Il secondo premio, per il racconto breve è andato al signor Gianroberto Viganò con il racconto dal titolo:
IL PACCO
Mio nonno materno gestiva un negozio di cravatte dietro Piazza del Duomo. Era un’attività avviata da diverse generazioni e nel Canavese godeva di buon nome.
Il nonno era un esteta della cravatta e soprattutto un fine conoscitore della psiche umana, il che per chi opera nel commercio rappresenta una preziosa virtù.
Quando ero piccolo, svolgevo spesso i compiti nel retrobottega, dove mi aveva predisposto una scrivania. Tra una tabellina e le imprese di Giulio Cesare, talvolta mi soffermavo ad osservare i suoi comportamenti, perché era impagabile vederlo all’opera.
Appena un nuovo cliente varcava la soglia, lo squadrava da cima a fondo. Cercava di intuire lo stile, il carattere e le debolezze. Consigliava l’articolo più consono all’abbigliamento ed infine il cliente usciva sempre soddisfatto, pensando di aver scelto autonomamente, mentre alla resa dei conti aveva fatto propria l’idea suggerita dal nonno.
Concepiva il suo mestiere non come una professione, ma come un’autentica missione. Lui non vendeva un banale prodotto tessile d’incerti natali, bensì un pezzo di nobiltà, ideato dai cavalieri croati al servizio di Re Luigi XIV°.
Tanti giovani alle prese con l’esame di maturità, con il primo colloquio di lavoro o con la prima uscita galante, si affidavano a lui per operare la scelta più opportuna.
Spesso, a dire il vero, la scusa dell’acquisto era solo un espediente per strappare un suggerimento per la camicia o per imparare a fare il nodo.
Quando in città fu aperto il primo centro commerciale, che il nonno battezzò con sarcasmo “Grandi Magazzini Fuffetti”, mia madre preoccupata gli chiese se temesse di dover chiudere.
Lui controbattè con deciso orgoglio: “Possono vendere tutto quello che vogliono, ma mai e poi mai saranno in grado di insegnare l’arte di fare il nodo della cravatta!”.
In effetti, era un virtuoso del nodo ed un maestro rigoroso. Sin da piccolo mi catechizzò sulle varie tecniche, ricordandomi che tutti possono comprare una cravatta, ma ben pochi sanno eseguire il nodo appropriato.
A sei anni mi aveva insegnato il mio primo nodo semplice, a sette il Windsor ed a nove, con legittimo orgoglio del mio maestro, realizzavo uno stupendo incrociato.
Ricevendo come premio chili e chili di caramelle, mi aveva imposto di imparare a memoria i principali nodi: americano, “a sbuffo”, big-ben, Churchill, diagonale, incrociato, inglese, semplice, tirol e Windsor , o all’italiana, scappino.
Un giorno venne un tale in negozio. Affermava di essere un avvocato di passaggio nonchè un appassionato cultore della cravatta, snocciolando i nomi dei vari negozi, sparsi per il Belpaese, di cui si vantava di essere cliente abituale.
All’apparenza pareva ben vestito, anche se balzava all’occhio il suo discutibile abbinamento scarpe marroni-cintura nera.
Esibiva inoltre una parlantina decisamente sciolta ed indossava la cravatta con il fazzoletto da taschino. Entrambi questi aspetti cozzavano non poco con la suscettibilità del nonno. Quest’avvocato non gli piaceva per nulla e, sornione come un infido coccodrillo in attesa della preda, lo osservava in silenzio senza mai prendere l’iniziativa e lasciandolo parlare.
L’avvocato, scortato dal nonno, si aggirava con fare sicuro fra gli scaffali e, ad un tratto, palpeggiò il tessuto di una cravatta a fantasie scozzesi, affermando con sicumera: “Ovviamente jacquard!”.
“Ovviamente…”. Ribadì mio nonno, che cercò il mio sguardo inebetito, strizzandomi l’occhio. In pochi istanti difatti, le mie certezze in materia, costruite dopo anni di duro e faticoso apprendistato, avevano subito un duro scossone.
Prese inoltre in mano una regimental e sentenziò: “Questa ben si adatta ad una camicia scura e come nodo sceglierei… Sceglierei…Un mezzo scappino.”
Era un’altra castroneria che reclamava vendetta agli occhi della Dea Cravatta ed invece il nonno restava impassibile.
L’avvocato chiese libertà di girar nel negozio, accatastando pigne e pigne di articoli sul bancone. Infine, terminata la perlustrazione, chiese: “Accetta assegni?”.
“Senza dubbio,” rispose prontamente, “purchè mi dia la possibilità di prepararle un pacco nel retrobottega, perché riservo sempre una sorpresa per i miei clienti di riguardo.”
“La ringrazio, faccia pure.” Convenne l’avvocato.
Il nonno portò quanto scelto sulla mia scrivania, prese una scatola e, dinanzi al mio stupore, la riempì di carta e di vecchi cataloghi, per poi rivestirla con un bel fiocco.
L’avvocato prese la scatola, firmò l’assegno e si congedò educatamente, mentre il nonno lo invitò a ripassare.
Mio nonno mai incassò quell’assegno, che tenne in un quadretto accompagnato dalla scritta “Falso d’autore”, mentre il sedicente avvocato mai ripassò a contestare il contenuto di quel pacco.