da me issata a mezz'asta e la riapertura della palestra del dolore, che frequentavo e che frequento. Lo stupore, l'incredulità e il rifiuto e infine una preghiera e c'era, mamma ti giuro c'era, l'ardente desiderio di ritornare nel tuo grembo.
Rievocazione del momento in cui "la palestra del dolore" ha riaperto la porta, risucchiando il cuore nell' antro della perdita. Brano questo che allo strazio disarmato, coniuga l' amore sconfinato nutrito per la madre:
e c'era, mamma ti giuro c'era, l'ardente desiderio di ritornare nel tuo grembo.
Un brano molto molto bello, linguisticamente parlando, e capace di trasmettere il senso del vuoto, della perdita, del dolore, e – ripeto – dell' amore.